Il presidente dell'ente previdenziale ha lanciato l’allarme sui giovani che andranno in pensione tardi e con pochi soldi. E nell'esecutivo crescono ?i mugugni per le sue proposte. Ma lui non molla. E vuol vincere la sua corsa

Tito Boeri
Da buon ciclista, Tito Boeri immaginava che guidare l’Inps cercando di rivoluzionare il sistema pensionistico sarebbe stato duro come un Tour de France. Forse però non si aspettava di dover rintuzzare attacchi così frequenti, spesso anche provenienti dai suoi compagni di squadra.

Già, perché anche se nessuno lo ha criticato “de visu”, al governo c’è chi manifesta spesso, in privato, una certa insofferenza nei confronti del docente della Bocconi chiamato al vertice dell’Inps nel dicembre 2014 dal premier Matteo Renzi. Le più insofferenti, pare, sono le ministre Maria Elena Boschi e Marianna Madia.

Gli allarmi sulla “generazione perduta” che oggi non riesce a entrare nel mercato del lavoro, e quello sui ragazzi degli anni Ottanta che, accumulando ulteriori buchi contributivi, rischia di andare in pensione a 75 anni con assegni miseri, ha scatenato la reazione, palese, di Susanna Camusso. La segretaria della Cgil ha definito «irragionevole» presentare la realtà in questo modo: «Rischia di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani». Un po’ tutta la Cgil, di ieri e di oggi, spara a palle incatenate contro Boeri.

Welfare
Pensioni, sempre più grande il divario tra ricchi e poveri. E una generazione è perduta
20/4/2016

Oltre a Camusso, si distinguono nelle bordate personaggi come Giuliano Cazzola, con un passato alla segreteria nazionale della Cgil e da molti anni fuori dall’area della sinistra, e Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro della Camera ed ex sindacalista di Cgil e Fiom. Schermaglie a pioggia pure sulla famosa busta arancione, che stima quanto varrà l’assegno pensionistico a fine carriera. Era un cavallo di battaglia accademico di Boeri, universalmente riconosciuto come uno strumento di trasparenza.

Ora però, nel fuoco della polemica, questa overdose di verità dà fastidio, evidentemente. Da quasi un anno, peraltro, è possibile simulare sul sito Inps il futuro della propria pensione e venerdì 22 aprile sono partite le prime 150 mila buste cartacee. Due milioni di versatori di contributi hanno effettuato cinque milioni di simulazioni, e in 150 mila hanno compilato il questionario per i commenti.

Tra chi ha risposto, la maggioranza c’è rimasta male ma ha preso atto delle nubi che si addensano sulla pensioncina che verrà. Invece, secondo i critici, le missive non sono un utile strumento di trasparenza ma una trasmissione di angoscia, perché milioni di persone, soprattutto giovani, vedono nero su bianco quanto magra sarà la propria pensione. Ancora più polemiche mediatiche provoca un altro cardine del Boeri-pensiero, la volontà di tagliuzzare le pensioni più alte non coperte dai contributi e i vitalizi. Senza dimenticare la battaglia sulla cosiddetta flessibilità, che consentirebbe a molta gente di ritirarsi prima della naturale scadenza “di vecchiaia”, sacrificando una fetta della pensione che avrebbe intascato lavorando ancora in attesa dell’ora X.

Faq
Busta arancione dell'Inps, cosa vi dice (e non vi dice) sulla vostra pensione
28/4/2016

Suo malgrado, l’economista milanese è così diventato una bandiera degli anti-renziani, sia a destra sia a sinistra. La sua insistenza per aver voluto realizzare davvero il progetto delle buste arancioni viene considerata alla stregua di uno spot-antigovernativo: siccome milioni di lavoratori scoprono che la futura pensione sarà deludente, è il ragionamento, certo non si schiereranno con l’esecutivo né al referendum costituzionale di ottobre e neppure alle amministrative di giugno, dove ci sono in ballo i sindaci di Roma e Torino. Cazzola, e non è il solo, azzarda una gustosa ipotesi dietrologica: per lui, il 57enne Boeri è un paracadutista lanciato oltre le linee nemiche, perché Renzi le idee del professore le condividqe ma tace e vuol vederne l’effetto.

