A vederle camminare a passo deciso nel deserto, avvolte nell’hijab rosa sgargiante e con le sneaker colorate, diresti una “girl band” libanese. Tanto più che Tair, Liron e Tagel Haim, rispettivamente 32, 30 e 26 anni, nel videoclip di “Habib Galbi” - quasi quattro milioni di visualizzazioni su YouTube in pochi mesi - cantano in arabo. Sbagliato: le tre sorelle A-Wa (che in slang arabo vuol dire “sì”) sono israeliane, ebree e abitano a Tel Aviv.
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Come molti altri ebrei sefarditi “mizrahim” giunti in Israele da Paesi arabi dopo la seconda guerra mondiale, i loro nonni arrivarono dallo Yemen a fine anni Quaranta con l’operazione segreta “Tappeto magico”, insieme ad altri 50mila correligionari yemeniti, come racconta Claudia De Martino nel libro "I mizrahim in Israele - Storia degli ebrei dei paesi islamici (1948-77)" (Carocci editore). Parlavano il dialetto giudeo-arabo yemenita e ascoltavano canzoni in arabo, nel Paese in cui erano cresciuti. Adesso le tre nipoti riscoprono la lingua e la musica delle radici, le mescolano a sonorità elettroniche, arab-folk e hip hop e conquistano le classifiche pop di Israele e di molti Paesi arabi con “Habib Galbi”, che in arabo vuol dire “Amore del mio cuore", la canzone che riprende una antica melodia yemenita e dà il titolo all’album di esordio uscito in Europa. Un mix complicato, in un'epoca in cui il dialogo sembra impossibile.
Acclamato da “Rolling Stone Usa” e dalla stampa specializzata, l'album è stato prodotto da Tomer Yosef dei Balkan Beat Box. Alla vigilia del concerto delle A-Wa a Parigi abbiamo intervistato la secondogenita, Liron. Il 19 agosto la band salirà sul palco dell’Ariano Folkfestival a Ariano Irpino (Avellino), unica data italiana del tour europeo estivo, in collaborazione con l'agenzia FramEvolution-World Music Management.
Nel videoclip della canzone “Habib Galbi” voi tre sorelle scappate da un uomo violento, presumibilmente vostro padre. Qual è il messaggio?
«Il video ha diversi significati. L’uomo con lo sguardo duro e severo rappresenta la vecchia generazione che guarda al passato. Noi siamo tre ragazze: vogliamo liberarci dal peso della tradizione, vivere liberamente, scegliere il nostro destino. Lasciamo la casa e l’uomo, saliamo su una jeep bianca e incontriamo tre ragazzi, balliamo insieme a loro, mostriamo l’uguaglianza uomini e donne. Dietro di noi appare una donna più anziana, che approva il nostro comportamento e ci invita a tenere duro. Infine i nostri hijab sono rosa, il colore che simboleggia l’amore puro e risplende nel deserto».
Cosa ricorda della sua infanzia?
«Siamo cresciute nella cittadina di Shaharut, una comunità di poche decine di famiglie vicino al confine con l’Egitto. Era un’atmosfera magica, abitavamo in una casetta circondata da kibbutz, montagne e animali: cammelli, cavalli, capre, galline. I nostri genitori sono un po’ hippy, pionieri, volevano vivere a contatto con la natura. Nel villaggio non c’erano molte distrazioni e così stavamo sempre insieme, concentrandoci sulla musica».
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Siete nate e cresciute nello Stato ebraico, ora abitate a Tel Aviv. Come avete imparato il dialetto giudeo-arabo dello Yemen?
«Da bambine andavamo a trovare i nonni a Hadera, a sud di Haifa, in occasione delle festività. Li sentivamo parlare in dialetto giudeo-arabo yemenita, ascoltavamo insieme la musica tradizionale yemenita e facevamo tante domande sulla loro vita precedente, sulla casa che avevano abbandonato. Adoravamo la loro lingua».
Perché avete deciso di cantare in arabo?
«Avremmo potuto cantare in ebraico o in inglese, ma ci siamo rese conto che la nostra musica - il ritmo, le melodie, lo spirito - è molto influenzata dalle sonorità tradizionali yemenite. Dunque, per noi cantare in arabo non è strano. Da sempre i nostri genitori ci hanno abituate ad ascoltare musiche diverse: egiziana, gitana, greca»
Il vostro brano, “Habib Galbi”, ha avuto successo in molti paesi arabi. Che effetto le fa?
«È straordinario, ci sentiamo molto onorate: abbiamo molte cose in comune con chi vive in Marocco, in Yemen e in altri paesi arabi. Ci fa piacere che le nostre canzoni riescano a far dialogare persone e culture diverse. La musica è molto potente e unisce i popoli».
Avete ricevuto commenti negativi da parte di cittadini di Paesi islamici?
«Molti arabi ci scrivono: sappiamo che siete ebree e israeliane, ma ci piace la vostra musica. Non tutti apprezzano la nostra musica, è ovvio, e molti non riescono a sopportare il fatto che tre ebree israeliane cantino in arabo. Tuttavia, non ci soffermiamo sui commenti negativi e sulla follia che attraversa il mondo nella nostra epoca. Ci concentriamo sulla musica e sulle vibrazioni positive».
Come hanno reagito i vostri connazionali alla decisione di cantare in arabo?
«In Israele la musica di orgine yemenita è molto popolare, ci capita raramente di ricevere commenti negativi sulla nostra scelta. In molti ci apprezzano e sono fieri di noi».
Negli anni Cinquanta e Sessanta in Israele l’arabo era parlato da buona parte della popolazione, ma era di fatto bandito dalle stazioni radiofoniche. Mezzo secolo più tardi, la vostra canzone in arabo ha scalato le classifiche. Che effetto le fa?
«Siamo molto contente che negli ultimi anni le cose siano cambiate, oggi il pubblico è più aperto nei confronti della lingua e della musica araba. Il successo della nostra canzone “Habib Galbi”, anche alla radio, dimostra che le cose sono cambiate. Quando i miei nonni arrivarono in Israele la situazione era completamente diversa».
Il vostro primo successo è una versione aggiornata di un’antica canzone folk yemenita. I discendenti degli ebrei che un tempo vivevano nei paesi islamici, i “mizrahim”, riscoprono le radici?
«Le nuove generazioni sono molto curiose, vogliono conoscere le musiche che un tempo i loro nonni ascoltavano in Marocco, Tunisia, Libia e negli altri paesi islamici. Arrivati in Israele, i genitori di mio padre e di mia madre hanno imparato in fretta l’ebraico per non sentirsi diversi, invece i giovani della mia generazione riscoprono la cultura di origine, per nostalgia o per riavvicinarsi a chi non c’è più».
Se dovesse scegliere un aggettivo per ciascuna delle tre sorelle A-Wa?
«Tair è la più grande, la leader. Sa perfettamente dove vuole andare, è intuitiva. Io, Liron, sono nel mezzo e sono la più ottimista. Sdrammatizzo le situazioni, a volte dico cose un po’ stupide per far sorridere le mie sorelle. Infine Tagel, la più giovane, ha un carattere visionario, sognante. Disegna e si occupa di tutta la parte visuale delle A-Wa. Lavoriamo molto bene insieme, ci conosciamo perfettamente e, soprattutto, ci divertiamo un sacco».