E anche la settima attività industriale del paese ce la siamo giocata. Dopo banche, assicurazioni e tlc largamente in mano ai francesi, dopo l’integrazione Fiat-Chrysler, dopo Italcementi ai tedeschi e l’acciaio agli indiani, il calcio prende la via della seta.
Si può ridere e scherzare sui nuovi ricchi scemi, come una volta si definivano i proprietari delle squadre. Per alzare il livello lo Shandon Luneng darà 42 mila euro al giorno a Graziano Pellè, centravanti titolare dell’Italia eliminata ai quarti agli ultimi Europei. Lo Shanghai verserà 50 mila euro al giorno a Hulk, attaccante del Brasile fatto a pezzi dalla Germania nella semifinale dei Mondiali del 2014.
Ci si può divertire con il video di Zhang Jingdong, il magnate della Suning che grida “Fozza Indaa!” dopo essersi comprato il secondo club italiano per vittorie in campionato e nella massima competizione europea. Si potrà sorridere quando qualche altro big della Borsa di Shanghai o Shenzhen griderà “Fozza Milaaa!” o “Fozza Palemoo”. Poi forse qualcuno dei dirigenti sportivi e dei politici italiani capirà che il takeover della serie A da parte della Repubblica popolare cinese, visto che di questo si tratta, non è necessariamente un elemento positivo.
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È il mercato, bellezza, potrà commentare qualcuno. Ma soltanto qualcuno convinto che in Cina ci sia davvero il mercato e non una generazione di imprenditori che agiscono come gli ufficiali in campo aperto dello stratego massimo, il presidente Xi Jinping, calciomane incallito e attento studioso degli effetti che il football può avere in termini di propaganda.
È un po’ lo schema già visto con le compagnie aeree. In Europa e negli Usa (un po’ meno negli Usa) gli aiuti di Stato sono vietati con il risultato che oggi sul mercato dei voli hanno trionfato i vettori degli Emirati, del Qatar, di Singapore e della stessa Cina, direttamente o con le acquisizioni. Sono tutte aerolinee in mano a fondi sovrani che con la libera concorrenza si fanno lo shampoo e sono pronti a finanziare a fondo perduto anni di bilanci in perdita, pur di trionfare.
Sarà così anche nello sport più amato al mondo? Alcuni non gradiscono. Per esempio, chi comanda nella Premier league inglese, il torneo più ricco d’Europa. Il Manchester City della famiglia al Nahyan ha ceduto una quota di minoranza a un consorzio cinese. Ma il tentativo di scalata al Liverpool da parte del gruppo SinoFortone con 700 milioni di sterline e garanzie statali è stato bloccato, per adesso, in nome dell’alleanza atlantica. I proprietari del club che ha per motto “you’ll never walk alone” sono gli statunitensi del Fenway group, in affari con il patron romanista James Pallotta. Non è da oggi che negli Usa si è misurato il potere di uno sport che, a livello di praticanti, è già diventato il terzo del paese e il primo fra le donne.
ALL'INIZIO CI FU INFRONT
Nella top five dei campionati d’Europa, anche Spagna e Germania resistono finora alle lusinghe dei tycoon del Regno di Mezzo. La Germania soprattutto, che è il torneo continentale in maggiore espansione dopo l’Inghilterra e che non molti anni fa rincorreva la terza posizione occupata dalla serie A, persegue un modello ancorato alle risorse locali. È meno autarchico di venti anni fa, quando in Bundesliga il massimo dell’esotismo erano i tedeschi dell’Est, ma i signori del Meisterschale, il piatto assegnato al club che vince il campionato, sono i rossi del Bayern Monaco, appoggiati finanziariamente da colossi germanici come Adidas, secondo gruppo di sportswear al mondo dopo Nike, e Allianz, il secondo gruppo assicurativo d’Europa.
Poca Cina anche in Francia, dove governa un monocolore all’insegna dell’emiro del Qatar Tamim al Thani, proprietario del Paris Saint-Germain. Ma allora perché i cinesi hanno scelto proprio l’Italia? Nostalgia di Marco Polo?
Al di là delle statistiche di interscambio commerciale fra i due paesi (38,6 miliardi di euro nel 2015 secondo Eurostat), la serie A è il ventre molle del calcio continentale. I suoi massimi dirigenti sono, sul fronte pubblico, il ragioniere brianzolo Carlo Tavecchio, presidente della Figc visto agli ultimi Europei con la tuta della nazionale a calciare palloni da solo verso una porta vuota. Sul fronte privato, cioè la Lega di serie A, il numero uno è Maurizio Beretta che di vero lavoro fa il direttore della comunicazione di Unicredit, per dire quanto conta nell’assise tumultuosa dei presidenti.
Fra i club di maggiore tradizione, la Juventus controllata dall’accomandita Giovanni Agnelli attraverso Exor sembra destinata a rimanere un’eccezione, sebbene vincente in patria nell’ultimo quinquennio e con un’opzione molto seria per il sesto scudetto di fila.
