Sono oltre 21 milioni. Sequestrati a un ex manager di Bank of America. Una sentenza ha stabilito che devono rientrare in Italia, ma non si sa bene chi dovrebbe incassarli. E allora i soldi restano su un conto nel Liechtenstein. A 12 anni dal carck del gruppo di Tanzi

Oltre 21 milioni di dollari della vecchia Parmalat, frutto di distrazioni all’estero, aspettano di conoscere il loro beneficiario a dodici anni dalla bancarotta che scavò una voragine di 14 miliardi di euro nei bilanci di Collecchio. La loro confisca, effettuata dopo il crack dall’allora procuratore federale di Lugano Pierluigi Pasi, è infatti definitiva con sentenza del Tribunale svizzero di Losanna solo dal 5 gennaio di quest’anno.

Il tesoretto si trova in Liechtenstein su un conto riconducibile a Luca Sala, l’ex manager della filiale italiana di Bank of America (Bofa), che in agosto sarà processato dal Tribunale di Bellinzona per riciclaggio aggravato, falsità in documenti e corruzione attiva. Ma a chi finirà il denaro? Parmalat in amministrazione straordinaria, che si era costituita parte civile contro Sala, ha cessato di esistere nel novembre 2015 dopo che la Cassazione ha passato in giudicato il provvedimento di omologazione del concordato con i creditori. Il legittimo pretendente dovrebbe essere Parmalat Spa, subentrata come “assuntore” del concordato alla vecchia Parmalat e scalata nel 2011 dai francesi di Lactalis.

Parmalat Spa (grazie alla modifica della legge Marzano avvenuta con la Finanziaria del dicembre 2006) è l’erede universale dei diritti e degli oneri della Parmalat in amministrazione straordinaria e, forte di questo suo status, ha chiesto al Tribunale di Bellinzona di potersi costituire parte civile, ritenendosi il legittimo proprietario dell’importo confiscato.

Cosa accadrebbe, però, se la Svizzera, con una diversa interpretazione della legge italiana, decidesse di non riconoscere l’attuale Parmalat come l’erede naturale di quei soldi? I 21 milioni potrebbe essere acquisiti dallo Stato elvetico o essere ripartiti tra Svizzera e Liechtenstein. Per l’Italia sarebbe uno smacco: oltre al danno della bancarotta, la beffa di vedersi sottrarre il maltolto che, con altrettanta legittimità, potrebbe essere prelevato dalla Procura di Parma per ripagare l’amministrazione della giustizia delle spese sostenute per le indagini e i processi (da 4 a 5 milioni di euro). E gli obbligazionisti danneggiati? Dopo la chiusura del fallimento non hanno titolo per incassare alcunché.

Tra gli aspiranti beneficiari della somma c’era anche Bank of America. Bofa riteneva di potersi a sua volta costituire come parte danneggiata facendo appello all’accordo transattivo del 2009 con cui Parmalat in amministrazione straordinaria si era dichiarata “tacitata” per 100 milioni di dollari e aveva rinunciato a ogni pretesa futura nei suoi confronti. Ma i giudici di Bellinzona hanno respinto la sua richiesta. Bofa ha cercato di inserirsi nel processo in Svizzera per rafforzare la propria posizione in Italia.

Per gli stessi episodi distrattivi per i quali è imputato di riciclaggio a Bellinzona, Sala è infatti imputato di bancarotta fraudolenta a Parma, dove Bank of America potrebbe dover rispondere “solidalmente” del danno provocato dal suo ex manager ai piccoli investitori ammessi al processo. Il problema è che nel capoluogo emiliano il dibattimento non è ancora cominciato. La chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio contro Sala, firmate dal pubblico ministero Lucia Russo, risalgono rispettivamente a otto e a sette anni fa. L’udienza preliminare si è conclusa quattro anni fa. Da allora la procura attende fiduciosa l’inizio del processo. Forse quest’anno sarà la volta buona.

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