
E ancora: «Non so se sono adeguata a guidare la Capitale d’Italia. Posso dire che mi sento pronta. Nessuno da solo può sconfiggere il “mostro”. Solo insieme ad altri si può andare a dama», ripete. Andare a dama, ovvero raggiungere la linea opposta della scacchiera. Provare a catapultare una giovane donna che vive in una borgata alla periferia ovest di Roma fino alle porte del Campidoglio, nella stanza che affaccia sui Fori, sulla poltrona di sindaco che fu di Ernesto Nathan e di Giulio Carlo Argan ma anche di Gianni Alemanno. E se l’operazione Dama riesce, se vince Virginia Raggi, la candidata di M5S alle elezioni amministrative di primavera, l’intero sistema politico ne uscirà sconvolto.
All’interno del Raccordo anulare si sperimentano i futuri equilibri nazionali. A Roma, più che nella Milano di Umberto Bossi, nacque il centro-destra che avrebbe egemonizzato la politica italiana per vent’anni: fu quando Silvio Berlusconi, non ancora leader di Forza Italia, buttò lì che se fosse stato romano avrebbe votato al ballottaggio per il segretario Msi Gianfranco Fini e non per il verde Francesco Rutelli. Sul fronte opposto, nel centro-sinistra, nel 2001 e nel 2008, due sindaci si sono candidati a premier: Rutelli e Walter Veltroni. Il centro-destra e il Partito democratico sono nati a Roma. E a Roma rischiano la disfatta.
Nel Pd pesa la fine traumatica della giunta di Ignazio Marino, incapace di arginare gli effetti politici dell’inchiesta Mafia Capitale, sotto inchiesta per le note spese e defenestrato dal partito. E Roberto Giachetti finora non ha capovolto l’immagine di un Pd che divora i suoi sindaci. Anzi, nell’ultima settimana sono arrivati i pasticci attorno ai numeri dei votanti alle primarie e il giudizio impietoso di Massimo D’Alema: «Giachetti si è fotografato su Internet mentre traina un risciò su cui è seduto Renzi. Non può essere l’immagine del sindaco di Roma, neanche per scherzo».
Il centro-destra sembra il set di “Ave, Cesare!” dei fratelli Coen. Il 15 marzo, il giorno delle idi di marzo, è arrivata la pugnalata letale, quando Giorgia Meloni ha annunciato di volersi candidare, in accordo con Matteo Salvini e al contrario di quanto affermato un mese fa: «Aspetto un bambino, non posso fare campagna elettorale in gravidanza». Il regno berlusconiano a Roma si sfalda in quattro: oltre a Guido Bertolaso e Meloni sono in campo Alfio Marchini e Francesco Storace. E il dissolvimento è l’occasione d’oro per i «ragazzotti» Salvini e Meloni per chiudere i conti con l’Imperatore di Arcore.
In questa situazione le elezioni romane sono una spaventosa roulette russa. Con Renzi e Berlusconi che rischiano. E con i poteri diffusi della città che si interrogano su chi sia davvero Virginia Raggi e quali siano i suoi propositi. Per ora è un’incognita: l’avvocato Raggi X. La scrutano dipendenti del Comune, commercianti, palazzinari, sindacati, vigili urbani, tassisti. Il Vicariato e le ambasciate straniere. Le rappresentanze diplomatiche si sono fatte vive per conoscerla di persona. La stampa internazionale ha cominciato a occuparsi di lei. «A fair chance of success», l’ha definita “The Economist”.
L’Operazione Dama all’interno del Movimento 5 Stelle è partita più di un anno fa, quando è apparso chiaro che Marino non avrebbe retto all’onda d’urto di Mafia Capitale. Il regista e principale sponsor della candidatura è il deputato Alessandro Di Battista. Altri esponenti, la deputata Roberta Lombardi, puntavano su Marcello De Vito, candidato sindaco nel 2013. Ma alla fine i militanti hanno scelto la Raggi. Chiamata a mostrare il nuovo volto del Movimento post-Grillo: la stagione della normalità.