Il presidente dell’Inps ha spesso sottolineato come prima di rendere noti i suoi interventi abbia sempre chiesto - ottenendolo - il via libera del capo del governo. Qualche tempo fa era circolata l’idea che, in caso di rimpasto, Boeri avrebbe potuto prendere il posto di Giuliano Poletti al ministero del Lavoro. Qualcuno gli ha anche fatto capire che, all’uopo, un po’ di “moderazione” non avrebbe certo guastato.

Boeri, che da liceale ha militato nell’estrema sinistra ed è figlio di un capo partigiano di Giustizia e Libertà - il neurologo Renato Boeri - e dell’architetto di fama mondiale Maria Cristina Mariani Dameno, detta Cini - tira dritto, gramscianamente ancorato all’ottimismo della volontà e al pessimismo della ragione. D’altronde, quando frequentava il classico al Manzoni, insieme al fratello Stefano (l’architetto che a Milano è stato anche assessore alla Cultura) faceva parte del Movimento Studentesco. E i militanti dell’MS del Manzoni erano inquadrati in un gruppo chiamato proprio Gramsci. Forse anche quell’esperienza ne ha plasmato il carattere, non incline naturalmente allo scontro ma attrezzato a sostenerlo.

Agli spifferi che lo vedono tornare in tempi brevi all’università, Boeri replica così: «Alla vita accademica ci tornerò ma prima vorrei finire molte delle cose che ho avviato qui all’Inps. Non ci avevo mai pensato, non l’ho chiesto io. Renzi mi ha cercato e io ho detto sì, anche perché l’accordo era che avrei potuto avere un ruolo propositivo. Ha cambiato idea? Se lo ha fatto, non me lo ha detto».

Alberto Brambilla, esperto di previdenza e sottosegretario al Lavoro in due governi Berlusconi, plaude alle buste arancioni ma ricorda che ai tempi del governo di Lamberto Dini, l’allora presidente dell’Inps Gianni Billia che lanciava allarmi sul futuro delle pensioni era stato rimbrottato dal premier: «Lei faccia il capo dell’Inps che a fare politica ci pensiamo noi». Non è la situazione attuale. O almeno, azzardano i maligni, non ancora. C’è chi sostiene come, con l’allarme sulle “generazioni perdute”, Boeri abbia messo in difficoltà il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan a Bruxelles. Per Boeri è l’opposto, anzi ritiene, con le sue analisi e le sue proposte, di aver fornito a Padoan uno strumento in più per chiedere flessibilità.

Spera, l’ex senior economist dell’Ocse a Parigi (dov’era stato anche il primo “young professional”) nonché ex prorettore della Bocconi, di riuscire a convincere il governo a intervenire sul tema della povertà. Spera anche nella cosiddetta flessibilità in uscita. Le stime dell’Inps dicono che consentire la pensione anticipata a chi la vuole e in cambio accetta un taglio dell’assegno, inizialmente, com’è ovvio, costerà: 1,5 miliardi il primo anno, per crescere a quasi cinque nel 2020.

Da lì in poi comincia la discesa e arrivano i risparmi. Altri studi permettono al presidente dell’Inps di illustrare quanto la legge Fornero abbia rallentato l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, giacché se s’innalza sensibilmente e all’improvviso l’età pensionabile, le imprese che hanno in servizio addetti che vedono allontanarsi l’uscita assumono meno giovani. «Le nostre rilevazioni sulle aziende sopra i 15 dipendenti nel periodo 2008-2014 lo confermano. Ogni cinque anni di “permanenza aggiuntiva” in ditta, spesso di persone non troppo motivate, equivalgono a un’assunzione in meno di un giovane», spiega Boeri.

Ecco perché non smette di insistere per una scelta giusta anche nel breve periodo: dà la possibilità di uscire a chi è demotivato e per lo Stato non c’è alcun impatto. Se uno si ritirerà dall’impiego tre anni prima e camperà fino a 90 anni, avrà un assegno più basso ma i costi per l’Inps saranno identici a quelli di chi andrà in pensione all’età prevista e camperà, ugualmente, fino a 90 anni.

