Intellettuali schierati, giornali pronti a sostenerlo: tutta Napoli ne parla. ?In una città decisiva per il futuro del Pd, l’ex sindaco è corteggiato  da più parti, ma la sua candidatura è un’incognita, anche per Renzi

Antonio Bassolino
Su Facebook ha fatto circolare la foto della vetta raggiunta, il monte Putia a 2.875 metri di altezza, la scalata è riuscita. Ora si prepara a tornare con i piedi in terra: nel paradiso abitato dai diavoli, nel Golfo di Napoli, nella città stremata dalle baby-gang criminali e paralizzata dal vuoto di governo cittadino. Era in Duomo, per il miracolo di San Gennaro, ora il prodigio lo deve fare lui. A 68 anni Antonio Bassolino è pronto al grande ritorno.

Fu eletto per la prima volta sindaco del capoluogo campano nel 1993, ventidue anni fa, quando Matteo Renzi era entrato da poco nella maggiore età e il possibile candidato del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, andava in seconda elementare. Dopo una vita trascorsa nel Pci, da funzionario di partito che ha percorso tutti i gradini dell’apparato: «Non devi fare solo l’operaista, ti farebbe bene stare in mezzo ai contadini. Sai che cos’è il nocelleto specializzato di prima classe?», lo incalzava il segretario regionale del Pci Abdon Alinovi.

Cadute e resurrezioni, i vertici internazionali e la vergogna dei rifiuti in mondovisione, i processi e le assoluzioni. Finora Bassolino non ha detto una parola sulla possibilità di correre per la guida della città nella primavera 2016. Sembra una sfinge. Mistero napoletano, come il titolo del romanzo di Ermanno Rea.

La scalata del monte Putia, da Facebook


Ma basta l’ombra di Bassolino per accendere il dibattito sui giornali. La Sfinge spacca, divide il mondo politico e economico, spinge gli intellettuali a schierarsi pro o contro a colpi di editoriali. Esce dai confini della capitale del Sud: perché la possibilità di un ritorno di Bassolino, un dinosauro, un sopravvissuto di altre stagioni, con il suo volto antico, il suo eloquio mai omologato al battutismo da talk show, la sua storia importante e ingombrante, rivela quanto sia difficile da colmare il vuoto di politica che si è formato in Italia negli ultimi decenni.

Il ritorno, se dovesse esserci, avverrebbe in era Renzi. Nella capitale del Sud più rimosso che dimenticato (che fine ha fatto il piano del Pd per il meridione, il masterplan annunciato per settembre?), in un’area metropolitana che conta quattro milioni di abitanti, in cui il Pd locale ha già dimostrato di essere in grado di compiere qualsiasi atto di auto-lesionismo. Nel 2011, alle ultime elezioni comunali, le primarie suicide tra Umberto Ranieri e Andrea Cozzolino, finite con l’annullamento da parte della segreteria nazionale del Pd e la candidatura destinata a sconfitta rovinosa del prefetto Mario Morcone. Nell’ultimo anno una nuova dimostrazione di incapacità, con la vittoria del salernitano Vincenzo De Luca nelle primarie e alle elezioni, contro un bel pezzo dei dirigenti locali e nazionali.

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Ora si avvicina il nuovo appuntamento elettorale. In primavera si vota per tutte le grandi città, esclusa Roma: Milano, Torino, Napoli. È qui, sotto il Vesuvio, la situazione più rischiosa per il partito di Renzi. Nel Sud interamente controllato dal Pd è obbligatorio riconquistare la città con un candidato che sia espressione del partito, «la nostra comunità politica», come la chiama Renzi. Ma i nomi circolati finora non sono all’altezza. E la Sfinge, sul pericolo, ha le idee chiare. «Si rischia di finire peggio che nel 2011...», ha detto Bassolino a qualche amico, prima di richiudersi nel suo silenzio.

Il sindaco Luigi De Magistris, nonostante gli errori e la delusione inferta alla borghesia cittadina e al ceto intellettuale che lo avevano sostenuto nel 2011, nonostante la blindatura nel bunker di palazzo San Giacomo, la sede del municipio, è più competitivo di quanto faccia pensare la sua immagine pubblica. Punta a rappresentare le periferie e i ceti popolari, inseguendo e cavalcando l’orgoglio napoletano. Contro il governo Renzi, sul commissariamento di Bagnoli, «siamo un Comune derenzizzato», ripete l’ex pm, ma anche contro una voce critica del renzismo come la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, attaccata per le sue dichiarazioni sulla camorra «dato costitutivo della realtà napoletana». «Una frase offensiva, aberrante e falsa», si è infuriato il sindaco, difensore del buon nome della città.

Il secondo tassello della strategia di De Magistris è l’apertura al Movimento 5 Stelle: «Uno di loro da solo al mio posto non durerebbe tre giorni, insieme possiamo fare la rivoluzione». Ma M5S non ha nessuna intenzione di appoggiare il primo cittadino uscente. Alle elezioni regionali in città i Cinque stelle sono stati il primo partito, con il 24,8 per cento dei voti. Una percentuale di partenza che li fa volare verso il ballottaggio, specie se alla fine dovesse candidarsi il vice-presidente della Camera Di Maio. Nel centro-destra sta lavorando da tempo l’ex presidente degli industriali napoletani Gianni Lettieri, sconfitto da De Magistris nel 2011: modello lista civica, con la galassia di Forza Italia chiamata a fare da intendenza. Lettieri è già in campagna elettorale, come De Magistris. E potrebbero spuntare altre candidature: Stefano Caldoro o addirittura Mara Carfagna, una specie di miraggio nel deserto.

