Lo Stato Islamico dispone di un arsenale parallelo, un armamentario low cost creato grazie a forniture in arrivo da oltre 50 paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, dalla Cina all'India. Ecco come viene alimentato e che rischi pone

Lo Stato Islamico dispone di un arsenale parallelo, un armamentario low cost che viene alimentato ogni giorno da piccole e grandi forniture in arrivo da oltre 50 paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, dalla Cina all'India. Le milizie del Califfo sono riuscite così ad accumulare, a una velocità senza precedenti, attrezzature e sostanze di uso comune.

Ingranaggi di un puzzle mortale, quei prodotti vengono trasformati dai tecnici del califfato in ordigni per la guerra a bassa intensità. L’elenco è sterminato: si va dai prodotti chimici ai fertilizzanti, dai chip elettronici ai telefoni cellulari: tutti componenti e sostanze in grado di essere manipolate per diventare “IED” ordigni esplosivi improvvisati.

L’analisi dell’arsenale Isis è contenuta nel rapporto presentato dalla ong “Conflit Armament Research”, organizzazione indipendente incaricata dall'Unione europea di studiare la fornitura di armi in conflitti armati. Il rapporto è stato elaborato in due anni di lavoro sui campi di battaglia, dagli investigatori della ong, grazie all’analisi dei materiali sequestrati dai militari iracheni e siriani alle forze Isis.
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Grazie a questo catalogo di piccoli oggetti comuni, si ha la consapevolezza di come i jihadisti possano utilizzare sui campi di battaglia ordigni tanto rudimentali quanto devastanti, sia per difendere il territorio conquistato, sia per azioni kamikaze o più semplicemente quale estrema risorsa per minacciare la popolazione civile che tenta di rientrare nelle città sottratte al controllo dei miliziani.
Foto: Conflict Armament Research

Nei campi di addestramento Isis, i combattenti imparano le tecniche di produzione e l’utilizzo di questi ordigni artigianali: sono una potenziale minaccia anche per i Paesi occidentali, con centinaia di “returnees” (i foreign fighter di ritorno nei paesi di origine) pronti a combattere sul suolo europeo. Realizzati con componenti a buon mercato e facilmente reperibili, gli “IED” sono diventati una delle principali risorse strategiche delle brigate del Califfo e vengono prodotti, secondo quanto riferisce il rapporto consegnato all’Unione Europea, su scala “quasi industriale”. Interrompere la catena logistica di questi rifornimenti è quasi impossibile: sono canali commerciali diversi dalle forniture di armi vere e proprie e non si può parlare di traffici illegali.

La maggior parte delle componenti utilizzate per questi ordigni rudimentali sono beni non soggetti a embargo e nelle maggior parte dei casi, vengono trasportate fin sui campi di battaglia senza licenza di esportazione. La difficoltà nel blocco a queste forniture è accentuata, come spiegano gli analisti di “Conflit armament research”, dal fatto che nelle zone di guerre controllate dall’Isis “il confine è praticamente aperto”. “I nostri investigatori – spiega James Bevan, direttore della ong – hanno seguito in presa diretta l’attraversamento del confine tra Turchia e Sira con il passaggio dei camion di rifornimento”.
Foto: Conflict Armament Research

Lo studio si basa su oltre due anni di monitoraggio delle zone di conflitto e sulla valutazioni dei materiali sequestrati soprattutto nei magazzini delle città liberate dalla presenza Isis: al Rabia, Kirkuk, Mossul, Tikrit e la città siriana di Kobane. Per ogni singolo oggetto recuperato è stata ricostruita la storia commerciale: chi l’ha prodotto, da dove è partito, dove è transitato e che tempo ha impiegato per finire nelle mani dell’esercito islamista. Le indagini hanno stabilito che tutte le transazioni commerciali sono state effettuate legalmente. Dalla casa di produzione, le componenti sono state inviate a centri di distribuzione dell’area turco siriana per poi finire nelle mani dell’esercito del Califfo. Un imbuto che si restringe proprio sulla Turchia, paese verso cui vanno indirizzati – prima di arrivare a destinazione – la maggior parte dei componenti monitorati nel report degli investigatori.

Anche i materiali che dovrebbero essere soggetti a controlli, come detonatori e detonanti, vengono commerciati con facilità, grazie al loro utilizzo comune nelle attività estrattive e minerarie. Le licenze di esportazione – spiega il rapporto – non sono sufficienti a evitare che quei materiali finiscano nelle mani delle forze IS. Gli investigatori hanno contattato le aziende produttrici e i commercianti “coinvolti” in questa rete di trasferimenti. In nessun caso è stata individuata la consapevolezza di contribuire alla creazione dell’arsenale IED delle brigate IS, quasi a dimostrare una generale mancanza di consapevolezza rispetto all'uso potenziale di queste componenti da parte delle formazioni terroriste.

Dal rapporto emerge un dettaglio sui modelli di telefoni cellulari preferiti dall’Is per armare a distanza i loro ordigni rudimentali. E’ il Nokia –Microsoft modello 105 Rm -908. Negli arsenali dell’Isis sono stati ritrovati dieci esemplari di questo apparecchio, già collegati a ordigni pronti ad esplodere. Per arrivare sul fronte di battaglia quei telefoni hanno viaggiato parecchio. Consegnati dalla casa di produzione in Yemen a luglio del 2014 sono stati inviati negli Emirati Arabi a una compagnia telefonica di Dubai, per essere poi smistati a Erbil, nel Kurdistan e a Baghdad per arrivare infine nei magazzini del Califfato a Tikrit.