Normale, infatti, è l’aspetto fisico: né alta né bassa, un filo di trucco, abbigliamento low profile ma non dimesso, occhi neri che risaltano in tv. Normale la sua biografia: nata il 18 luglio 1978, cresciuta nel quartiere San Giovanni, diploma scientifico all’Isacco Newton, laurea in giurisprudenza all’università Roma Tre con il professor Vincenzo Zeno-Zencovich. In comune con molti coetanei diventati grandi tra gli anni Novanta e i Duemila la Raggi ha il disinteresse per la politica. Un individuo casuale, l’avrebbe definita il sociologo Achille Ardigò, senza appartenenze ideologiche, concentrata su di sé e sul lavoro, flessibile come tanti della sua età. «Da studente non ho mai partecipato alle manifestazioni», racconta. «Ho votato nel corso degli anni l’Ulivo, quelle cose lì, forse il Pd è più recente, non ricordo bene. Ero di sinistra, in famiglia sono cresciuta con un ideale che non ho visto rispettato, sono stata delusa». L’impegno va in altre direzioni: le associazioni ambientaliste di quartiere, come “Il Pineto”, e i Gas, sigla che sta per Gruppi di acquisto solidali, le associazioni che comprano generi alimentari direttamente dal produttore e li vendono a prezzo pieno al consumatore: cibo biologico, le arance di Rosarno.
Normale la professione di fede: «Sono cattolica, non praticante». Normalissimi i gusti culturali: «L’ultimo libro che ho letto? Non me lo ricordo. Ultimo film? “Revenant”, con Leo DiCaprio. La musica? De Gregori e i Subsonica. E un tempo avevo fatto l’abbonamento a teatro». Il chiodo fisso sono le due ruote: la bicicletta, un giro dell’Austria nel 2008, e la moto. Prima una Honda VF 400, poi una Sv 650. «Vivo di passioni», s’illumina la centaura quando ne parla.
Gli incontri che le cambiano la vita sono due. Il primo è l’avvocato Pieremilio Sammarco, titolare dello studio in cui lavora la Raggi, in via Muzio Clementi, quartiere Prati. Una famiglia importante: il padre Carlo, presidente della Corte d’ Appello di Roma, era il candidato di Giulio Andreotti alla presidenza della Consob. Il fratello Alessandro è stato a lungo avvocato di Cesare Previti. Nello studio di via Cicerone in cui si sfornavano le leggi ad personam per il Cavaliere, lo stesso in cui la Raggi ha fatto pratica legale nel 2003. «All’inizio volevo seguire la carriera accademica, poi ho fatto due colloqui, dopo essermi rotta una gamba. Pieremilio che avevo conosciuto all’università mi chiese se volevo lavorare con lui, all’epoca si appoggiava lì, da Previti. C’erano quindici avvocati e due o tre praticanti, facevamo le file e le copie degli atti. Previti lo incontravo in corridoio. Sapevo dei suoi processi, ne parlavo con gli amici, ma facevo il mio lavoro». L’imbarazzante vicinanza con l’avvocato berlusconiano condannato per corruzione in atti giudiziari è stata omessa nel curriculum della Raggi, lei sfodera gli artigli: «Per accusare me hanno attaccato un’intera categoria, gli avvocati, e poi i ragazzi normali che dopo la laurea cercano uno studio in cui fare pratica».
