Confindustria non intende promuovere azione di responsabilità contro i vecchi amministratori del “Sole 24 Ore”, di cui è socio di maggioranza assoluta. Il gruppo editoriale che possiede anche “Radio 24” e “Radiocor” dovrà razionalizzazione i costi, compreso quello del lavoro. E, per quanto riguarda il direttore responsabile, Roberto Napolitano, sfiduciato a larga maggioranza dalla redazione, non si cambia “adesso”. Il presidente degli industriali, Vicenzo Boccia, ha espresso questi concetti – secondo quanto ci è stato riferito – durante l’incontro a porte chiuse che si è svolto a Treviso, da giovedì a sabato della scorsa settimana, alla presenza di circa 130 direttori delle sedi territoriali della confederazione. E ha lanciato un richiamo alla compattezza nell’imminenza dell’assemblea degli azionisti che (il 14 novembre in prima convocazione o il 21 in seconda) dovrà eleggere il nuovo consiglio d’amministrazione di via Monte Rosa.
Boccia ha ribadito che il giornale dovrà restare saldamente nelle mani di Confindustria e ha indicato alcune priorità: l’aumento di capitale, indispensabile per abbattere le perdite e ricostituire l’equilibrio patrimoniale, la ristrutturazione del debito verso le banche e la necessità di “razionalizzare” i costi industriali e del lavoro, cioè ancora una volta di ridurre l’occupazione.
Quello dell’aumento di capitale è un tasto molto delicato per Confindustria e per l’equilibrio dei suoi rapporti interni. Le sedi territoriali, che sono a diretto contatto con la base imprenditoriale, da cui incassano le quote associative che poi riversano al centro, chiedono garanzie sulla tenuta economica del gruppo. Il timore è che le perdite (50 milioni nel primo semestre 2016), soprattutto quelle cumulate del quotidiano (100 milioni in quattro anni), non siano ancora emerse pienamente e che da un esame ancora più approfondito del bilancio possa affiorare il rischio di nuove svalutazioni.
Appaiono fortemente indiziate in particolare alcune voci: i crediti, la cui esigibilità sembra essere resa dubbia dal loro persistente elevato ammontare negli anni; il marchio, che potrebbe essere sopravvalutato; gli avviamenti; i canoni di locazione, che fino a qualche anno fa ammontavano a 26 milioni; ma anche i ricavi, resi incerti dai numeri sempre più discordanti delle copie cartacee e digitali effettivamente pagate dai lettori. E assai delicato, soprattutto per la redazione, è anche il tema della “razionalizzazione” per un gruppo che ha già ridotto il numero dei dipendenti (soprattutto quelli poligrafici) ma forse in misura non adeguata al deterioramento dei suoi conti. Nel piano industriale approvato dal Cda dopo le recenti dimissioni di Giorgio Squinzi e di altri cinque consiglieri d’amministrazione si accennava a una “incisiva azione di riduzione dei costi e di efficientamento gestionale”, senza alcun specifico riferimento ai costi del personale.
Non sappiamo se questo piano, proposto dall’amministratore delegato tuttora in carica, Gabriele Del Torchio, rappresenti ancora oggi un punto fermo o se siano subentrati nuovi elementi di valutazione che potrebbero spingere il Cda di prossima elezione a un ulteriore giro di vite sul costo del lavoro. Né sono chiari i termini della contrapposizione tra Del Torchio e Luigi Abete, attuale vicepresidente e amministratore di lungo corso del “Sole 24 Ore”. Di certo c’è che, dallo scontro, Del Torchio è uscito perdente e che ora sta negoziando con l’azienda una ricca liquidazione, mentre Confindustria è già alla ricerca di chi dovrà sostituirlo.
Il significato del discorso di Boccia sarebbe stato pressappoco questo: “’Il Sole 24 Ore’ ha perso gettito pubblicitario e copie, ma non è riuscito a ridurre i costi come avrebbe dovuto; ora è il momento di rimettere il giornale in carreggiata, razionalizzandolo, e tocca a me farlo, senza andare alla ricerca delle responsabilità pregresse”.
Resta da capire se la compattezza emersa a Treviso, dove Boccia pare sia riuscito a infondere alla platea uno spirito di squadra, sia sostanziale o di facciata. “Il Sole 24 Ore”, che per qualche decennio è stata la principale posta del bilancio di Confindustria, dal 2009 non dà più un dividendo. “Sono finiti i tempi delle vacche grasse in cui Confindustria riceveva un quarto delle sue entrate complessive annue dal quotidiano, circa 10 milioni su 40”, è il commento amaro di un alto dirigente. Oggi la realtà è un’altra: per non perdere la presa sul giornale, Confindustria sta promuovendone un oneroso aumento di capitale (continua a circolare la cifra di 30 milioni, ma l’importo necessario non è inferiore a 100) ed è già tanto se, grazie al suo status di associazione non riconosciuta, con obblighi di semplice rendicontazione, non dovrà intaccare i suoi 58,5 milioni di riserve per abbattere a conto economico il valore della sua partecipazione azionaria.
Molto dipenderà dal grado di partecipazione delle Confindustrie locali all’operazione di ricapitalizzazione: le varie Assolombarda, Confindustria Emilia (dove sono confluite le sedi di Bologna, Modena e Ferrara), quelle di Bergamo, Brescia, Padova, la stessa Treviso e tutte le associazioni, territoriali e di categoria, che in primavera avevano sostenuto alla guida di viale dell’Astronomia la candidatura del rivale di Boccia, Alberto Varchi. L’ipotesi più positiva per il presidente sarebbe l’adesione completa del mondo confindustriale all’aumento di capitale; la più negativa, quella di vedersi rifiutare anche solo in parte il sostengo di qualche influente associazione e di dover chiedere l’aiuto finanziario di gruppi amici (il più accreditato sembra quello di Francesco Gaetano Caltagirone, editore del “Messaggero”).
Questa circostanza, per ora solo ipotetica, potrebbe riproporre le divisioni emerse in occasione della sua elezione. E che i nervi siano a fior di pelle è provato dalla dura reazione di Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, alla recente indiscrezione sulla probabile designazione di Franco Moscetti, ex amministratore delegato di Amplifon, alla guida del “Sole 24 Ore” al posto di Del Torchio; nervosismo peraltro ingigantito dall’inchiesta avviata dalla Procura di Milano per falso in bilancio e da quella in corso alla Consob cui ha dato nuova linfa il recente esposto del giornalista Nicola Borzi sulle anomalie dei conti del gruppo. C’è addirittura chi prefigura scenari apocalittici: la grave situazione del quotidiano, senza una soluzione condivisa dei suoi problemi patrimoniali, potrebbe diventare il detonatore di tutto il malessere interno a Confindustra, spingendo le più forti e più rappresentative associazioni a coalizzarsi in una sorta di Confindustria del Nord.
Senza contare la scadenza del referendum costituzionale del 4 dicembre alla quale Confindustria si presenta schierata per il “si”, per voto unanime del suo consiglio generale. Anche in questo caso, la prevalenza del “si” contribuirebbe ad aumentare il consenso di Boccia, che guarda con favore al progetto riformista di Matteo Renzi, e a ricucire gli strappi interni. Una vittoria del “no” potrebbe far rialzare la cresta di molti suoi oppositori e rendere più laceranti le divisioni, appannandone la leadership.