Chi tocca le intercettazioni forse non resta fulminato, ma di certo rischia parecchio: Renzi lo sapeva, naturalmente, ma il Pd accusa il colpo, nel giorno in cui la Camera approva l’articolo del ddl al processo penale che cambierà la normativa sugli ascolti.
I Cinque stelle, come da programma, denunciano che “Renzi realizza il bavaglio invocato da Berlusconi”; ma pure la Federazione nazionale della stampa dice che il provvedimento “rappresenta una minaccia al diritto di cronaca”. Il ministro della Giustizia Orlando, al contrario, sottolinea che non c’è “nessuna norma liberticida” o volontà di “limitare le intercettazioni come strumento di indagine”. “Nessun bavaglio”, spiega pure la relatrice Donatella Ferranti. Eppure gli esiti, le novità e le polemiche del dibattito alla Camera sull’articolo 29 che riforma le intercettazioni (all’interno del ddl sul processo penale prossimo al voto finale) contengono elementi tutt’altro che trascurabili.
Anzitutto, giusto per cominciare dalla novità introdotta all’ultimo minuto con un emendamento della Commissione, perché si fa un passo indietro sulla cosiddetta “udienza filtro” (tra le intercettazioni rilevanti e quelle inutilizzabili), che viene cancellata dal testo. Questo significa che allo stato non ci sono certezze circa il momento in cui cade il divieto di pubblicare le intercettazioni: quel momento era appunto l’udienza filtro, nella quale le registrazioni venivano depositate, e dunque rese pubbliche. Adesso invece il ddl parla vagamente di “procedimenti di selezione” degli ascolti: una formula di stile che in sé non dice nulla; sarà il governo a stabilirne modalità, tempistiche; ed, eventualmente, sanzioni per chi non rispetterà le nuove norme. Ecco, fra l’altro, perché la Fnsi parla di “minaccia”.
E’ vero infatti che il ddl non tocca le intercettazioni come strumento di indagine. Ma è altresì vero che, sul fronte delle norme sulla pubblicazione degli ascolti, dà al governo una delega totale, il cui unico paletto è la difesa della privacy delle persone non coinvolte nelle inchieste (le famose intercettazioni non penalmente rilevanti, che tuttavia talvolta sono socialmente rilevanti e dunque di interesse pubblico). Per il resto si tratta di una riforma senza faccia. A fornirla di connotati, ha fatto sapere il Guardasigilli Orlando, una commissione di giuristi, magistrati avvocati, che sarà incaricata di scrivere l’articolato della delega.
E’ per questo che le opposizioni, da Sel alla Lega, passando da Cinque stelle e Fi, protestano per la “delega in bianco” al governo, la “non autonomia del parlamento”, parlano di “legge porcata”, e al limite finiscono quasi per rimpiangere il tempo di Berlusconi e della sua legge-bavaglio. “Almeno prima c’era un testo su cui discutere. Adesso ci troviamo dieci righe che delegano al governo di cambiare le norme. Possiamo solo immaginare quel che scriverete. E l’esecutivo potrà scrivere ciò che vuole”, fa notare la grillina Giulia Sarti.
L’altra stranezza è di ordine politico-sociologico, ma non di minor conto: riguarda il – vero, eventuale o presunto – cambio di pelle del Partito democratico. il Pd in Aula si trova infatti a difendersi dall’accusa concentrica di essere, sempre per usare le parole dei Cinque stelle, “gemello siamese del partito di Berlusconi”. Una accusa inimmaginabile fino a poco tempo fa. “Bersani parla sempre di Ditta: e le difendesse, le battaglie della Ditta!”, incalza in Aula il grillino Bonafede, ricordando la battaglia a petto in fuori che i dem fecero nella scorsa legislatura contro la legge bavaglio del Cavaliere. “Di fronte a un testo vergogna come questo, sarebbero stati i girotondi, le proteste; invece ora c’è il silenzio”, dice il relatore di minoranza Ferraresi . Del resto, fino a poco tempo fa era inimmaginabile che giusto il Pd, con la relatrice del ddl Donatella Ferranti, sostenesse che era meglio eliminare il riferimento esplicito all’udienza filtro, argomentando il timore che le intercettazioni possano diventare note a troppe persone (magistrati, avvocati, indagati) o che, in caso di ordinanze di custodia cautelare, siano conosciute con troppo anticipo.
