Attenzione, caduta banche. ?In tv e in Rete imperversano sedicenti esperti che evocano la corsa agli sportelli, con milioni di clienti in coda per riavere i loro soldi. Senza scomodare l’Armageddon bancario, che al momento non sembra imminente, si può dire, però, che molti istituti di credito hanno il fiato corto. Nei prossimi mesi alcune banche potrebbero avere problemi ?seri a raccogliere denaro sul mercato. Nel senso che dovranno promettere ?a investitori e correntisti rendimenti ben più alti del passato.
A fine novembre, l’intervento del governo sui quattro istituti sull’orlo del crac (Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti) ?ha reso evidenti a tutti come funzioneranno i salvataggi bancari. Le regole europee, quelle sul cosiddetto “bail in”, prescrivono che a pagare il conto siano in prima battuta azionisti e obbligazionisti e poi, se necessario, anche ?i correntisti con depositi superiori a 100 mila euro. Risultato: si è d’improvviso ristretta la platea dei possibili investitori in obbligazioni bancarie, a cominciare da quelle subordinate, le più esposte alle ricadute negative del bail in. E neppure i conti correnti possono più essere considerati un parcheggio sicuro.
Il fatto è, però, che da qui alla fine del 2016 scadono prestiti bancari, quelli del tipo più rischioso, per quasi 6 miliardi di euro piazzati negli anni scorsi da Unicredit (1,4 miliardi), Intesa (280 milioni), Ubi (65 milioni) e altri ancora. Il Monte dei Paschi, reduce da anni di bilanci in perdita e nei giorni scorsi al centro di manovre al ribasso in Borsa, dovrà rimpiazzare due emissioni per un totale ?di quasi 800 milioni. ?La genovese Carige, altro marchio in difficoltà, ha 350 milioni di bond a fine corsa. Una volta rimborsate le obbligazioni, gli istituti dovranno anche trovare il modo di rimpiazzarle. Difficile immaginare che i clienti faranno la fila per sottoscrivere nuovi titoli subordinati. Per tappare il buco le banche possono far leva sui depositi vincolati, cioè quelli con tassi di remunerazione ben più elevati rispetto ai normali conti correnti.
Non è un caso, allora, che nei conti di Mps a settembre 2015 la raccolta sotto forma di obbligazioni vale ancora il 25 per cento del totale, ma risulta in calo del 12 per cento rispetto a un anno prima. Nello stesso arco di tempo i depositi vincolati sono invece aumentati del 30 per cento e ora pesano per oltre il 10 per cento sulla raccolta totale della banca senese.
Pur di attirare, o trattenere, clienti, il Monte dei Paschi arriva a pagare interessi dell’1,4 per cento, al lordo delle tasse, sul denaro che resta sul conto almeno per un anno. Un premio a dir poco invitante, se si considera che i Bot a 12 mesi collocati nelle ultime aste di titoli di stato hanno rendimenti sotto lo zero. Ad approfittare della situazione sono soprattutto le grandi società di gestione del risparmio, che continuano a macinare affari da record.
I clienti delle banche, a caccia di rendimenti, corrono a sottoscrivere fondi comuni e gestioni patrimoniali. A costo di pagare commissioni e balzelli vari talvolta ingiustificati. Per non parlare dei rischi legati a strumenti finanziari che in alcuni casi restano esposti agli umori mutevoli delle Borse.