L’arrivo dei capitali cinesi nello stagno del calcio italiano si articola in una strategia complessa. In ordine cronologico, il primo intervento sulla cassa del pallone di serie A risale all’acquisto della svizzera Infront da parte di Wang Jianlin, l’uomo più ricco di Cina insieme, yuan più yuan meno, a Jack Ma di Alibaba. La controllata Infront Italy, passata dalla guida di Marco Bogarelli, spostato negli uffici londinesi, a quella dell’ex Rai Luigi De Siervo, è molto più di un advisor della Lega calcio nella cessione dei diritti tv. Come ha confermato l’inchiesta della Procura di Milano, Infront Italy è la banca del calcio, con il controllo sulle sponsorizzazioni, il marketing, la gestione degli stadi, la produzione televisiva e addirittura gli interventi sul capitale di alcune squadre. Presa Infront, la Cina ha puntato al capitale dei club.
MILANELLO IN BILICO
Dopo un anno e mezzo di telenovela con il broker tailandese Bee Taechaubol, ai vertici di Fininvest giurano che è questione di poco. Silvio Berlusconi ha dato l’ok definitivo, anche se con Silvio mai dire mai. Le trattative sono arrivate alla definizione delle garanzie e, come suggerisce un esperto sia di Milan sia di questa compravendita in particolare, quando si arriva alle garanzie il più è fatto.
Nomi ancora niente. Ma non c’è un uomo solo al comando e c’è una banca di Stato a sostenere la cordata. Il supermagnate cinese Jack Ma ha preso le distanze da voci che lo indicavano come elemento chiave dell’operazione. Robin Li, quinto miliardario del paese e fondatore del motore di ricerca Baidu, è stato tirato in ballo dalla Cctv, il network televisivo dello Stato, ma non ha confermato.
Per adesso bisogna accontentarsi di Nicholas Gancikoff, che in corso di negoziato è passato dal ruolo di consulente nominato da un altro consulente, il siculo-americano Sal Galatioto, a quello di amministratore delegato in pectore. Anche di lui si sa poco, a parte quello che lui stesso ha raccontato a margine degli incontri. Il nonno era il tipico russo in fuga dai bolscevichi dopo l’ottobre 1917. Prima è scappato in Crimea. Poi quando i controrivoluzionari bianchi sono stati sopraffatti dall’Armata Rossa di Lev Trockij, nonno Gancikoff si è rifugiato a Gallipoli in Turchia e infine a Parigi dove è nato Gancikoff padre. Gancikoff figlio è nato a Londra 42 anni fa e amministra una piccolissima società di procuratori sportivi, Sig investments con 160 mila euro di ricavi. Ha portato a lungo il cognome della sua famiglia adottiva, i marchesi Carrega Bertolini di Lucedio. Adesso è Gancikoff e basta come il fratello Andrew, 39 anni, ex amministratore di una società di abbigliamento controllata da Guido Minardi De Michetti, socio e amico di Angelomario Moratti, figlio dell’ex presidente interista che, ormai sette anni fa, aveva coinvolto Nicholas Gancikoff nel progetto per il nuovo stadio dei nerazzurri.
Forse se ne saprà di più a trattativa definita. Altre notizie in ordine sparso vedono un consiglio di amministrazione con Adriano Galliani minoritario ma del tutto operativo e intenzionato a rimanere nei ranghi rossoneri come uomo mercato. Lady Barbara invece potrebbe restare come consigliera ma, se arrivano i cinesi, il suo breve regno finirà in pezzi come forse accadrà ad alcuni contratti di consulenza. Per esempio, al pluriennale di consulenza dell’avvocato Geronimo La Russa, figlio di Ignazio che è un piccolo azionista dell’Inter con 10 mila titoli.
QUEI SOLDI VIA LUSSEMBURGO
Non esiste ragione di essere sinofobi se non che il calcio è un mondo emotivo con regole che sono sempre state molto diverse da quelle del mercato. Hanno fatto storia le resistenze dei fan del Manchester United ai tempi del passaggio dei Red devils alla cordata statunitense di Malcolm Glazer. Il tifoso vive da sempre l’ambivalenza fra il senso di appartenenza campanilistico più becero e il sogno di campagne acquisiti faraoniche che anticipano il trionfo in campo.
E se il denaro non puzza, figuriamoci il gol. Sotto il profilo dei flussi finanziari l’investitore cinese ha caratteristiche identiche all’investitore del Golfo Persico o dell’oligarchia putiniana. Per la trasparenza, rivolgersi altrove. La vicenda dell’Inter è da manuale.
