Il 23 maggio Paz avrebbe compiuto 60 anni. E per la prima volta una collana ne ripropone ?l’opera completa con inediti, ricordi dell’artista e rarità a ventotto anni dalla sua morte

Una notte, mi apparve in sogno un cane nero, orbo, così brutto che mi svegliai... È l’incipit di “Storia di Astarte”, l’ultima, incompiuta, storia scritta da Andrea Pazienza. Le prime tavole di una narrazione epica che trasforma un sogno in un incubo. Per uno strano scherzo del destino lo stesso tema è rappresentato anche in una delle tavole più belle del suo primo lavoro, “Le straordinarie avventure di Pentothal”.

Qui Paz si ritrae di profilo, occhi chiusi e la fronte madida di sudore. Su di lui incombe una tavola nera illuminata dal bianco di forme geometriche irregolari e topi che corrono in tutte le direzioni. Era il 1977 e quella tavola segna l’inizio di una nuova era per il fumetto italiano. A distanza di undici anni, attraversati da un successo senza precedenti e che ha trasformato Andrea Pazienza in un’icona pop, riparte da dove aveva iniziato. Ancora una volta un sogno che si trasforma in un incubo e che assume, in questo caso, le sembianze di un cane: Astarte il cane di Annibale, il grande condottiero cartaginese.

Con pochi tratti e soprattutto in pochissime pagine, Pazienza riesce a farci affezionare a un personaggio, Astarte che sarebbe dovuto morire nella battaglia delle battaglie a Zama, destinato a restare come sospeso tra la vita e l’attesa di una morte annunciata. L’ultima tavola del libro raffigura Astarte al centro del foglio con la lingua penzoloni che si allontana verso un punto imprecisato. Una zampa ben piantata per terra e le altre tre sospese in aria a rendere più veritiero il movimento. Si allontana velocemente, non può sapere che questa sarà l’ultima immagine che resterà di lui nella nostra mente.
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Non ci sarà tempo per terminare questo lavoro perché in una «fresca sera di giugno» del 1988 il viaggio di Andrea Pazienza giunge al termine. Non c’è più da ventotto anni e il 23 maggio ne avrebbe compiuti sessanta. E chissà cosa ci avrebbe regalato per festeggiare il suo compleanno. Quali tavole, quali storie, quali personaggi. Quale visione del futuro.

Sì, perché Pazienza è sempre stato un passo avanti. Mai contemporaneo alla sua epoca, sempre un passo avanti. Sandro Visca, che è stato suo professore al Liceo Artistico di Pescara, ha conosciuto Andrea Pazienza quando aveva quattordici anni. «Era in un tempo e in una forma mentis diversi. Ho capito immediatamente che aveva una capacità grafica fuori del comune e soprattutto aveva una necessità di espressione immediata, veloce. Il disegno era per lui un mezzo di scrittura per dire delle cose. È stato il primo a raccontare la realtà attraverso il fumetto, e lo ha fatto in quattro o cinque modi diversi. Passerà alla storia perché è stato capace di ribaltare la concezione filosofica del fumetto. Ma l’aspetto più entusiasmante è che con lui tutto era sempre nuovo». Un predestinato che cercava complicità per non ingabbiare il suo talento in rigidi schemi.

«Il primo giorno di scuola mi venne incontro e mi disse: “Le faccio presente che a me disegnare non piace”. Restai un attimo perplesso; poi, guardandolo negli occhi, capii esattamente con chi avrei a avuto a che fare. Gli risposi di non preoccuparsi e che se il disegno non era la sua materia preferita avremmo trovato il modo, insieme, per esprimerci. Rimase spiazzato. In quei pochi attimi capii che per poterlo vivere nella maniera più giusta avrei dovuto essere io la spalla e lui l’attore protagonista». Aveva bisogna di sentirsi accolto e accettato fino in fondo per potersi esprimere.
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E se Sandro Visca può essere considerato il papà putativo di Andrea Pazienza, tra le altre cose è il personaggio vivente a cui Paz ha dedicato più disegni, Albano Paolinelli, insegnante di ornato disegnato nello stesso Liceo, ha avuto per il giovane Pazienza il ruolo della levatrice con la puerpera. «Andrea aveva delle capacità “innaturali” - ricorda il professore artista - che sono state evidenti fin dal primo impatto. Noi abbiamo lavorato, forse, a ripulirlo un po’. Lui gioiva nel riempire il foglio. Riempiva tutto e non lasciava spazi vuoti. Se c’è una cosa che ho provato ad insegnargli è stato il tentativo di non occupare tutto lo spazio a disposizione. Per questo fui molto felice quando mi regalò le prime tavole a colori che pubblicò per Alter Alter, “Le armi”. Per la prima volta, infatti, vidi in quelle tavole un bell’equilibrio tra pieni e vuoti. Mi disse “Ti devo ringraziare per quello che mi hai dato”».

