La Cancelliera tedesca sta passando uno dei suoi momenti peggiori negli undici anni di leadership a Berlino. A livello europeo non riesce a far valere un’autorevolezza che un Paese come la Germania dovrebbe avere

Angela Merkel
Rudolf Müller è un attempato signore che tifa Afd. Anzi per l’Alternative für Deutschland, gruppo della destra populista che sta rastrellando voti nelle regionali tedesche, corre come candidato di punta alle elezioni di marzo nel Saarland, al confine con la Francia. Il signor Müller fa l’antiquario. Fin qui niente di male. Ma un’inchiesta del settimanale “Stern” e della rete televisiva Ard ha recentemente rivelato che nel suo negozio si possono acquistare cimeli nazisti, in particolare svastiche, per 50 euro, e pseudo-banconote che circolavano nel campo di concentramento di Theresienstadt. «Non sapevo fosse vietato vendere queste cose», ha replicato candido al giornalista che lo intervistava.

Probabilmente non è l’unico scheletro nell’armadio Afd. Il nuovo partito guidato da Frauke Petry, chimica e imprenditrice, 41 anni e quattro figli, miete comunque successi e fa tremare Angela Merkel. Si è detto molto per esempio della vittoria nel Meclemburgo-Pomerania, zona d’origine della stessa Cancelliera. Qui l’Afd ha ereditato il voto dei neonazisti della Npd, che in alcune circoscrizioni avevano sfiorato in passato addirittura il 10 per cento. A metà settembre altro ko a Berlino, dove la Cdu potrebbe uscire dal governo della città. Si aggiungono alle sconfitte politiche le difficoltà in cui si trova la Deutsche Bank, principale banca del paese.

Illustrazione di Duluoz
Non vi è dubbio che la Merkel stia passando uno dei suoi momenti peggiori negli undici anni di leadership a Berlino. A livello europeo non riesce a far valere un’autorevolezza che un Paese come la Germania dovrebbe avere, tentenna, le sue doti diplomatiche di continua ricerca del compromesso sono svanite: sull’immigrazione ha contro i Paesi del centro Europa da un lato e l’Italia di Matteo Renzi dall’altro; sul rigore economico a scapito degli investimenti trascina dalla sua parte solo il Nord Europa; sulla Brexit, che tanto malcontento ha provocato in Europa, interviene il meno possibile perché non vuole rovinare le relazioni con Londra.

Francia
François Hollande, più banale che normale
3/10/2016
Un capitolo a parte sono i rapporti con lo stesso Renzi e con François Hollande. Altalenanti, ma indispensabili se si vuole salvare l’Unione. Un po’ schizofrenici se si guarda all’incontro di Ventotene e poi al vertice di Bratislava. Certamente viziati dal fatto che ciascuno debba fare i conti con l’elettorato di casa propria e tutti e tre sono a rischio bocciatura in un clima dove le alternative di governo, a destra, fanno rabbrividire. Per inciso, la socialdemocrazia tedesca (che coabita nel governo) non è mai stata così fiacca e nessuno sembra emergere come possibile leader alla Willy Brandt o Helmut Schmidt o Gerhard Schröder. Ci fosse, accanto alla Merkel, un abile politico Spd pronto ad agevolare il dialogo con Hollande e Renzi, il terzetto sarebbe forse più compatto e in grado di decidere con maggior vigore e velocità. In corsa per il posto di Sigmar Gabriel c’è il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, possibile candidato alla Cancelleria, ma neppure lui rappresenta una grande novità per il centrosinistra tedesco.

Se questo è il clima internazionale attorno alla Merkel, ancora più forti, se possibile, sono le turbolenze di casa. Gli ultimi sondaggi danno la Cdu al 32 per cento, a livello nazionale, contro il 41,5 ottenuto nel settembre 2013 e anche i socialdemocratici sono segnalati in calo dal 25,7 al virtuale 22 per cento, mentre crescono i partiti cosiddetti “minori” in un panorama che si allontana sempre più dal bipartitismo. La Cancelliera paga internamente l’apertura sull’accoglienza dei migranti che un anno fa le aveva fatto guadagnare applausi in Europa. Da un lato la Csu, alleato di destra bavarese nella Grande Coalizione, ha posizioni più dure sull’immigrazione e vorrebbe una quota massima di 200 mila ingressi all’anno, dall’altro la Spd si sente intrappolata e conta poco.