Dopo essere passata da Massimo Moratti a una maggioranza indonesiana rappresentata da Eric Thohir e dalla Nusantara sport ventures di Hong Kong, la squadra nerazzurra ha trovato un nuovo padrone nella Suning, che ha rilevato il 68 per cento delle azioni e ha subito ingaggiato Moratti come consulente. Si è scritto che il gruppo di Zhang prenderà l’Inter attraverso la sua controllata Suning commerce, quotata alla Borsa di Shenzhen. In realtà, l’acquisizione sarà fatta attraverso la newco lussemburghese Great Horizon che dipende direttamente dalla capogruppo Suning Holdings e che non c’entra con la Borsa dove, in teoria, i controlli contabili sono più stringenti. Non che i soldi manchino ai nuovi proprietari. Nei documenti della cessione Suning è descritta come uno dei maggiori gruppi privati di retail in Cina con 1.600 punti vendita in 700 città. Suning possiede anche uno dei primi tre portali di e-commerce della Repubblica e controlla sia PP tv («una delle maggiori piattaforme per lo streaming on line in Cina») sia lo Jiangsu Suning Fc di Nanchino. Lo streaming servirà per aumentare la base del tifo nerazzurro, censita in 136 milioni di tifosi (non è chiaro perché non 135 o 137). Con il club gemello della Superleague, invece, sono previsti accordi di stretta collaborazione «mediante prestiti di giocatori, secondment di allenatori e scouting congiunto».
Passi per lo scouting e il secondment (distacco, ndr), ma l’andirivieni di calciatori in prestito, oneroso o gratuito, e la prospettiva delle triangolazioni a prezzi crescenti, già praticate dai due club milanesi fra loro nei primi anni Duemila, allarma non poco il manipolo di desperados che tenta di fare rispettare il fair play Uefa.
ZAMPARINI DECOLLA
Il fronte della Madonnina è sicuramente il più avanzato nell’invasione dei capitali cinesi ma non è l’unico. Oltre a Milano, ci sono movimenti su altri club. Il più noto è il Palermo, che Maurizio Zamparini tenta di vendere già da tempo. Nella capitale siciliana hanno già visto e sentito presunti sceicchi pronti a sommergere di petrodollari i rosanero. Il friulano Zamparini, che è arrivato a Palermo con progetti di stadio nuovo e annessi centri commerciali che non si sono realizzati, ha annunciato una sua visita in Cina in questi giorni per stringere con la trattativa.
Anche il Bologna dell’imprenditore canadese Joey Saputo è stato preso in considerazione dagli uomini di Wanda. Non per entrare nell’azionariato ma per sviluppare quello che il business principale della conglomerata di Wang, quei parchi a tema che l’ex guardia dell’esercito maoista al confine mongolo sta costruendo a centinaia nel suo paese insieme ai centri di produzione cinematografica che dovrebbero mettere a rischio la leadership mondiale di Hollywood.
Gli uomini di Wang Jianlin, che ha appena comprato il circuito Odeon&Uci group con 472 sale cinematografiche in Italia, hanno preso contatti con la dirigenza della Roma prima che scoppiasse la bufera dell’indagine giudiziaria milanese su Infront, con Bogarelli sotto inchiesta insieme agli altri due manager Andrea Locatelli e Giuseppe Ciocchetti.
Fra gli uomini di Wanda e i romanisti non c’è stato niente di più di qualche chiacchiera anche perché il proprietario della squadra giallorossa, l’italo-bostoniano Jim Pallotta, ha una prelazione con il maggiore concorrente di Wanda nel business dei parchi, la Walt Disney co. Anche l’altro partner incaricato di sviluppare la parte alberghiera del nuovo impianto di Tor di Valle, la Starwood hotel, è saldamente in area stelle e strisce e in fase espansiva dopo l’acquisto della catena rivale Marriott in aprile.
Naturalmente tutto rimane condizionato all’evoluzione politico-burocratica della capitale. La nuova amministrazione grillina, partita con dichiarazioni bellicose contro il nuovo stadio e le Olimpiadi del 2024, sembra essersi orientata verso più miti consigli, anche perché gli atti firmati con Ignazio Marino al Campidoglio non possono essere sconfessati senza il rischio di contenziosi catastrofici per una città già sommersa da debiti veri o presunti.
Ma una volta che l’iter si sarà concluso, Pallotta, il project manager Sandro Parnasi, Starwood e i mitici fondi israeliani che sarebbero pronti a intervenire, devono mettere la grana sul banco. Insomma, il momento della verità si avvicina. Di sicuro, senza stadio nuovo Pallotta intende mollare il club. Le guardie rosse abbevereranno i loro cavalli a Trigoria? La risposta del tifo è: perché no, purché si spenda.
Finora il track record dei cinesi in Italia è riassunto dalla vicenda del Pavia, escluso dalla Lega Pro (la cara vecchia serie C) per assenza di garanzie finanziarie. Certo, i padroni cinesi del club lombardo non erano nella classifica “Forbes” dei più ricchi di Cina come Wang, Zhang, Ma e Li. Ma se servono magliari nel calcio italiano, non li dobbiamo importare.