Si moltiplicano le occasioni pubbliche in cui ?il papa manifesta amicizia ai protestanti. Ma i teologi ?(di entrambe le confessioni) sono perplessi
Nell’allarmata lettera che tredici cardinali di cinque continenti si apprestavano a consegnare a papa Francesco all’inizio dell’ultimo sinodo, essi lo mettevano in guardia dal portare anche la Chiesa cattolica al «collasso delle chiese protestanti, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento pastorale». Poi in extremis i tredici cancellarono quelle due righe dalla lettera effettivamente messa nelle mani del papa. Ma oggi le riscriverebbero pari pari, visto l’idillio sempre più marcato tra Francesco e i seguaci di Lutero.
Il 31 ottobre Jorge Mario Bergoglio volerà in Svezia, a Lund, per festeggiare assieme alla Federazione luterana mondiale i cinquecento anni della Riforma protestante. E più s’avvicina quella data, più il papa manifesta simpatia per il grande eretico. Nell’ultima delle sue conferenze stampa volanti, di ritorno dall’Armenia, ha tessuto l’elogio di Lutero. Ha detto che la sua riforma fu «una medicina per la Chiesa», sorvolando sulle divergenze dogmatiche essenziali che da cinque secoli contrappongono protestanti e cattolici, perché - sono sempre parole sue, questa volta dette nel tempio luterano di Roma - «la vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni».
L’ecumenismo di Francesco è fatto così. Il primato è ai gesti, agli abbracci, a qualche atto caritatevole fatto assieme. I contrasti di dottrina, anche abissali, li lascia alle discussioni dei teologi, che confinerebbe volentieri «su un isola deserta», come ama dire neanche troppo per scherzo. La prova finora insuperata di questo suo approccio è stata, lo scorso 15 novembre durante la visita ai luterani di Roma, la risposta che diede a una protestante che gli chiedeva se poteva fare la comunione a messa, assieme al marito cattolico. La risposta di Francesco fu una fantasmagorica girandola di sì, no, non so, fate voi. Ma non perché il papa non sapesse cosa dire.
La “liquidità” espressiva era da lui voluta. Era la sua maniera di rimettere tutto in discussione, rendendo tutto opinabile e quindi praticabile. Puntualmente, è arrivata infatti “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma che è ormai la passaparola di Casa Santa Marta, a confermare che sì, Francesco voleva far capire proprio questo: che anche i protestanti possono fare la comunione nella messa cattolica.
Ha un bel dire il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, che «noi cattolici non abbiamo alcun motivo per festeggiare il 31 ottobre 1517, cioè l’inizio della Riforma che portò alla rottura della cristianità occidentale». Papa Francesco neanche lo ascolta e la festa la fa, incurante che Müller - che era appunto uno dei tredici cardinali della memorabile lettera - la veda come un altro passo verso la «protestantizzazione» della Chiesa cattolica.
Un papa come Bergoglio, in realtà, a un moderno Lutero non dispiacerebbe. Niente più indulgenze né purgatorio, che cinque secoli fa furono la scintilla della rottura. E invece una superlativa esaltazione della divina misericordia, che lava via gratis i peccati di tutti.
Non è detto, però, che l’idillio sia ricambiato da tutti i protestanti. In Italia, il loro ceppo storico è costituito dalla minuscola ma vivace Chiesa valdese. E i suoi due più insigni teologi, Giorgio Tourn e Paolo Ricca, sono molto critici della deriva secolarizzante sia della loro Chiesa, sia della Chiesa di papa Francesco. «La malattia - ha detto Ricca in un recente dibattito a due - è che siamo tutti volti al sociale, cosa sacrosanta, ma nel sociale esauriamo il discorso cristiano, e fuori da lì siamo muti».
E Tourn: «È chiaro che la sola testimonianza dell’amore fraterno non porta automaticamente a conoscere Cristo. Non c’è oggi un silenzio di Dio, ma il silenzio nostro su Dio». Francesco però va avanti imperterrito e pochi giorni fa ha perfino nominato un protestante suo amico, Marcelo Figueroa, direttore della nuova edizione argentina de “L’Osservatore Romano”.