Finanziato dall'Italia, col coordinamento delle Nazioni Unite e di una ong di Ginevra che si occupa di armi leggere, ha l'obiettivo di dare strumenti alle ragazze in un paese, la Libia, in cui a partire dal 2011 le armi sono diventate strumenti domestici diffusi quanto pentole e coltelli. «Un bambino di 10 anni ha accidentalmente ucciso sua madre maneggiando una pistola», ha raccontato Asma, una signora di Bengasi, a Al Monitor, durante il laboratorio.

Pistole e fucili proliferano. Costano, sul mercato nero, ma non abbastanza da fermarne la fame in un conflitto che minaccia di rendere ogni giorno più instabile il paese, nonostante gli sforzi per trovare una coalizione che possa arginare l'avanzata dell'Is. La domanda di armi, fra le bande che se ne serviranno per attentati e le famiglie che vorrebbero usarle «solo per difendersi», come raccontano le donne, non si ferma. «Prima del conflitto, i libici non avevano questa cultura delle armi», ha detto Selma, di Zaoula: «Ma ora sono stanchi del conflitto e vogliono pace. Partecipando al training spero di poter contribuire a rendere la mia comunità più sicura».

È l'obiettivo del corso: distribuire informazioni utili per evitare incidenti. Precauzioni per riconoscere i rischi. Per saper maneggiare un fucile in sicurezza, se e quando serve. «Ho imparato molto sulle armi leggere, sui controlli necessari quando sono senza custodia o vicino a casa», ha detto un'altra donna: «e ora capisco meglio anche le direttive internazionali, so come dovrebbero essere applicate in Libia, soprattutto per noi donne».
Col velo sui capelli e sorridenti posano nelle foto delle Nazioni Unite prima di tornare a casa e portare il messaggio. «Vogliamo ringraziare il governo italiano perché finanzia questo progetto», recita il comunicato dell'Unmas: «E supporta questa nuova iniziativa per il supporto delle donne e della loro abilità di rafforzare e costruire la pace, la sicurezza».