Bocciate le pregiudiziali di Lega e Meloni, la Camera procede nell’approvazione delle unioni civili. Approvazione scontata, anche perché il governo ha posto la fiducia, tra le proteste delle opposizioni. Il candidato sindaco della Capitale, sempre più a destra, dice: «Rispetto. Ma da sindaco non celebrerò unioni gay»

È la settimana della legge sulle unioni civili, in Parlamento. Chiusa la discussione generale, bocciate (anche con i voti dei 5 stelle) le questioni pregiudiziali presentate dalla Lega e da Fratelli d’Italia, arriverà a Montecitorio un voto di fiducia, nel senso che il governo la chiede e comodamente la otterrà, forte dei numeri favorevoli. La legge sulle unioni civili non è dunque a rischio, alla Camera. Ma è comunque occasione di dibattito e vero e proprio scontro.
A cominciare dalla scelta di porre la fiducia, scelta da tempo annunciata, ma che ha comunque provocato la protesta delle opposizioni.
La legge, dicevamo, salvo colpi di scena è cosa fatta, perché è al Senato che ha dovuto superare le insidie delle mediazioni necessarie per ottenere il via libera degli alfaniani e dei cattolici più radicali nel Pd. È lì che la senatrice Monica Cirinnà ha dovuto rinunciare ad alcuni passaggi della legge, tra cui - tra le proteste delle associazioni Lgbt - l’adozione del figlio del partner, già mediazione rispetto al pieno accesso alle adozioni, mai preso in considerazione.
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La Camera dunque approverà le unioni e doterà l’Italia di una normativa sul tema, anche se già vecchia rispetto a quella di altri Paesi europei - come notano tutti i più noti attivisti gay, compresi quelli da subito favorevoli alla legge.
Il voto definitivo dovrebbe arrivare entro venerdì 13 maggio, probabilmente già giovedì dopo quelli sugli emendamenti. Senza troppa suspense. Seguire il dibattito è però sempre interessante. Si possono ammirare Maurizio Sacconi e Alessandro Pagano, ad esempio, per Area popolare chiedere a Mattarella di rinviare la legge alle Camere, mentre il gruppo parlamentare però si prepara a votare tanto la fiducia quanto la legge, disciplinati (solo Binetti, per dire, annuncia che si asterrà).

I toni sono apocalittici: Mattarella dovrebbe intervenire perché «si avvia, con la legge sulle unioni civili finalizzate alle famiglie artificiali, il progetto di sovversione antropologica» e «ritorna l'ingegneria politica dell'uomo nuovo che tanti disastri ha prodotto nel '900». C’è poi il leghista Nicola Monteni che si erge anche lui a paladino del Family day: «La fiducia», dice, «è una fiducia che segna la vostra debolezza ed è uno schiaffo è nei confronti dei milioni di cittadini che non la pensano come voi, che difendono la famiglia».

E c’è la deputata Eleonora Bechis, ex 5 stelle, che critica la maggioranza dal fronte opposto: «Giovedì alla Camera si svolgerà l'ultimo atto della vergognosa legge targata Renzi-Alfano sulle unioni civili. Una legge che nasceva per dare agli omosessuali una parità agognata da decenni di lotte e invece segna ancora una volta discriminazioni intollerabili». Bechis - che ricorda anche come la partita non sia comunque finita,
come scritto da l’Espresso, dovendo Alfano fare regolamenti e decreti attuativi - è così d’accordo con Giuseppe Civati il cui partito, Possibile, non voterà la legge.
 
Non la voterà perché i numeri ci sono, e perché il governo ha messo una fiducia che rende difficile partecipare, visto che già la legge di suo non piace molto. Le ragioni sono state spiegate in aula da Andrea Maestri, deputato ex Pd che ha recentemente raggiunto Civati: «Questa legge ha due primati, arriva ultima in Europa ed è anche la più arretrata», ha detto, «si è voluto disancorare le unioni dall’articolo 29 della Costituzione, convinti che l’unione tra persone dello stesso sesso non sia famiglia, non possa approdare a un matrimonio tradizionalmente inteso, e le si è ricondotte alle formazioni sociali di cui all’art 2». Possibile, insomma, è per i matrimoni egualitari. Per i matrimoni sarebbe anche Sinistra Italiana il cui orientamento è però di votare contro la fiducia e a favore della legge, come hanno chiesto, alla fine, anche le associazioni Lgbt. Ancora non hanno deciso, invece, i 5 stelle.

È da fuori Montecitorio, però, che arriva il lancio di giornata. Se dentro l’aula Forza Italia annuncia che voterà contro la fiducia e contro la legge ma lascia libertà di coscienza ai molti deputati tentati, fuori il suo candidato al Campidoglio, Alfio Marchini dice che mai celebrerà unioni civili, peraltro già istituite autonomamente dal Comune di Roma. Marchini sa benissimo che non potrà evitare di applicare una legge nazionale, in realtà, conosce l’articolo 328 del codice penale sull’omissione degli atti d’ufficio, ma lui personalmente vorrebbe sottrarsi: «Non ho nulla contro il riconoscimento dei diritti civili», dice, «ma non è compito del sindaco fare queste cose. Per cui non celebrerò unioni gay se dovessi vincere le elezioni».