All’inizio degli anni Settanta il Liceo Artistico di Pescara era uno dei Licei più rinomati d’Italia, lo ricorda Fernanda Pivano nell’introduzione al catalogo di una mostra dedicata ad Andrea Pazienza, “Jacques Prévert”, quando riferendosi a Pescara scrive: «Un liceo fuori dal comune, con dei professori che avevano capito chi avevano di fronte e con cui Andrea Pazienza aveva costruito un rapporto di stima». In quel Liceo Artistico, popolato da professori-artisti, ha studiato e si è formato il giovane Andrea Pazienza. Non era ancora Paz, lo sarebbe diventato alcuni anni dopo, ma lì, tra quei banchi e in quel contesto tutto ebbe inizio. Visca e Paolinelli introdussero il giovane Pazienza negli ambienti artistici della città e gli diedero l’opportunità di misurarsi con il mondo dei grandi quando era ancora un ragazzino.

Pazienza sarà sempre riconoscente e ricorda così quelli anni di crescita: «Parte degli artisti senza tetto si riunisce e apre di lì a poco l’ormai leggendaria Convergenze, centro d’Incontro e d’Informazione laboratorio Comune d’Arte [...]; si fa tutto il possibile dall’happening alla grossa rassegna, dai concettuali ai comportamentisti, dai film in 16 o super 8 alla body art, dai concerti ai veri e propri festival, eccetera.» La galleria d’arte Convergenze rappresenterà in quegli anni una sorta di fabbrica delle idee ante litteram. Un luogo di produzione e di fruizione culturale capace di coinvolgere giovani e meno giovani in quella che il giovane Andrea chiama, «un’aria conviviale da allegro seminario».

All’indomani dell’inaugurazione della sua prima mostra personale, che si tenne proprio in quella galleria d’arte, Pazienza scrive una lettera alla sua fidanzata quindicenne, Isabella Damiani. La lettera è datata 10 maggio 1975. «Spero tu abbia capito cosa significhi per me Pescara ed in cosa identifichi il mio ambiente, è meraviglioso e complesso e completamente imparagonabile a nessun altro, e fatto da immagini e frasi sconnesse, ma vitali, di istanti folli e irripetibili, di cinismo e di magia, di pettegolezzi, di lazzi e ubriachezze moleste, di sogni, di guerre e meravigliosi ritrovarsi, e di cultura a tutti i livelli, e di aerei e di armi, e di rivolte mai sopite…».

Andrea utilizza in questa lettera parole per disegnare mondi che troveremo nelle sue storie più mature. Il mondo che avrebbe disvelato a tutti solo pochi anni più tardi stava già prendendo forma nella sua testa. Pazienza ha vissuto a Pescara dal 1970 al 1974, anno in cui terminò gli studi al Liceo Artistico, dai quattordici ai diciotto anni. E proprio nel capoluogo adriatico ha visto la luce in questi giorni l’ultimo libro su Paz. Lo ha scritto il giornalista de “Il Centro” Luigi Di Fonzo e s’intitola “Andrea Pazienza. Il mio nome è Pentothal”. Poi si trasferì a Bologna e lì ebbe inizio un’altra storia, divenne Paz e tutta l’Italia cominciò a conoscerlo e ad apprezzarlo.

Considerato dalla critica il caposcuola del nuovo fumetto italiano che ha preso forma alla fine degli anni Settanta, s’impose giovanissimo all’attenzione nazionale, oltre che per la sua grande capacità tecnica, dal disegno all’illustrazione tout court, per il suo essere un narratore contemporaneo capace di fondere nel medesimo istante, e con la stessa forza, segno e parola così come ha sottolineato Fernanda Pivano. «Ringraziamo lui, Andrea Pazienza, per aver aperto una finestra sulla vita coi suoi disegni e il suo linguaggio. Forse l’unico completo documento di slang italiano».

In questi giorni avrebbe compiuto sessant’anni e a noi manca. Manca maledettamente la sua visione delle cose del mondo e il suo sguardo che sapeva oltrepassare l’orizzonte. «Andrea Pazienza era l’albero del paradiso [...] poteva essere un bambino un vecchio, una donna e un uomo, un animale o una biro. Era eclettico ed anche molto bello: aveva la gioia di vivere negli occhi. [...] era un grande poeta, un linguista vero perché i suoi testi erano frutto di un genio letterario innato [...]. Era una gioia averlo accanto, tra noi eravamo sempre in stagione di fioritura», le parole di Roberto Benigni, un regalo di compleanno.