Ecco perché la politica tedesca è arrivata a un punto di svolta. Tra un anno si vota. Angela Merkel deve decidere cosa fare, se mollare la presa o candidarsi per la quarta volta. Lei non si pronuncia e ogni sua dichiarazione viene studiata parola per parola. In un’intervista al settimanale economico “Wirtschaftswoche” ha raccontato che in gioventù, quando viveva nella Germania dell’Est, voleva aprire un ristorante (si vuole ritirare?) e c’è chi già ha ipotizzato un ritorno all’università per occuparsi della sua passione, la Fisica. In realtà, la Kanzlerin non ha l’aria di essere affaticata e forse l’idea di un altro mandato che le consentirebbe di superare in longevità i quattordici anni di Konrad Adenauer, il Cancelliere della ricostruzione tedesca, e avvicinarsi addirittura al record di sedici anni raggiunti da Helmut Kohl, il padre della riunificazione, sembra poterle toccare le corde migliori. Solo due persone, due ministri, possono al momento aspirare a un’eredità nel partito cristiano-democratico. Wolfgang Schäuble, 74 anni, ormai celebre titolare delle Finanze germaniche e grande sostenitore dell’austerità, poco amato nell’Europa del Sud ma alquanto popolare tra gli elettori tedeschi. Ha molta esperienza, ma risulta difficile vederlo alla guida di una coalizione con i socialdemocratici. C’è poi Ursula von der Leyen, classe 1958, sette figli, molto vicina a Merkel che la nominò prima ministro della Famiglia, poi al Lavoro e affari sociali, infine alla Difesa. Ha un curriculum perfetto, ma è inciampata l’anno scorso nell’accusa di plagio per la tesi di dottorato in Medicina scritta a suo tempo e, a quanto pare, scopiazzata in qualche pagina. Lo scandalo non ha avuto la risonanza e gli effetti che ebbe invece il caso di Karl-Theodor zu Guttenberg, dimessosi nel marzo 2011 proprio per la stessa accusa (il caso vuole che anche lui fosse in quel momento ministro della Difesa), ma è probabile che se Von der Leyen dovesse candidarsi alla Cancelleria il presunto plagio tornerebbe a galla.

Stabilità è da sempre una parola d’ordine categorica in Germania. Basta ricordare che a reggere le sorti del Paese nel Dopoguerra sono stati otto Cancellieri contro i 27 premier e i 63 governi in Italia. “Die Zeit”, settimanale di area progressista, ha definito Merkel post-eroica, né eccessiva nei comportamenti né disposta al sacrificio a tutti i costi, alla quale tocca però governare in un periodo eroico, nella peggior crisi nel dopoguerra. Ha avuto due vite, passando da fisica inascoltata e confinata nei laboratori della Germania Est a punto di riferimento della Germania riunita. Il giornale elenca quattro ragioni per cui sarebbe utile anzi necessaria una sua ricandidatura l’anno prossimo: darebbero un vantaggio alla democrazia, al partito Cdu, all’Occidente e a se stessa.

Quasi un endorsement, in vista di una campagna che si preannuncia molto combattuta. A destra cresce il pericolo Afd. A sinistra nessuno lo ammette apertamente, soprattutto tra i socialdemocratici, ma si comincia a ragionare su una coalizione inedita rosso-verde-rosso, tra Spd, Verdi e Linke, che sta prendendo piede per l’amministrazione di Berlino dopo le elezioni del 18 settembre, ma che potrebbe anche diventare una soluzione a livello nazionale. I tre partiti sono divisi su questioni importanti come politica estera e sicurezza e quindi farebbero campagne separate per poi cercare un compromesso a voto ultimato. Un’operazione inedita resa complicata dall’assenza di un leader credibile e forte, alternativo alla Merkel. François Hollande, più banale che normale