Human Technopole, gli esperti internazionali favorevoli al genoma made in Milano
Arrivati i primi pareri chiesti dal governo per il centro ricerche per la lotta ai tumori che sorgerà nell’area Expo. E il responso è positivo: un ottimo piano, che dovrà però essere realizzato con attenzione e competenza. Ecco gli aspetti cruciali, a cominciare dall’assunzione di 1.400 ricercatori. Gran parte cervelli in fuga
Impressive, E cioè «di grande effetto». Fascinating, ovvero «affascinante». Dotato di un «clear focus», un obiettivo preciso. «Timely and exciting», un progetto eccitante, che arriva al momento giusto. Un’idea con caratteristiche uniche, in grado di dar vita a un «world leading place for relevant science», un luogo dove fare scienza d’avanguardia.
Tra pochi giorni, alla fine di maggio,il governo di Matteo Renzi dovrà dare il giudizio definitivo sul progetto di realizzare a Milano, sull’area dove si è svolto l’Expo, un centro ricerche dedicato alla prevenzione e alla cura dei tumori e delle malattie neuro degenerative, come possono essere l’Alzheimer e il Parkinson. L’idea ha suscitato un dibattito acceso, che ha visto alcuni scienziati e universitari italiani schierarsi contro.
Prima fra tutti, Elena Cattaneo, farmacologa e senatrice a vita, che per tentare di bloccare il piano ha presentato nell’aula di Palazzo Madama un vero e proprio dossier contro il soggetto scelto da Renzi per elaborare il progetto dello Human Technopole, com’è stato battezzato il centro. Al centro del mirino sono finiti così l’Istituto italiano di tecnologia di Genova e il suo direttore Roberto Cingolani, autore della prima bozza per la realizzazione del centro, sviluppata poi con un nutrito gruppo di esperti e accademici.
Sta di fatto che, mentre fra parlamento e giornali le polemiche infuriavano, al ministero dell’Università e della ricerca (Miur) guidato da Stefania Giannini sono giunti i pareri internazionali chiesti per valutare l’idea dello Human Technopole. I nomi delle personalità contattate dal ministro non sono divulgabili, nel rispetto della procedura in uso nel mondo scientifico detta “peer evaluation”, valutazione fra pari.
Si può dire soltanto che si tratta di esperti scelti tra i responsabili di quelle strutture che, nel mondo, compiono studi comparabili a quelli che Cingolani e gli altri autori del progetto propongono di fare a Milano. Le frasi riportate all’inizio dell’articolo sono estratte dalle valutazioni - finora ne sono arrivate cinque sulle sette inviate - che però non si esauriscono in poche parole.
Sono giudizi approfonditi e articolati e, al di là dell’impressione favorevole suscitata dallo Human Technopole, non nascondono i problemi che il piano può incontrare. Ad esempio: l’ambizione del centro è tale che richiederà «a careful and sensitive management», una gestione attenta e raffinata. E ancora, la sua complessità spinge uno degli esperti interpellati a suggerire «una struttura di governo indipendente», che si rapporti all’Iit di Genova come a una «sister organization», un’organizzazione sorella, senza dipendere dall’istituto ligure in maniera diretta.
Toccherà ora a Cingolani e agli altri scienziati che hanno firmato il piano accogliere i suggerimenti dei “pari”, in modo da sottoporre al governo una proposta definitiva.
UN’OPPORTUNITA' IMPERDIBILE Quel che pare chiaro è che, nelle intenzioni dei promotori, lo Human Technopole rappresenterà per la ricerca un’opportunità unica. Per capire perché si può partire dall’ufficio di Andrea De Censi, primario di oncologia al Galliera di Genova e professore al “Centre for Cancer Prevention” della Queen Mary University di Londra, dove conduce ricerche da anni. I locali del suo reparto, nell’ospedale genovese, sembrano il risultato di numerosi rimaneggiamenti, avvenuti in un secolo di storia.
Stanze strette, soffitti bassi, passaggi ricavati dove l’architettura ottocentesca aveva previsto spazi diversi. Eppure, in un contesto così segnato dal tempo, De Censi e i suoi ricercatori stanno conducendo uno studio d’avanguardia a livello mondiale. «Prendiamo farmaci semplici, diffusi e poco costosi, come ad esempio l’aspirina, e li associamo agli anti-tumorali in nano-particelle che vengono somministrate ai pazienti. Lo scopo è potenziare reciprocamente l’efficacia delle cure, riducendo al minimo gli effetti collaterali che ha, ad esempio, una normale chemioterapia», spiega De Censi.