Il secondo incontro, decisivo, è con il marito Andrea Severini, responsabile dei tecnici di Radio dimensione suono, patito della bicicletta. Con lui ha un bambino e vive nella borgata Ottavia, sulla Trionfale. La fiammata per la politica nasce per caso, quando il comitato di quartiere di cui Virginia fa parte incontra il presidente del municipio per parlare di un bus navetta da collegare con la stazione più vicina della metro. «Chi vi manda? Chi rappresentate politicamente?», chiede il presidente Alfredo Milioni, finirà nelle cronache nazionali, è l’esponente di Forza Italia che non riesce a presentare la lista del Pdl a Roma alle elezioni regionali del 2010. In quell’anno con Andrea e un amico Virginia si avvicina al Movimento. Il primo tavolino lo compra lei in un supermercato, ora lo tiene in casa tutto rattoppato, come un cimelio. Nel 2013 la coppia si candida alle comunali: Severini, il più militante, raccoglie appena 132 voti. La Raggi, invece, conquista 1525 preferenze, seconda degli eletti. Dopo tre anni è in corsa per il Campidoglio. Obbligata a vincere.
Per farlo, i 5 Stelle sono pronti a eliminare i toni rivoluzionari delle origini. «Per Roma la vera rivoluzione è la normalità», spiega Virginia. «Il sindaco deve amministrare in nome di tutti». E via con le rassicurazioni. I dipendenti comunali, un esercito di 25 mila persone cui vanno aggiunti altri 32 mila delle aziende partecipate (Atac, Ama, Acea)? «Bisogna riallacciare i rapporti con i dipendenti capitolini onesti e farli sentire parte di una squadra», risponde la candidata. D’accordo, ma non saranno troppi? «Non vedo un problema di sovrabbondanza». Tutti salvi, dunque. E l’Atac, con i suoi 11 mila dipendenti, la voragine del debito (tra 1,4 e 1,6 miliardi di euro), il servizio peggiore d’Europa? «Gli autisti sono seimila, non è colpa loro, gli autobus sono rotti e restano in deposito. Bisogna tagliare gli sprechi, le consulenze, parentopoli», concede la Raggi. Lo stadio della Roma, oggetto del desiderio della grande speculazione? «Sono favorevole, ma non a Tor di Valle». E le Olimpiadi? «Se vinco io non si faranno». Ed è forse l’unico no radicale. Tutto il resto suona dolce, flessibile, una massiccia dose di tranquillante per il corpaccione della Capitale stressato da inchieste, sindaci marziani, commissariamenti, eppure ancora in grado di masticare e inghiottire qualunque tipo di cambiamento. La strategia della morbidezza, tassello fondamentale della campagna della Raggi. «Ai cittadini diremo: dateci un anno di tempo, poi ci giudicherete», spiega Di Battista. Sulla Raggi, la sua candidata, il deputato si esprime così: «È una persona centrata».
O forse centrista, per non dire democristiana. In ogni caso attrezzata a parlare all’anima profonda della città più cinica e arrabbiata d’Italia. Con l’abilità a muoversi, l’opportunismo di fiutare le occasioni tipico della sua generazione. Senza mettere paletti, nessuna fetta di elettorato è preclusa: «A me fa piacere vedere nei miei confronti apprezzamenti trasversali, da sinistra e da destra», riconosce. E già si rivolge al premier: «Se sarò eletta voglio avere con lui un rapporto franco. Matteo Renzi si auto-proclama presidente del Consiglio di tutti gli italiani, che gli piaccia o meno dovrà parlare con il sindaco di Roma».
I sondaggi la danno in testa. Se dovesse arrivare al ballottaggio contro il Pd su di lei arriverebbero i consensi dell’elettorato di destra, come ha già fatto capire Salvini. E intanto in M5S i futuri candidati sono vagliati dai big del Movimento, preoccupati di non ripetere il disastro di Quarto, dove M5S si è dilaniato nella faida interna. E c’è il tentativo di mettere su una squadra di assessori tecnici prima del voto. Gian Roberto Casaleggio ha conosciuto la Raggi una settimana fa e l’ha benedetta. Beppe Grillo si farà vedere per il suo spettacolo, in programma per maggio all’auditorium di via della Conciliazione, all’ombra del Cupolone. Virginia ci sarà sicuramente, in prima fila. Per andare a dama.