E’ strano anche perché proprio Ferranti, che nella scorsa legislatura era capogruppo Pd in commissione giustizia, salutò con favore l’introduzione della udienza filtro nella legge bavaglio di Berlusconi: «Cade la norma liberticida che vietava ai giornali di pubblicare qualunque intercettazione fino alla richiesta di rinvio a giudizio o all'inizio dell'udienza preliminare», esultò. Correva allora l’anno di grazia 2010. Nel 2015, mentre Ferranti invita a “non confondere il provvedimento di allora con quello di oggi”, non si sa in che punto quel divieto cadrà: ci penserà la solita commissione del Guardasigilli. I tecnici. Non ci penserà il Parlamento, comunque, che nella scorsa legislatura tanto si accapigliò proprio su questo punto, per allontanare il rischio di una eccessiva compressione del diritto di cronaca: la materia non lo riguarda più, a quanto pare.
Le votazioni, stante la maggioranza del Pd alla Camera, procedono senza scossoni: compresa la modifica alla cosiddetta “norma anti Iene” che punisce col carcere le “intercettazioni fraudolente” ma esclude i giornalisti dalla punibilità. Ma è nel dibattito, nell’inversione del gioco delle parti che sta la novità politica. Un disagio anche tra i dem, che si coglie nel talvolta incerto argomentare della stessa Ferranti. In alcuni sbocchi d’ira. In tanti silenzi. Il capogruppo Pd in commissione Giustizia Walter Verini, a un certo punto, si trova a difendere l’impianto della legge, negando che si voglia limitare il potere della stampa, ma arriva a domandare: “Ma che giornalismo d'inchiesta è quello che pensa che l’unico modo per fare inchiesta sia quello di pubblicare, come una bacheca, i brogliacci delle intercettazioni?”. Apriti cielo. Il forzista Francesco Paolo Sisto, un altro che nella scorsa legislatura c’era e i suoi contributi alla legge bavaglio pure li ha dati, infilza il coltello, manifestando il suo “stupore”: “Benvenuti”, dice rivolto al Pd, “nell’ambito di coloro che hanno ritenuto le intercettazioni telefoniche dannose, assurde, un sinonimo di inciviltà.
Dopo dieci anni che Forza Italia protesta contro questo modo di fare, finalmente in quest’Aula del Parlamento si prende atto che le intercettazioni sono uno strumento che può fare male”. Un dito nell’occhio a una differenza divenuta nel giro di poco così tanto sottile. Provocazione raccolta. Il responsabile Giustizia del Pd, David Ermini, salta su una sedia e quasi si mette a urlare: “Mi dispiace, Sisto, ma non siamo uguali. Le intercettazioni noi non le tocchiamo, lo strumento delle intercettazioni rimarrà totalmente pieno e in mano alla magistratura. Non siamo uguali a quelli abituati al regime del loro partito, nel terrore della non ricandidatura. Noi non siamo questi, noi siamo al di là di tutto questo (…) Non siamo proprio uguali a voi”.
E no, certo, la legge di Renzi non è uguale alla legge di Berlusconi: eppure l’esigenza di tutelare la privacy dei cittadini non coinvolti nelle indagini, “non è una priorità per le persone normali”, argomentano i Cinque stelle. Giusto per citare un numero: a fronte di migliaia di intercettazioni pubblicate, i giornali avrebbero violato la privacy dei privati cittadini12 volte negli ultimi 20 anni, secondo un calcolo del “Fatto quotidiano”. “E allora tanta attenzione a questo aspetto a chi serve?”, domandano in Aula da più parti.
Ma certo, il Pd non è Forza Italia, “noi non siamo come voi”, torna a sottolineare Ermini. E pare di sentire il Nanni Moretti di Palombella Rossa: “Noi abbiamo tante idee, noi siamo uguali agli altri, noi siamo come tutti gli altri… noi siamo diversi, noi siamo uguali agli altri ma siamo diversi, siamo uguali ma siamo diversi, ma siamo uguali”.