Messa così sembra una roba semplice. Non lo è. Per dire, le nano-particelle che servono da veicolo per i farmaci sono grandi un milionesimo di millimetro, e devono essere pensate in modo da agire solo sugli organi colpiti dal tumore, in particolare il colon, ignorando gli altri. Qui è nata la collaborazione con l’Iit: «Li abbiamo cercati per ingegnerizzare le nano-particelle e loro hanno potuto aiutarci perché erano stati in grado di ottenere dei fondi europei, assegnati su base competitiva», racconta Laura Paleari, uno dei ricercatori del Galliera che sta conducendo la sperimentazione.
Ma c’è di più. L’obiettivo è arrivare a terapie personalizzate, che permettano di costruire farmaci su misura per i pazienti, grazie allo studio del loro Dna. Per andare in questa direzione, servono però computer in grado di elaborare enormi quantità di dati, relativi al profilo clinico di ogni paziente, alle abitudini alimentari e di vita, al suo genoma e alle varianti genetiche associate al rischio di una specifica malattia: «Analizzandoli sarà possibile arrivare a una prevenzione personalizzata, nonché ridurre in modo significativo i costi delle cure, visto che saremo in grado di prevedere quali farmaci funzioneranno in ogni specifico caso», dice De Censi. Ma qui in ospedale, che genere di computer avete? «Questo qui», risponde Paleari, indicando il pc sul tavolo.
A BOLOGNA LA MEMORIA DEL CENTRO Per quanto faccia un sacco di cose, un computer da scrivania non basta per lo Human Technopole, che dovrà realizzare circa 9 mila mappature genomiche l’anno, tra persone malate e sane, il cui “screening” servirà per elaborare strategie preventive, anche sul piano alimentare. Il genoma è l’insieme di tutte le informazioni genetiche depositate nella sequenza del Dna di una persona, contenuto nelle cellule sotto forma di cromosomi.
Per questo a Milano ci sarà una struttura con macchine in grado di “fotografare” il sequenziamento del Dna e un secondo laboratorio, che dovrà essere in grado di mappare l’attività cerebrale “in vivo” delle persone e visualizzare la struttura molecolare di organi e tessuti. Un pezzo dell’infrastruttura di Human Technopole, però, esiste già.
Per vederla bisogna spostarsi a due passi da Bologna. La zona industriale di Casalecchio di Reno è, certamente, il cuore delle “boccette” bolognesi. Il bar Equipe Charlot, con i suoi sei tavoli da gara, lisci come una pesca e riscaldati, è proprio alle spalle di un altro cuore, quello del supercalcolo tricolore. È qui che dal 1969 ha sede il Cineca, un consorzio universitario (fa capo a 70 tra atenei e enti come il Cnr e lo stesso Miur) che si occupa anche di sistemi informativi per le università.
La partnership con Human Technopole coinvolge un’ottantina di scienziati, informatici, matematici e ingegneri agli ordini di Sanzio Bassini, direttore del Dipartimento Supercalcolo Applicazioni e Innovazione: Scai per gli addetti ai lavori. È grazie al Cineca, per dire, che Roberto Car e Michele Parinello hanno sviluppato la teoria della dinamica molecolare quantistica, che nel 2009 ha fatto vincere loro il premio Dirac, una sorta di Nobel per la fisica teorica.
Qualche esempio. Human Technopole genererà un flusso copioso di dati genomici che per motivi di sicurezza saranno presenti in numerose copie. Grazie alla collaborazione con ospedali e cliniche, sarà poi archiviata un’ulteriore serie di dati clinici, dai valori delle analisi del sangue alle Tac e quant’altro.
E ancora, andando nel difficile: il nuovo polo creerà modelli matematico-statistici di tipo “correlativo” tra dati genomici e clinici. Per realizzarli, sono necessarie le infrastrutture del Cineca. E servono algoritmi in grado, ad esempio, di simulare la struttura tridimensionale del genoma.
Gli esperti del centro bolognese conoscono bene l’hardware - che cambiano con cadenza triennale - e sono bravissimi nell’ottimizzare i software che vanno applicati alle nuove macchine. Ibm e Lenovo hanno fornito loro architetture che ancora non erano state messe in commercio, dandogliele in anteprima.
La capacità degli uomini di Sanzio Bassini è riconosciuta a livello mondiale. Pur con meno quattrini, il Cineca battaglia in termini di capacità di calcolo con il centro tedesco di Julich, vicino ad Aquisgrana, oppure con lo svizzero National High Performance Computing Center, a Lugano. L’ultimo supercomputer, gli elvetici lo hanno battezzato Piz Daint, uno dei picchi dei Grigioni. In Emilia invece vanno sul classico, e dopo i sistemi Galileo e Fermi ora è in corso l’implementazione del Marconi, che nella gara senza fine a chi fa il supercalcolatore più potente riporterà il Cineca in vetta all’Europa.
