L'allarme dei servizi nella relazione al parlamento. Ma soprattutto i dati investigativi finora emersi e riportati nell'ultimo rapporto della procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Così la provincia e le carceri si sono trasformate in covi per fondamentalisti

Nato nel cuore dell’Europa a pochi chilometri da Stoccarda. Residente in un tranquillo paesone del nordest italiano. ?Era un perfetto insospettabile, il macedone Ajhan Veapi. Ma il profilo anagrafico non deve trarre in inganno: gli investigatori del Ros dei carabinieri lo reputano un reclutatore dello Stato islamico nel nostro Paese. Uno di quelli che arruola aspiranti jihadisti e li fa viaggiare lungo la "rotta balcanica". La via che conduce alla guerra santa più vicina a noi. Veapi arruolava mimetizzato nella quiete friulana. Indottrinava per conto di un imam itinerante bosniaco ?e fedele al Califfato. I sermoni del macedone avevano convinto ?tre persone a partire per la Siria: un suo connazionale, un serbo e un pakistano. Due di loro sono morti in combattimento, mentre il terzo è tuttora in forza all’Is.

L'allarme dei servizi e super procura
Si nascondono così gli aspiranti terroristi nella anonima provincia italiana. La caccia ai jihadisti di casa nostra è aperta. E si è fatta ancora ?più intensa nell’anno santo del Giubileo. C’è persino una pista, ?al vaglio degli inquirenti di una procura del Sud, che conduce ?nei quartieri del radicalismo islamico del Belgio con il possibile coinvolgimento di presunti estremisti. In tutta Italia nel mirino ci sono i foreign fighters ancora in guerra e altri che hanno intenzione di tornare in patria, i gruppi del salafismo radicale di origine balcanica, ma anche i possibili "lupi solitari", che nel mosaico ?del terrore, per la loro imprevedibilità, sono le schegge più insidiose. L’attenzione è dunque altissima. A maggior ragione dopo l’allarme lanciato dagli 007 italiani. Che nel loro dossier presentato al Parlamento segnalano i fattori di pericolo per il nostro Paese, sottolineando che il territorio italiano è, oggi, ancora più esposto ?ad attacchi di commando armati in stile Parigi.

Coincide, l’analisi dei servizi, con i primi risultati dell’attività ?della procura nazionale antimafia guidata da Franco Roberti,?che dall’approvazione delle nuove norme antiterrorismo ha ottenuto la delega al coordinamento delle inchieste sul terrorismo. ?Il procuratore definisce Daesh (acronimo arabo per Stato islamico) «uno Stato-mafia». Una miscela di radicalismo ideologico, violenza terroristica, imprenditorialità criminale e dominio territoriale con proiezioni internazionali: in pratica «i connotati essenziali e tipici delle associazioni di tipo mafioso». Per incassare quattrini il metodo utilizzato dall’Is non è diverso da quello usato dai talebani: ?il narcotraffico è lo strumento privilegiato per accumulare risorse. ?E non si tratta solo di ipotesi: «Dai più recenti sviluppi delle attività in tema di terrorismo riconducibile all’Is, sono emerse rilevanti connessioni, fra cellule terroristiche operanti in Europa e trafficanti di stupefacenti» osservano i magistrati della procura nazionale nell’ultima relazione annuale.

Per incassare quattrini il metodo utilizzato dall'Is non è diverso da quello usato dai Talebani: il narcotraffico è lo strumento privilegiato per accumulare risorse. E non si tratta solo di ipotesi: «Dai piu? recenti sviluppi delle attivita? pre-investigative svolte da questo Ufficio in tema di terrorismo riconducibile all’Isis, sotto il profilo finanziario, sono emerse rilevanti connessioni, fra cellule terroristiche operanti in Europa e trafficanti di stupefacenti» osservano i magistrati della procura nazionale nell'ultima relazione annuale.

«La radicalizzazione ha ormai assunto le medesime caratteristiche, sebbene non ancora le stesse dimensioni, con cui si presenta negli altri Paesi europei» è scritto nel rapporto, che prosegue: «Alcuni fattori che avevano inizialmente ritardato lo sviluppo del fenomeno – quali l’assenza o la scarsita? di immigrati di seconda o terza generazione oppure i limitati casi di conversione – stanno gradualmente venendo meno. Il minor numero di casi e? sostanzialmente dovuto alle piu? ridotte dimensioni del bacino di persone vulnerabili ai messaggi radicali».

