La Corte costituzionale ritiene "inammissibile" il ricorso della coppia Usa: "Non si tratta di adozione, ma di riconoscimento di una sentenza straniera". In pratica, nulla muta sullo stato dell'arte dell'adozione per le coppie omosessuali in Italia

Mentre al Senato la presentazione del maxiemendamento sulle unioni civili slitta a domani, arriva la molto attesa pronuncia della Consulta su un caso di stepchild adoption, riconosciuta in America per le figlie di una coppia omosessuale, e da riconoscere o meno in Italia. Il responso della Corte costituzionale può trarre in inganno: ha deciso infatti stamattina che la questione è “inammissibile”. Ma questa è né una buona, né una cattiva notizia per i diritti delle coppie omosessuali. “La sintesi è molto banale: non cambia nulla”, spiega all’Espresso il costituzionalista Stefano Ceccanti.
 
Perché? “Era il punto di partenza ad essere sbagliato, e la Corte ha sgombrato il campo dall’errore”. Per capire meglio, bisogna riassumere la vicenda: il caso è quello di una coppia di donne, Eleonora Beck e Liz Joffe, sposate negli Usa, ciascuna una figlia naturale, che chiedono venga riconosciuta in Italia la sentenza con cui il giudice dell'Oregon stabilì che entrambe sono, reciprocamente, madri adottive della figlia avuta dall’altra. Le due donne si sono rivolte al Tribunale dei minori di Bologna, e i giudici hanno sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo che la legge italiana sulle adozioni, poiché non prevede le adozioni per le coppie omosessuali, non consenta al giudice la piena libertà di decidere se concedere o meno l’adozione “nel superiore interesse del minore”.
 
Oggi, però, la Consulta dice che la vicenda delle due americane non va trattata come un caso di adozione, bensì come un caso di riconoscimento di una sentenza straniera. “Il Tribunale di Bologna – scrivono i supremi giudici in una nota - ha erroneamente trattato la decisione straniera come un'ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera, pronunciata tra stranieri”. In pratica, spiega Ceccanti, “le due donne dovevano rivolgersi all’ufficiale di stato civile, per veder riconosciuta la sentenza di adozione. E solo di fronte a un no, andare in Tribunale”. Insomma, la procedura da seguire doveva essere un’altra: e il Tribunale di Bologna, invece di rivolgersi alla Corte costituzionale, doveva inviare le signore davanti all’ufficiale di stato civile.
 
Con questa ordinanza, dunque, la Consulta nulla toglie o aggiunge allo “stato dell’arte” della stepchild adoption italiana. I supremi giudici non sono infatti nemmeno entrati nel merito di quanto affermato dalla Avvocatura dello Stato, che aveva argomentato essere “inammissibile” il ricorso delle due americane, perché la legge sulle adozioni in realtà permette già “casi particolari” di adozione, e quindi consente di accedervi anche alle coppie gay, in nome appunto dell’interesse “supremo” del minore.

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