
Quante similitudini. I luoghi sono contigui, oggi come sette anni fa. Rieti, Amatrice, Accumuli, Pescara del Tronto, L'Aquila, Onna. Borghi antichi solo in parte preservati dal dilagare delle costruzioni in cemento armato non meno fragili di quelle d'un tempo. Presepi preziosi e sfasciume pendulo, secondo la definizione dei primi del '900 di un meridionalista appassionato quale fu Giustino Fortunato.
[[ge:rep-locali:espresso:285226445]]
È la mescolanza contraddittoria di tanta parte dei nostri territori interni, appenninici, destinati all'inesorabile spopolamento, salvo rivitalizzarsi poche settimane all'anno. Le radici profonde, ancora vitali. Oggi si sono rivelate fonte di dolore e spaesamento. Non è l'ora delle recriminazioni e delle accuse. Ma del soccorso, del conforto, dell'assistenza.
Ci sono ancora vite da salvare, si spera. Eppure la lunga sequenza di tragedie provocate dai terremoti ci ha insegnato poco nel campo della prevenzione e dell'educazione di massa. Niente piani di evacuazione, niente punti di raccolta, niente di niente. Un'impreparazione collettiva resa ancora più evidente dal senso di impotenza trasmesso dalle immagine delle dirette televisive. Un ultimo ricordo, infine, legato alla malanotte dell'Aquila. Si scoprì, tempo dopo, che alcuni avevano riso al telefono scambiandosi le notizie sul disastro: vedevano grandi appalti all'orizzonte. La risata delle iene. Siamo sicuri che quella specie animale si sia estinta? Auguriamocelo.