Hinkley Point C, la centrale nucleare della discordia

Il governo Cameron ha deliberato l'ampliamento del vecchio impianto, scommettendo sull'aumento del prezzo dei combustibili fossili. Ma la compagnia francese che dovrebbe realizzarlo è già pesantemente indebitata. E i costi potrebbero lievitare, ricadendo sulle spalle dei contribuenti

Con i suoi pittoreschi borghi medievali e una natura rigogliosa e incontaminata, il Somerset è una delle regioni più belle e visitate dell’Inghilterra meridionale. Un idillio rurale, non lontano dal confine con il Galles, dove il governo conservatore guidato da David Cameron vorrebbe veder sorgere la prima centrale nucleare da oltre due decenni a questa parte: Hinkley Point C. Due reattori con vista sul mare che sostituiranno quelli già esistenti – uno in fase di decommissioning l'altro sull'orlo della pensione.

Quella di Hinkley Point, però, è una saga apparentemente senza fine e non è detto che il finale possa essere di pieno gradimento dell'inquilino del 10 di Downing Street. Per fare un punto della situazione partiamo dagli ultimi sviluppi, datati lo scorso aprile.

La compagnia francese Edf, che dovrebbe costruire Hinkley Point C, ha fatto sapere che una decisione definitiva sul progetto sarà presa solo dopo l'estate, se non addirittura verso la fine del 2016. Il problema sono i costi. La centrale costerà almeno 18 miliardi di sterline. Ci sono stime che arrivano addirittura a 24.
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Visti i precedenti di altri impianti nucleari di terza generazione della Edf, Flamanville in Normandia e Olkiluoto in Finlandia, i cui costi nel tempo sono quasi triplicati, da 3 a 8 miliardi di euro, c'è da credere che il conto finale sarà molto salato. Per non parlare poi del ritardo sui tempi (Olkiluoto doveva essere completato nel 2009, ora si parla del 2018).

Nonostante l'inserimento dei cinesi, che tramite la China General Nuclear Power Corporation porteranno in dote finanziamenti per 6,2 miliardi di sterline, sul revival dell'atomo britannico si addensano nubi molto fosche.

L'Edf ha debiti per poco più di 37 miliardi di euro e il governo francese, che detiene l'84,4 per cento delle azioni, non vuole rischiare altri salti nel buio. O quanto meno, viste anche le pressioni dei sindacati, ci vuole pensare su prima di impegnarsi in un'impresa ad alto rischio.

Eppure già il precedente esecutivo di coalizione Tories/Lib-Dem aveva fatto la sua parte. Nell’ottobre del 2013 aveva accordato all’Edf garanzie su prestiti fino a un massimo di 17 miliardi di sterline e aveva stabilito uno strike price a palese vantaggio dell’impresa.

Per un periodo di 35 anni, a partire dal 2023 (quando si prevedeva la consegna di Hinkley Point C, ormai slittata al 2025), ai transalpini si assicura un prezzo di vendita dell’energia di 92,5 sterline a megawatt per ora.

Esattamente il doppio del costo attuale. L’importo andrà chiaramente attualizzato in relazione al tasso di inflazione, ma ciò che rileva dell’intero meccanismo contrattuale è che se l’Edf non potrà distribuire l’elettricità a quel prezzo la differenza ce la metteranno gli utenti con una sovrattassa in bolletta. La logica che sottende questa apparente clausola capestro è che fra circa un decennio i combustibili fossili saranno talmente cari che il nucleare converrà, anche a quelle cifre apparentemente ora fuori mercato.

Queste clausole così singolari avevano fatto storcere il naso a parecchi e su vari fronti. In primis all’Unione europea, che non a caso a fine 2013 aveva voluto vederci chiaro, aprendo un’istruttoria per verificare se erano state violate le norme comunitarie sulla concorrenza. In quei giorni la posizione dell’Ue, dai toni molto duri e netti, sembrava non concedere scampo a Hinkley Point C. Nell'ottobre del 2014 è arrivato un po' a sorpresa il via libera della Commissione Ue, non senza che nei mesi successivi Austria e Lussemburgo facessero ricorso alla Corte di Giustizia Europea.

Nel frattempo anche nella City c’era stato chi aveva criticato aspramente il deal. Il rapporto lanciato nell’ottobre del 2013 dalla società di analisti Liberum Capital aveva un titolo inequivocabile: “Flabbergasted”. Ovvero sbigottiti dai termini contrattuali concessi all’Edf – come visto però non ancora sufficienti per dare il via definitivo al progetto.

A lasciare perplessi gli autori della pubblicazione era “l’enorme scommessa fatta dal governo sull’aumento vertiginoso del costo dei combustibili fossili”. Scommessa perdente, almeno secondo gli esperti di Moody’s, che in uno studio avevano evidenziato come fosse assai improbabile che la bolletta energetica degli inglesi potesse aumentare un granché entro il 2020, sia a causa della diminuzione dei consumi che della crescita delle fonti rinnovabili.

Il governo non ha mai rinnegato la bontà della sua scelta. I due reattori nel Somerset produrranno energia per il 7 per cento della popolazione, hanno sempre ribadito da Downing Street. Inoltre contribuiranno a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a provare a raggiungere gli ambiziosi obiettivi di taglio dei gas serra (meno 80 per cento entro il 2050).

Gli argomenti messi sul tavolo dall’Edf, che però ora sono rimasti molto sullo sfondo, si incentravano sulle ricadute positive sulle comunità locali: migliaia di posti di lavoro, compensazioni e sussidi per le amministrazioni locali fino a 120 milioni di sterline nell’arco di 40 anni e addirittura la possibilità di utilizzare il meccanismo del biodiversity offsetting. Ovvero ricreare altrove la porzione di natura distrutta a causa di una grande opera infrastrutturale. Qualora dovesse mai vedere la luce la nuova centrale, chissà se questa forma di greenwashing non possa tornare utile anche per Hinkley.

Visto che parliamo di un impianto nucleare, non si possono nemmeno tralasciare le preoccupazioni sugli impatti sulla salute e sull'ambiente. Quando abbiamo visitato il Somerset, abbiamo potuto constatare che la popolazione dell’area sembra accettare passivamente il nuovo impianto, sebbene rimangano importanti “sacche di resistenza”. Gli attivisti della Stop Hinkley Point Campaign ci hanno manifestato tutte le loro preoccupazioni sui pericoli posti dalle frequenti alluvioni che flagellano la regione e sulle evidenti conseguenze dell’erosione costiera.

Controversa la questione degli effetti delle radiazioni. In Inghilterra il registro tumori c’è, ma è praticamente inaccessibile. Secondo l’ex consulente governativo Ian Fairlie, nell’area di Hinkley in base ai pochi dati a disposizione si desumerebbe che l’aumento delle leucemie neo-natali sia intorno al 37 per cento. Ma vista la bassa densità di popolazione non ci sarebbe la certezza assoluta che tale evenienza sia da imputare alla presenza delle vecchie centrali.

Se l'Edf dovesse confermare il suo impegno, questi temi torneranno sicuramente d'attualità. Per il prossimo capitolo della saga Hinkley bisogna aspettare ancora qualche mese. E non è detto che sia l'ultimo.

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