Nuove librerie, bazar artigianali e fattorie condivise: così si ricrea il senso di comunità nella città sempre più spesso abbandonata dai residenti. Il racconto dello scrittore

Da Venezia i veneziani se ne vanno. Venezia non è una città per giovani. Venezia sta morendo per – indovinate ?un po’? – ragioni di mercato. E la morte ?di Venezia non sta solo nell’emigrazione verso Mestre perché affittando la casa ?in Laguna si può vivere di rendita; ?e nemmeno nel rapporto tra il numero ?di abitanti e di turisti, ma anche in quei tentativi che per salvarla ne appiattiscono la diversità. Tutto vero, ma fino ?a un certo punto. Perché da alcuni anni s’intravedono piccoli segnali ?in controtendenza.

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Venezia è diventata una Disneyland triste
15/11/2016
Michele Savorgnano, friulano che vive ?a Venezia dal 1990, è tra gli animatori ?di FUD, Fattoria Urbana Diffusa, che ?si propone di coinvolgere gli abitanti ?per ridare vita a luoghi abbandonati della città. «Si tratta di avere cura della terra ?e delle persone, producendo il necessario e condividendo il surplus. Ogni settimana c’è una giornata aperta in cui tutti possono lavorare la terra, raccoglierne ?i prodotti e mangiare. Qui alla Giudecca non siamo in campagna, ma esistono due realtà, La Laguna Nel Bicchiere - Vigne Ritrovate e SpiazziVerdi, che coltivano le terre disponibili. Io ho mappato i luoghi coltivabili e m’interessa formare persone dando loro gli strumenti per avere cura della città: ci sono laureati in Architettura del Paesaggio che non sanno piantare un chiodo. E invece c’è bisogno di cambiare in meglio questa città bellissima che diventa bruttissima perché troppa gente viene ?a vedere quanto bella è».

Inchiesta
Venezia, sta affondando pure il Mose
15/11/2016
Claudio Moretti a Venezia fa il libraio. «Sono veneziano di prima generazione - tiene a precisare - perché nato sì in Arsenale ma da padre friulano e madre toscana. Da ragazzo a un certo punto me ne sono andato, ma dopo pochi anni sono tornato. Quando ho deciso di restare per me si è trattato di un investimento emotivo, più che economico». E dunque, dopo la libreria Marco Polo a Cannaregio, l’apertura pochi mesi fa della consorella in Campo Santa Margherita. «Una zona dove vivono veneziani e studenti, che per me sono veneziani anche loro. La libreria fa comunità, qui le persone trovano se stesse e altre persone. E questa zona ?è fuori dal turismo di massa. Ma il bello ?è che se da noi capita un turista è felice perché trova altro». Gli chiedo se pensa che Venezia stia morendo. «Non so come ?sarà il futuro, però so che in passato le decisioni venivano prese. L’industria la si metteva a Marghera, i divertimenti al Lido. Oggi invece non si decide, e questo mi fa arrabbiare. Ma Venezia è una città ideale per viverci. Qui si possono crescere figli ?in un contesto diverso da realtà invase dallo smog e dalle auto».

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Niang Moulaye da parte sua ha aperto ?nel 2006 a Castello il suo Negozio Resistente, un piccolo bazar nel quale ?il vetro viene lavorato come a Murano ?ma per dare forma a gioielli e monili d’ispirazione africana. «Sono arrivato qui dal Senegal diciassette anni fa - racconta - e quando ho visto come lavoravano il vetro me ne sono innamorato. Prima di poter imparare il mestiere ho dovuto aspettare due anni perché mi consideravano veneziano: per gli abitanti di Murano ?i veneziani sono solo commercianti, ?mentre loro sono artisti. Poi però ho avuto la fortuna di incontrare due maestri, ?Pino Signoretto e Davide Salvadori, che ?mi hanno insegnato questo mestiere. ?È vero che in tanti fuggono, ma nel mio piccolo ho insegnato a lavorare il vetro ?a sei veneziani, per restituire qualcosa ?a questa città. Perché Venezia è un posto dove tutti ci conosciamo, ci parliamo, ?ci salutiamo. E ha ritmi lenti, africani».