Detenuti e jihad
Occhi puntati anche all’interno delle carceri, che possono trasformarsi in laboratori dell’indottrinamento religioso.
Le spie di questo fenomeno sono numerose, come raccontato da "l’Espresso" ormai un anno fa e come conferma l'indagine recente sui due foreing fighters arrestati dalla procura di Roma pochi giorni fa. Uno dei due indagati macedoni si è avvicinato all'Is proprio durante la detenzione.
Secondo le ultime stime in prigione si trovano circa diecimila musulmani praticanti. E sarebbero cinque i musulmani che durante la detenzione hanno abbracciato la causa islamista e una volta usciti sono partiti per campi d’addestramento in Siria o in Iraq. Prima degli attentati di Parigi i detenuti sotto osservazione per estremismo religioso e proselitismo erano 200. Attualmente sarebbero 282. Un'indagine a Bologna sta cercando di verificare alcuni indizi su presunti maestri del proselitismo all'interno del penitenziario: gli investigatori sono partiti da alcune informazioni e dalle dichiarazioni di un detenuto che avrebbe raccontato della presenza di alcuni attivisti jihadisti nel carcere emiliano.

«La maggioranza dei detenuti, ristretti per reati comuni, sono esposti al rischio di possibili attivita? di proselitismo. In tale ottica bisogna attenuare il "bisogno di appartenenza ad un gruppo", dei detenuti comuni di fede islamica, che, se abbandonati a se stessi, vivono la detenzione come un fallimento rispetto alle loro aspettative nel momento in cui sono giunti in Italia e possono pertanto essere attratti da un gruppo terroristico che li faccia sentire piu? importanti. Per evitare il rischio del "radicalismo" nelle carceri, possibile fonte di formazione di cellule terroristiche appare opportuno investire innanzitutto nella formazione interculturale del personale della Polizia Penitenziaria e nell’apertura delle carceri a rieducatori di fede musulmana, adeguatamente preparati e moderati. Non c’e? dubbio che il principale strumento di prevenzione da attuare sia quello di consentire ai detenuti di fede islamica di vivere la propria religiosita? in condizioni di dignita?» si legge nel rapporto della procura antimafia

I fronti aperti
Fuori dai penitenziari, invece, i detective stanno monitorando l’ambiente del fondamentalismo islamico. Dal riciclatore ?legato al terrorismo internazionale con interessi a San Marino ?al combattente siriano transitato dall’Italia per sottoporsi a un intervento maxillofacciale, dall’imam di un paese della Romagna sospettato di "adescare" giovani per il jihad al ragazzo, con problemi psichici, partito dalla provincia bolognese per combattere in Iraq e bloccato dalle autorità irachene. Più di un sospetto anche su un egiziano, ritenuto un reclutatore, transitato in Italia dalla Francia, e su un cittadino kosovaro domiciliato sull’Appennino modenese, ma al momento irreperibile, sospettato, come scrive la procura nazionale antimafia, di «progettare un attentato a Vienna».

Anche le procure marchigiane, molisane, lombarde, venete, calabresi e pugliesi lavorano senza sosta per scovare potenziali jihadisti. Ed eventuali connessioni con traffici illegali spesso monopolio delle nostre organizzazioni mafiose. Se nelle Marche gli inquirenti vigilano su un gruppo legato al ai terroristi tunisini di Ansar Al Sharia, in Molise il monitoraggio è concentrato su personaggi ben noti che in tempi recenti hanno viaggiato in zone calde, dove sono presenti campi di addestramento per jihadisti.

Indagini complesse
Nonostante l'impegno, però, i numeri del contrasto al terrore islamista restano ancora molto bassi. Per fare un esempio: le misure di prevenzione personali(foglio di via, sorveglianza speciale) e patrimoniale(sequestro e confische di beni) applicate sono appena sei in tutto il territorio. Uno dei primi a essere colpito da è stato un cittadino kosovaro nel bresciano. Sono provvedimenti difficili da applicare. In questo senso la procura nazionale chiede un miglioramento normativo su due strumenti che nella lotta ai clan mafiosi funzionano a meraviglia. Ma c'è dell'altro. E, questa volta, la richiesta di aiuto viene da una procura molto esposta in tema di repressione del terrorismo islamico. A Bari solo nell'ultimo anno sono stati aperti sei fascicoli contro persone note per terrorismo. Ma gli inquirenti si scontrano con una serie di problematiche che rendono queste indagini particolarmente difficili:«La difficolta? di trovare interpreti, vuoi per la molteplicita? dei dialetti arabi; vuoi per il timore che gli stessi interpreti manifestano nei confronti dei soggetti intercettati. Altra seria problematica e? la carenza da parte della polizia giudiziaria di idonee apparecchiature per le intercettazioni telematiche, indispensabili per i reati di terrorismo».