Giuseppe Sala si sospende da sindaco e poi riprende il suo posto. Una mossa mediatica furba e usata come una clava contro la procura

E fu così che la comunicazione politica divenne un modo per farsi beffe di tutto e tutti: dei cittadini elettori e della giustizia. E fu così che la comunicazione politica divenne un modo per celebrare processi prima che si arrivasse a farlo nelle aule dei tribunali. E fu così che la comunicazione politica smise di essere il regno dei giustizialisti, quindi di processi celebrati sui media per condannare prima del tempo (che c’è di male? mi si dirà), e divenne anche naturale appannaggio di chi, prima del tempo, ha esigenza di essere considerato innocente, non colpevole, non responsabile.

Giuseppe Sala, il sindaco di Milano, si autosospende dalla sua carica quando apprende di essere iscritto nel registro degli indagati per concorso in falso ideologico e falso materiale nell’ambito dell’inchiesta sulla Piastra Expo, l’appalto più rilevante, per lavori che ha seguito come commissario unico dell’Esposizione, incaricato dal Governo, e da amministratore delegato di Expo 2015 Spa.

Sala si autosospende. Nessuno glielo impone, ma lui lo fa, volontariamente, come eroe in controtendenza. In un’Italia dove tutti si ancorano alle loro poltrone, Sala decide di lasciarla, seppure momentaneamente, perché si faccia chiarezza sulla sua posizione. Quando tutto sarà limpido, definito, ricomposto, potrà rientrare nel pieno delle sue funzioni. Non tardano ad arrivare attestati di solidarietà. I sindaci di 400 comuni italiani definiscono il suo gesto «di grande sensibilità, pieno di dignità e orgoglio» e non possiamo trascurare l’effetto che un tale gesto abbia sortito sui cittadini italiani, vessati da decenni di mala politica, abituati a leggere appelli di invito alle dimissioni e non, al contrario, esortazioni a rientrare in carica.

Poi però Sala interrompe l’autosospensione e si reinsedia a Palazzo Marino. «Torno a fare il Sindaco, certo della mia innocenza verso un’accusa che non costituisce un condizionamento della mia attività». Queste parole, il sindaco di Milano, le affida a Facebook: «Le verifiche svolte dai miei legali in queste intense giornate hanno chiarito sufficientemente il merito dell’indagine e l’inesistenza di altri capi di imputazione».

Perfetto, assolto, tutto chiarito e tutto finito. Il comportamento di Sala, tecnicamente, è una paraculata. Ma è una grave paraculata. E dispiace che sparring partner in tutta questa storia sia la Procura di Milano, fino a poco tempo fa punto fermo nel contrasto alla corruzione. Nessuna norma imponeva a Sala di autosospendersi, dunque la sua è stata una mera mossa mediatica. Quello che colpisce è che - per fatti che secondo le indagini sarebbero stati commessi prima della sua nomina a sindaco - abbia usato il suo ruolo istituzionale come clava, per mettere in un angolo l’ufficio inquirente. In questo modo Sala si è prima autosospeso e poi si è reinsediato poiché ritiene di essere innocente (i miei legali hanno chiarito sufficientemente il merito dell’indagine e l’inesistenza di altri capi di imputazione).

È diritto di ogni indagato proclamarsi innocente, ma farlo dopo che si è mandato l’avvocato a incontrare i magistrati significa voler rappresentare una realtà inesistente, significa barare. Il cittadino Sala, se non fosse stato il sindaco Sala, tutto ciò non avrebbe potuto farlo e non avrebbe goduto della ribalta mediatica per portare a compimento questo suo disegno. Ed è questo abuso della propria carica, artificiosamente nascosto dalla scelta di “autosospendersi”, a restituire un’immagine compromessa della credibilità del sindaco. Dispiace, e lo scrivo davvero con dolore, che la Procura di Milano si sia prima accontentata dei ringraziamenti del governo Renzi per il comportamento “responsabile” in occasione di Expo, e che oggi assista silente a questo gioco delle tre carte. I milanesi che hanno sostenuto Sala, pensando alla continuità con l’amministrazione Pisapia, forse dovrebbero porsi qualche domanda. E io so che hanno tutte le capacità civiche per farlo.

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