L’Onu ha dato ragione ad Amanda Mellet: “Una violazione dei diritti umani”. Ma Dublino non ha promesso di modificare la legge che punisce l’interruzione volontaria della gravidanza con pene fino a 14 anni di carcere

Per Alan Kelly, portavoce del ministro alla Sanità dell’Irlanda, “il suo coraggio e la sua dignità sono da lodare. Ha fatto un enorme servizio al nostro Paese”. Ma, almeno per ora, Amanda Mellet deve accontentarsi del risarcimento ottenuto dal Governo – 30 mila sterline irlandesi, quasi 40 mila euro – e del sostegno dell’opinione pubblica. Il ministro non le ha promesso di cambiare la legge sull’aborto, ancora illegale e punito con condanne che possono arrivare fino a 14 anni di carcere. Ci vorrà tempo, di fronte a una Costituzione che garantisce la protezione del feto sin dal concepimento e che ancora oggi costringe le donne irlandesi a espatriare per abortire in condizioni di sicurezza sanitaria.

Un paradosso per un Paese che si sta progressivamente liberando dallo storico radicamento della Chiesa cattolica. Ha approvato i matrimoni gay ma sull’interruzione volontaria della gravidanza è rimasto fermo al 1937, quando la Carta costituzionale fu approvata.

Amanda Mellet in Irlanda adesso è quasi un’eroina. Non ha strappato l’impegno del Governo centrista guidato dal primo ministro Enda Kenny a modificare la legislazione. Ma è la donna che ha richiamato l’attenzione della commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, con una denuncia (accolta) per essere stata costretta nel 2011 a cercare assistenza, a  proprie spese, a Liverpool. Aveva scoperto  che il bambino che aspettava era affetto da una gravissima malformazione congenita. E in Irlanda medici e infermieri le avevano risposto che aveva due sole alternative: portare a termine la gravidanza o  andare all’estero.

L’Onu le ha dato ragione. Le sue sofferenze, secondo la commissione di Ginevra, sono state causate “dalla restrittiva legislazione sull’aborto che costringe le donne a trattamenti crudeli, inumani e denigranti”. Una violazione dei diritti umani di fronte alla quale è partito il richiamo del Palazzo di vetro a Dublino. Il Governo è stato invitato ad adeguarsi, con un pronunciamento che rappresenta un precedente internazionale.

Una settimana prima della scadenza imposta dall’Onu, il ministero alla Sanità ha fatto il primo passo, riconoscendo il risarcimento alla Mellet. Per la commissione dell’Onu, infatti, le leggi irlandesi sull’aborto hanno obbligato la donna “a scegliere se continuare la sua gravidanza o viaggiare verso un altro Paese, portando in grembo un feto che stava morendo, a spese personali, separandosi dal sostegno della sua famiglia e facendo ritorno a casa quando non aveva ancora pienamente recuperato”.

Una doppia violazione, visto che l’Irlanda ha aderito al Patto internazionale sui diritti civili e politici, che fa parte della Carta internazionale dei diritti umani. E alla vigilia della scadenza l’Irlanda ha fatto qualche altro timido passo, assicurando un coinvolgimento dei cittadini per verificare la possibilità di modificare una normativa che non punisce l’aborto solo in caso di rischio “reale e sostanziale” di morte della donna.

La Mellet era alla 21esima settimana di gravidanza quando seppe che il feto aveva difetti cardiaci congeniti e sarebbe morto prima o subito dopo la nascita, a causa della sindrome di Edwards, una malformazione che solo in pochi casi permette di sopravvivere più a lungo. Aveva una sola alternativa. Come dicono le donne irlandesi poteva solo “viaggiare”. E lei spese 3 mila sterline per andare in Inghilterra e rientrare nell’arco di dodici ore.
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