In questo quadro il partito di Renzi rischia di fare il vaso di coccio. Diviso, dilaniato tra capi e capetti locali, senza un nome forte da mettere in campo. Per ora si sono fatti avanti la senatrice Graziella Pagano e il deputato quarantenne Leonardo Impegno. L’ex bertinottiano e poi vendoliano Gennaro Migliore, oggi renziano di acciaio, è uscito bruciato dalle primarie per la presidenza della Campania.

Restano i competitori di cinque anni fa, Ranieri e Cozzolino, che fu delfino di Bassolino e ora si è messo in proprio. Una rottura suggellata all’inizio della settimana durante una riunione segreta in cui Cozzolino ha annunciato ai suoi uomini di volersi candidare a sindaco, nonostante le sconfitte alle primarie del 2011 e del 2015. Un summit convocato nella sede della fondazione Sudd in corso Umberto I, presieduta da Bassolino: il regno dell’ex sindaco di Napoli. Da qui, dalla casa del suo ex leader, Cozzolino ha lanciato il suo slogan: «I figli contro i padri». Propositi di rottamazione fuori tempo massimo. Una candidatura vincente come quella del magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anti-corruzione, è oggi un sogno proibito. Conclusione: il Pd rischia di non arrivare neppure al ballottaggio.

La Sfinge osserva, prende nota, ragiona. Lascia parlare amici e avversari. Segue il dibattito sui giornali: il filosofo Roberto Esposito e l’artista Nino Longobardi a favore, Claudio Velardi contro. Incassa il sostegno del quotidiano “Il Mattino” che ha pubblicato l’editoriale del politologo Mauro Calise, da decenni amico e consigliere politico di Bassolino, dedicato alle «condizioni per il ritorno» di Antonio. Un appello ai renziani della prima ora, «un po’ acerbi e inesperti, messi nell’angolo dai capitessera locali», a uscire allo scoperto e a sostenere l’ex sindaco.

Un invito alla rivolta dei giovani in alleanza con il vecchio capo. Il riferimento è al renziano Francesco Nicodemo, ex consigliere comunale a Napoli, oggi a Palazzo Chigi a gestire la comunicazione on line del premier. Un anno fa provò a giocare una partita in prima persona, con la convocazione della Fonderia, una convention stile stazione Leopolda. Tentativo subito stritolato dai vicerè del Pd napoletano.

Non c’è rottamazione che tenga, perché se Bassolino deciderà di candidarsi, lo farà presentandosi come l’unico vero renziano in circolazione dalle parti del Golfo. Correrà mettendosi in gioco con le primarie: da fare il 7 febbraio, lo stesso giorno di quelle di Milano. E con l’idea, in caso di elezione, di restare un solo mandato, il tempo di far crescere gli acerbi renziani del Golfo.

In fondo Bassolino è stato renziano prima che Renzi nascesse come fenomeno politico. Il “Times” lo aveva definito il Blair italiano già nel 1996. Il modello del sindaco Bassolino era la creazione di una leadership forte e di un partito di assessori a lui fedele. E chi lo conosce maligna che Bassolino è simile a Renzi anche nei difetti: accentratore, sospettoso, incapace di costruire una squadra attorno a sé.

Il potenziale sindaco d’Italia fu stritolato dal suo partito, i Ds, che lo imprigionarono nel ruolo di presidente della Regione in alleanza con Clemente Mastella. Viveva irrequieto nella sua stanza lunga e stretta, seduto alla scrivania sotto l’opera di Mimmo Paladino, una grande bandiera rossa con al centro l’immortale maschera napoletana in tutto somigliante all’inquilino. Nel 2005 lo convincono a ricandidarsi, lo conoscono 98 campani su 100, sui manifesti elettorali mette la faccia senza il nome. Gira per la regione in ogni angolo. E in uno dei tour si lascia andare a una confidenza inusuale: «Sono stato molto incerto se ricandidarmi. Mi sono chiesto se il potere stava diventando prevalente sulla politica. Per questo ho sentito il bisogno di reinventarmi. Voglio rinnovare me stesso. Sì, io devo rinnovare Bassolino!».

Considerazioni attuali anche adesso che l’ex sindaco deve decidere se candidarsi o no. Dopo quella vittoria finì intrappolato nell’inferno napoletano: crisi di giunta, inchieste della magistratura, campagne di stampa, proteste di piazza, lo scandalo dei rifiuti. E poi il ricovero d’urgenza in codice rosso, con metà del sangue perso, le trasfusioni, la ripresa raccontata in un libro di disarmante sincerità. Quasi un’identificazione tra il corpo del leader e il corpo di Napoli.

Ora Bassolino sta terminando un altro saggio, meno intimo, in cui ripercorre le vicende della sinistra italiana negli ultimi venti anni. Della vecchia guardia post-Pci, quella di Massimo D’Alema, è l’unico che ha scelto di sostenere Renzi fin dall’inizio e in autonomia, senza chiedere nulla in cambio.

Diverso anche in questo dal salernitano Vincenzo De Luca, presidente della Campania, nemico fin dai tempi in cui da ragazzi militavano nel Pci. De Luca, per nulla contento dell’eventuale ritorno dell’avversario, si è lasciato scappare un pezzo pregiato dell’era bassoliniana. Ennio Cascetta, docente universitario, assessore in Regione con Bassolino e regista del sistema dei trasporti in città e in regione, è stato appena nominato dal ministro Graziano Delrio capo della Struttura tecnica di missione al ministero delle Infrastrutture, la poltrona che fu del potentissimo Ercole Incalza.

Un altro riconoscimento per la Sfinge. «Se ci sarà qualcuno in grado di competere per salvare Napoli sarò il più contento di tutti», ripete. Ma nessuno, oggi, è più preparato alla corsa di Antonio Bassolino.

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