IL CAPITALE UMANO E IL MODELLO IIT L’altro fattore determinante per il successo dello Human Technopole sarà la scelta delle persone che lo guideranno. Cingolani ha sempre detto che le ipotesi per la gestione del centro possono essere diverse, da una fondazione ad hoc a un periodo - tipo un biennio - nel quale all’Iit può essere assegnato il compito di costruire la struttura, da affidare a chi se ne occuperà.
Oltre alla costruzione di un mega-laboratorio di queste dimensioni, il punto cruciale è come saranno scelte le persone che ci lavoreranno dentro. Basta un pomeriggio nella sede dell’Iit di Genova per afferrarne la ragione.
Mensa dell’istituto, ore 13. Al tavolo, nell’unico posto libero, si siede Liberato Manna, laurea a Bari, quattro anni da ricercatore a Berkeley, Università della California, poi il ritorno in Italia, nel laboratorio del Cnr di Lecce, infine nel 2009 l’approdo a Genova. Insegna in Olanda, al Kavli Institute of Nanoscience, una montagna di pubblicazioni, brevetti, premi importanti come quello assegnatogli nel 2013 dall’American Chemistry Society.
È uno dei rari italiani ad aver ottenuto ben due degli ambiti finanziamenti dello European Research Council, il secondo nel 2014 per un progetto quinquennale da 2,4 milioni per studiare il comportamento chimico-fisico dei nanocristalli colloidali, una frontiera scientifica gravida di applicazioni.
Tre piani più sotto, nel laboratorio di biologia molecolare si può avere un assaggio del futuro Human Technopole. Luca Berdondini, svizzero di Locarno, laurea al Politecnico di Losanna, racconta di come il suo gruppo di lavoro è stato in grado di costruire un sensore su cui sono stati impiantati migliaia di neuroni riprogrammati, per misurarne l’attività elettrica, studiando “in vivo” il funzionamento dei farmaci che contrastano le malattie neurodegenerative.
Qual è il concetto? Lo Human Technopole dovrà assumere circa 1.400 persone, tra cui 1.162 scienziati, medici, biologi, chimici, fisici, statistici, informatici, ingegneri. I più importanti saranno i primi cento, i cosiddetti “group leader”, che dovranno avere credibilità internazionale e potranno definire al meglio il profilo degli altri.
Un processo che non può passare attraverso i concorsi universitari ma per cui serve una fondazione pubblica, tipo quella genovese: «L’unico metodo per prendere i migliori in circolazione è quello che abbiamo messo in pratica qui all’Iit», dice Stefano Gustincich, direttore del laboratorio di Biologia molecolare e brain technology, triestino d’origine, dieci anni ad Harvard prima di tornare in Italia.
Il sistema funziona così: serve un profilo professionale, si fa un annuncio internazionale, chi si candida viene valutato da una commissione mista di interni ed esterni. «L’anno scorso cercavamo un biologo molecolare. Ci sono arrivati 150 curriculum, metà dei quali stranieri. I cinque membri della commissione hanno fatto una graduatoria personale, incrociato i dati e sentito i primi cinque, che hanno passato una giornata qui. Abbiamo scelto un italiano che lavora al Broad Institute di Boston ma che, a nostro giudizio, aveva ancora bisogno di crescere. Lo abbiamo fatto continuare lì per un po’, arriverà da noi nel gennaio 2017», spiega Gustincich.
Politica contro scienza, Renzi contro accademia: nel dibattito sollevato dalla senatrice Cattaneo sono stati agitati questi temi. È però possibile anche un’altra chiave di lettura: con le sue regole l’università non può gestire progetti con questa massa critica. La rivista “Science” ha ospitato un articolo di una giornalista italiana che citava i malumori del mondo accademico e argomentava la mancanza di trasparenza nei processi di selezione dell’Iit e del futuro Human Technopole.
Le ha risposto John Assad, neurobiologo della Harvard Medical School che ha lavorato a Genova, contribuendo a scrivere quei metodi di selezione: «Gli standard internazionali di reclutamento dell’Iit andrebbero messi a confronto con le pratiche di assunzione da parte delle università italiane, dove i bandi sono spesso scolpiti su misura sul profilo dei candidati locali che si vogliono favorire, e gran parte dei nuovi ricercatori non sono indipendenti da nessun punto di vista», ha scritto Assad, secondo il quale «i giovani scienziati in Italia hanno bisogno di una competizione aperta e di indipendenza; l’Iit e il progetto Human Technopole sono passi decisivi in questa direzione».
Una posizione condivisa da uno dei più noti e apprezzati tra i cervelli in fuga: «Sono d’accordo con Assad», ha fatto sapere con un tweet Piero Carninci, direttore della divisione Tecnologie del Genoma dell’istituto Riken di Yokohama, in Giappone.