Il sì del Parlamento è scontato. Ma per le celebrazioni, bisognerà che il ministro faccia i decreti attuativi: stabilisca per esempio come si compie il rito, e dove viene trascritto. Conoscendo l'uomo, e i suoi no alle nozze gay, Renzi gli ha messo addosso il viceministro Bubbico. Per evitare che il ddl Cirinnà si realizzi il giorno del mai

Quasi fatta sulle unioni civili: ma occhio, avverte dal Pd una voce accreditata, “il sì del Parlamento non significa che il giorno dopo le unioni civili si potranno celebrare”. Già è improbabile che lo siano in settembre, per dire. Questioni burocratiche, ma non solo. Anche dopo il voto finale con fiducia alla Camera, già previsto “a naso” da Renzi con fiducia la prossima settimana, per il 12 maggio, il ddl Cirinnà avrà bisogno di una serie di decreti attuativi, che per una parte sono di fatto in mano al ministero dell’Interno. Cioè da ultimo, nelle mani di Angelino Alfano. Il leader dell’Ncd. Colui che, giusto un anno e mezzo fa, scatenò la guerra dei prefetti contro i sindaci con una circolare che vietava la trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero. Con relative battaglie politiche, polemiche, pronunce di tribunale.

Ecco, per somma ironia, proprio Alfano si troverà a gestire – di nuovo – il tema di come la nuova disciplina delle unioni civili dovrà regolarsi rispetto a ciò che avviene fuori dai confini (cioè i matrimoni gay). Così come, anche, dovrà il suo ministero definire le disposizioni agli ufficiali di Stato civile su dove e come celebrare le nuove unioni. Nonché sul modo col quale istituire il relativo registro. La legge, infatti, non stabilisce se le unioni omosessuali saranno trascritte su un libro a parte, oppure no. Così come non dà i dettagli sulle modalità della celebrazione. Di queste cose si occupano i decreti attuativi, cioè Alfano, di concerto con alcuni altri ministri. Sembrano sciocchezze, ma senza la legge non parte.

Proprio per questo, dalla maggioranza renziana hanno già drizzato le orecchie. E vigilano. Il viceministro Filippo Bubbico, per il suo ruolo agli Interni, ha già ricevuto il mandato ufficioso di vigilare sugli adempimenti che deve svolgere il ministero. Farà da “sentinella”, spiegano. Affinché, appunto, i sei mesi entro i quali vanno emanati i decreti attuativi non finiscano per sfilacciarsi, diventare un anno, o addirittura il giorno del mai. Il che per Renzi sarebbe indigeribile, dopo tanto sforzo.

La partita, ancora da cominciare, si incrocia in parte con il dibattito che in queste ore divampa alla Camera, tra Pd e  centristi. Un tira e molla che non riguarda il ddl Cirinnà, ma le mozioni che impegnano il governo a rafforzare il divieto di ricorso all’utero in affitto, peraltro già contenuto nella legge sulla procreazione assistita. Nell’Ncd ci tengono moltissimo, se non altro come posizione di bandiera che riaffermi il loro no alle adozioni gay: “Noi vi votiamo il ddl Cirinnà, ma almeno lasciateci votare queste mozioni prima di quello”, è il succo del ragionamento svolto da Roberto Formigoni ed altri. Il punto è proprio la tempistica: vogliono che sull’utero in affitto si voti prima delle unioni civili “come era nei patti”, dice il capogruppo alla Camera Maurizio Lupi. Chiedono, insieme con Centro democratico, che il calendario dei lavori sia modificato, per consentirlo. Nel Pd, al contrario, avrebbero preferito rimandare il tema a dopo. Non tanto per la sostanza: una mozione che impegna il governo a fare qualcosa, è in sé poco più che un sospiro nel vento. Più che altro, il Pd non vuol occuparsene perché il partito è spaccato tra sinistra e cattolici, su come e fino a che punto condannare la pratica dell’utero in affitto. Le fibrillazioni interne, cacciate dal ddl Cirinnà, si sono ricondensate tutte là. Non a caso, fino ad oggi il Pd è stato capace di presentare una mozione: a differenza di tutti gli altri partiti. E adesso che i centristi spingono per accelerare il voto sulle mozioni, i dem facendo di tutto per trovare in fretta un accordo al proprio interno. Alfano, di questi tempi, bisogna tenerselo buono.