Partendo dall'analisi dell’omicidio del ricercatore italiano in Egitto Giulio Regeni, proposta dal direttore de “l’Espresso” sullo scorso numero, partendo dall’imbarazzo dei governi democratici nel dover ammettere di aver aperto (anzi spalancato) le porte ad al-Sisi perché «in una guerra mondiale non dichiarata si è collocato dalla parte conveniente della barricata», mi domando: quanto costerà agli egiziani la nostra indignazione per la morte di Giulio Regeni?
E poi quanto costerà a noi stessi e al mondo intero? E cosa significa, esattamente, la nostra indignazione? Quello che è successo in Egitto è chiaro a tutti, mancano dei tasselli, ma non sono fondamentali per comprendere il quadro d’insieme. Giulio Regeni, ricercatore italiano al Cairo, nel corso dei suoi studi sui movimenti sindacali egiziani, decide di partecipare direttamente alla vita delle organizzazioni che sta studiando. Il 25 gennaio 2016, la sera del quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, Giulio scompare nel nulla. Chi lo conosce si preoccupa immediatamente. Il suo corpo martoriato verrà ritrovato nove giorni dopo, il 3 febbraio, su un cavalcavia dell’autostrada tra Il Cairo e Alessandria d’Egitto.
Giulio è stato rapito, torturato e ucciso dal Mukhabarat, i servizi segreti egiziani. Il motivo? Gli uomini della sicurezza egiziana sarebbero ossessionati dalle informazioni che circolano negli atenei: è questa l’opinione condivisa di chiunque faccia ricerca in Egitto. Non regge nemmeno per un momento la teoria dell’omicidio passionale, né l’ipotesi che Giulio in realtà fosse una spia. Non regge perché quello che è accaduto a Giulio Regeni non è una terribile eccezione, ma in Egitto è la dannatissima regola. Non regge perché per un agente straniero sotto copertura, le autorità egiziane avrebbero avuto maggiori precauzioni.
Sulla sorte di Giulio Regeni chi conosce l’Egitto non ha dubbi. Chi gli arresti, le sparizioni, i pestaggi e le torture ha smesso di contarli sa che questo è ciò che accade a chiunque osi mostrare dissidenza sotto qualsiasi forma. Dal colpo di Stato del luglio 2013, il governo di al-Sisi ha arrestato circa 40 mila persone. Dal 2011 a oggi (soprattutto tra aprile e maggio 2015) sono scomparse almeno 90 persone. E, a riprova del fatto che la linea del governo è di strenua difesa delle forze dell’ordine, la Corte d’Appello annulla la sentenza di condanna dell’agente di polizia che l’anno scorso al Cairo ha ucciso l’attivista di sinistra Shaimaa el-Sabbagh, durante il corteo pacifico per il quarto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir. Infine, la sera in cui è scomparso Giulio Regeni, altre settantacinque persone sono state arrestate.
Settantacinque persone di cui in Italia non si parla, per le cui sorti in Italia non ci si indigna e di cui non si sa nulla. Ecco perché la nostra indignazione è pericolosa: perché giunge a conclusioni sbagliate. Ci si indigna perché è stato rapito e barbaramente ucciso un ragazzo brillante e italiano, un cervello in fuga, ma italiano. E il governo egiziano farà tesoro della nostra indignazione, eccome se lo farà, e delle nostre richieste di chiarimento. Il governo egiziano, da oggi in poi, starà molto attento a far sparire, a torturare e a uccidere solo studenti, ricercatori, giornalisti, blogger e attivisti egiziani, dei quali nessun governo straniero chiederà conto, per le cui sorti nessuna diplomazia e nessun accordo economico verranno messi in discussione.
Quindi o smettiamo di indignarci, o capiamo quanto esponenzialmente più grande deve essere la nostra indignazione. Ora che sappiamo che Giulio è morto, pretendiamo di sapere che fine hanno fatto le altre 75 persone arrestate il 25 gennaio scorso. È nostro dovere e ci riguarda. In caso contrario, con la nostra indignazione e senza la nostra comprensione, avremo solo indicato ai torturatori, a quel governo che dovrebbe arginare la deriva fondamentalista, quali potranno essere le prossime vittime.
Non conoscevo Giulio Regeni personalmente, ma sono certo che vorrebbe siano queste ora le domande da porre insistentemente alle autorità internazionali perché arrivino, dall’Egitto, risposte chiare: dove sono le 75 persone arrestate il 25 gennaio 2016, ovvero la notte in cui Giulio è stato ammazzato? E le 40 mila persone arrestate? E i 90 desaparecidos? Pretendere risposte è l’unico modo per fare giustizia a Giulio, non un italiano che amava il mondo, ma un uomo che amava il mondo.