Richieste di condanna pesantissime per i 71 imputati del processo Aemilia che hanno scelto il rito abbreviato. Tra questi molti sono considerati al vertice del clan Grande Aracri, il marchio di fabbrica della 'ndrangheta emiliana messa sotto accusa dalla procura antimafia di Bologna.
Le pene più alte sono state chieste per i vertici della cosca: dai 16 ai 20 anni. Tra questi ci sono Alfonso Diletto, Antonio Gualtieri, Nicolino Sarcone, Antonio Silipo, Romolo Villirillo, Giuseppe Giglio, Francesco Lamanna. Per il volto più noto della 'ndrina, che è anche il capo assoluto già condannato per mafia, sono stati chiesti 12 anni, ma in questo procedimento non era accusato di associazione mafiosa a differenza degli altri.
Hanno scelto l'abbreviato anche i due politici di Forza Italia imputati: Giuseppe Pagliani, ancora in consiglio comunale a Reggio Emilia, e Giovanni Bernini, pezzo grosso del centrodestra a Parma e già collaboratore dell'ex ministro Pietro Lunardi. Per loro i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi hanno chiesto al giudice rispettivamente le condanne a 12 anni per concorso esterno e a 6 anni per voto di scambio politico-mafioso, il 416 ter, che per la prima volta viene applicato in Emilia Romagna.
Fin qui boss e politici. Ma nell'elenco ci sono anche professionisti come Roberta Tattini, consulente finanziaria di Bologna che si vantava al telefono, con il suo marcato accento bolognese, con il padre di aver ospitato nel suo ufficio il padrino Grande Aracri “Manuzza” in persona. Per lei i magistrati hanno chiesto 13 anni e 8 mesi di carcere. E giornalisti, come Marco Gibertini. Anche per quest'ultimo l'accusa vorrebbe una pena esemplare: 14 anni, per essersi messo a disposizione della 'ndrangheta emiliana organizzando soprattutto la campagna stampa per difendersi dagli attacchi mediatici e giudiziari.
La tesi dell'accusa è chiara: l'organizzazione alla sbarra ha negli anni conquistato autonomia dalla casa madre di Cutro, in provincia di Crotone, il regno di Nicolino Grande Aracri “Manuzza”. Una 'ndrangheta emiliana, appunto, con la testa in provincia di Reggio Emilia, in particolare a Brescello, dove risiedono molti dei capi sotto processo e gran parte della famiglia del super boss Grande Aracri. Il clan si è radicato in questo territorio, inquinato interi settori dell'economia, riuscendo persino a inserirsi nella ricostruzione post terremoto, condizionato ben sei competizioni elettoriali e stretto relazioni con professionisti e insospettabili del territorio.
Sono richieste esemplari, dunque, che mostrano quanto la procura antimafia abbia intenzione di lasciare il segno. Perché se dovessero essere accolte, di pene così alte per mafia in Emilia non si erano mai viste.
D'altronde, non deve sorprendere. Il quadro emerso dalla retata del 28 gennaio 2015- eseguita dai carabinieri di Modena e Reggio Emilia coordinati dai magistrati bolognesi- era già impressionante, per numeri e per qualità criminale dei fermati: 117 persone arrestate, beni per 300 milioni di euro sequestrati e oltre 200 indagati. L'impianto dell'accusa , qualche mese dopo, ha retto all'udienza preliminare con il rinvio a giudizio di tutti gli imputati. Tranne i 71 che hanno preferito farsi giudicare con il rito abbreviato. Fino alla durissima requisitoria dei pm che si è conclusa con la prima tornata di richieste di condanna. Dalla prossima udienza parleranno prima le parti civili(dall'assoazione Libera alla Cgil, agli enti locali) e poi sarà il momento delle arringhe degli avvocati. Le sentenze, forse, a metà febbraio.
Mentre il dibattimento, con 147 imputati, inizierà il 23 marzo a Reggio Emilia. Il Comune ha pubblicato il bando per appaltare i lavori per realizzare il prefabbricato dove svolgere il dibattimento. Il tribunale reggiano non era pronto per accogliere così tanti imputati, come, del resto, non lo era Bologna, il capoluogo della regione. Tanto che per le udienze preliminari e ora per l'abbreviato è stata allestita un'aula blindatissima in un padiglione della fiera.