Certamente Boeri si sentirà frustrato, talvolta. Perché dare una scossa a un ente incrostato da complicatissime normative e senza il pieno appoggio dell’esecutivo non è una passeggiata: «Però sono soddisfatto per aver ottenuto tre risultati importanti: il pagamento delle pensioni a tutti il primo del mese; l’operazione verità su molte categorie, da cui appare chiaro che in tanti andati in pensione col metodo retributivo ricevono assegni straordinariamente superiori a quelli che avrebbero col metodo contributivo; e ora le buste arancioni».

I genitori famosi e una carriera da bocconiano doc, la militanza studentesca e il consolidato rapporto con Carlo De Benedetti (che lo ha voluto, nel 1998, al comando della nascente fondazione dedicata al padre), sono stati utilizzati da alcuni per metterlo nel mirino, come snobistico rappresentante dell’élite tecnocratico-meneghina. Ma Boeri è tutt’altro che snob.

Le sue passioni più forti sono la bici e il calcio: è tifosissimo del Milan (appena può, è in tribuna a San Siro) e adora pedalare veloce. Ora lo fa su una Wilier Triestina, equipaggiata Campagnolo, di quelle utilizzate qualche anno fa da un team di professionisti. Gliel’ha fatta comprare un amico giornalista del “Corriere della Sera”, Stefano Rodi. Lui sì che va, confessa ammirato Boeri, che comunque di chilometri e di salite ne macina parecchi. Nell’appartamento in cui abita a Roma ha piazzato in corridoio una vecchia Detto Pietro in alluminio. E mentre suda sui rulli, grazie al computer simula epiche salite come Galibier e Stelvio, Alpe d’Huez e Mortirolo, o percorsi di classiche monumento come la Milano- Sanremo.

A Roma va a correre spesso con Daniele Checchi, docente di Economia politica alla Statale di Milano e consigliere dell’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), uno dei primi a scrivere su “lavoce.info”, il sito economico fondato da Boeri nel 2004. Le vacanze le trascorre nella casa alla Maddalena, disegnata negli anni Sessanta dalla mamma. Dove si alza prima dell’alba, sale sul gozzo Calafuria in plastica e va a pescare i calamari da usare come esca per la traina. Quando c’è, lo accompagna uno dei due figli, il maschio. Al volante rivela un coriaceo understatement: dopo un decennio su una vecchia Volvo familiare, è passato a una Volkswagen Sharan usata. Quello che conta in una vettura, per lui, è la capacità di stivare le bici. E sulla monovolume ce ne stanno comodamente tre, senza smontare neppure una ruota.

Quando viveva a Milano, ogni martedì sera giocava a calcetto a Settimo Milanese con gli amici del Manzoni, su e giù sulla fascia destra (l’aveva detto, mamma Cini, che Tito era il più “di destra” dei suoi figli...). Niente maggiordomi in guanti bianchi che rispondono «il signorino Tito è a fare la rivoluzione», come per anni s’è raccontato per sbeffeggiare la famiglia Boeri quando Tito è diventato economista quotato e certo non marxista.

«La storia del maggiordomo è cominciata trent’anni fa con un pezzo de “Il Manifesto” ma a rispondere al telefono fu Francesco, un signore sardo che mia mamma ingaggiò come “badante” dei suoi tre figli dopo il divorzio col babbo. Non ha mai avuto i guanti bianchi e non mi ha mai chiamato “signorino”. È uno di famiglia e ancora adesso che ha 84 anni, se sa che siamo alla Maddalena attraversa l’isola per prepararci le torte per cui i miei figli vanno pazzi», racconta Boeri.

Farà il ministro, dopo questa esperienza? «No, mia moglie mi ammazza», dice ridendo. Al termine del mandato si rivede in Bocconi. E se lo cacciano prima? Uguale. Perché, giura, insegnare e ricercare è quello che ama. Oltre che andare sulla bici da corsa. Pochi giorni fa per la prima volta ha indossato una maglietta con la scritta Amplifon. «Mi pare perfetta, per il presidente dell’Inps».