Per riguadagnare i consensi perduti la Merkel studia tagli alle tasse.  Ma in Europa non può rinnegare l’austerità. Almeno a parole

Mi vuoi prestare i tuoi soldi? Quanto mi paghi? Può sembrare un’assurdità eppure, nei primi giorni di settembre, gli investitori hanno fatto la fila per rispondere “sì” a un interrogativo come questo. A battere cassa era il gruppo tedesco Henkel, un gigante dei prodotti di largo consumo per la casa e l’igiene personale, proprietario di marchi conosciutissimi da chi fa la spesa, il detersivo Dixan e la colla Super Attak, ?lo shampoo Gliss e il dentifricio Antica Erboristeria. Alla fine il prestito sottoscritto dagli investitori in favore della ditta tedesca ha raggiunto i 2,2 miliardi di euro.

Piccola particolarità: una parte dei bond collocati prevede ?un rendimento negativo dello 0,05 per cento. Dunque, quando fra due anni ?i titoli scadranno, un investitore che ne ha comprati per 5.000 euro riceverà indietro soltanto 4.997,5 euro. Niente cedola, niente rendimento. Un affare, per la Henkel, che utilizzerà i quattrini presi in prestito gratuitamente (anzi, con un piccolo profitto) per espandersi negli Stati Uniti, acquistando la concorrente Sun Products Corporation.

Il caso Henkel descrive alla perfezione ?il paradosso che sta vivendo in questi mesi la Germania di Angela Merkel. ?Con i tassi d’interesse schiacciati a zero grazie alle politiche volute dalla Banca centrale europea di Mario Draghi, ?il Made in Germany sta facendo affari d’oro.

Le esportazioni volano, le acquisizioni all’estero si intensificano. Allo stesso modo ne beneficiano ?i cittadini e lo Stato: la disoccupazione ?è ai minimi, i conti pubblici scoppiano ?di salute. Eppure i due storici partiti ?di governo, la Cdu della Merkel ?e i socialdemocratici della Spd, faticano a raccogliere il consenso elettorale ?che sarebbe legittimo aspettarsi. ?Nelle elezioni regionali tenute a inizio settembre nel Land baltico del Meclemburgo, la Cdu è scivolata al terzo posto, scavalcata dal partito populista Alternative für Deutschland (Afd), che ?la leader Frauke Petry ha spinto su posizioni molto aggressive contro le politiche pro-immigrati della cancelliera. «Angela Merkel cadrà sui migranti», continua a ripetere la Petry, anche se ?il suo mantra non sempre funziona e, pochi giorni dopo il Meclemburgo, la Afd è uscita ridimensionata dalle comunali in Bassa Sassonia.
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A Berlino la doccia fredda elettorale rimediata nel Nord non è stata una sorpresa. Ormai da settimane i due partiti che compongono la coalizione stanno studiando come reagire alle inquietudini degli elettori, mettendo ?in discussione il dogma dell’austerità ?a ogni costo su cui la Merkel e il carismatico ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, hanno finora basato la loro azione di governo. A fine agosto, il primo a parlare di «tagli alle tasse» era stato Volker Kauder, capogruppo della Cdu alla Camera dei deputati, che aveva invocato la necessità di «riduzioni fiscali nell’ordine dei 15 miliardi». Qualche giorno dopo era intervenuto Carsten Linnemann, portavoce del cosiddetto “Mittelstand Vereinigung”, l’ala del partito della cancelliera più vicina agli industriali e agli ambienti economici; per lui, le richieste di Kauder non erano sufficienti, visto che a suo giudizio servirebbe «una riduzione delle imposte nell’ordine dei 30 miliardi», il doppio di quanto chiesto dal compagno di partito.
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Ormai da tempo, però, Merkel e Schäuble operano in casa con un occhio rivolto all’Europa. Sanno che se fossero proprio loro a sbracare sul fronte dell’austerità, i Paesi più indebitati ?e fragili dell’area euro chiederebbero ?di fare lo stesso, senza avere i margini di manovra in termini di bilancio che la Germania ha saputo costruirsi in questi anni. E sanno altrettanto bene che l’industria tedesca, in questa fase, ?non ha bisogno di grandi stimoli. ?Nel periodo che va da gennaio a luglio ?le esportazioni hanno sovrastato le importazioni dall’estero, con un saldo commerciale da record, pari a 163 miliardi di euro, otto miliardi in più del 2015. Sono cifre nemmeno paragonabili a quelle degli altri Paesi dell’euro; per raggiungere il valore dell’export tedesco, bisognerebbe mettere insieme Francia, Italia, Spagna, Finlandia, Grecia, ?e qualcosa ancora mancherebbe. Ma c’è di più.

La politica di tassi zero della Bce, che a parole la Germania e in particolare la Bundesbank contestano, sta dando ?al Made in Germany una spinta eccezionale. Non c’è solo il caso Henkel. Secondo un’elaborazione effettuata da Dealogic per “l’Espresso”, il 41 per cento dei bond emessi a tassi negativi quest’anno in Europa batte bandiera tedesca. E ancora: di tutti i prestiti obbligazionari aziendali collocati tra ?il 2015 e il 2016 con un rendimento compreso fra lo zero e l’1 per cento, positivo ma comunque molto basso, quelli tedeschi sono la fetta più grande. Nel dettaglio: il 29 per cento, per un ammontare complessivo di 26,6 miliardi. Le aziende italiane, per dire, si sono fermate ad appena 1,8 miliardi.

L’industria tedesca, dunque, ?sta accumulando colossali risorse ?da spendere sui mercati internazionali, come dimostrano le acquisizioni in serie annunciate negli Stati Uniti, uno dei mercati più ricchi e difficili, dove i gruppi tedeschi stanno rastrellando aziende attive nel software, nella meccanica, nelle biotecnologie. Se due anni fa ?la Germania era il settimo Paese per investimenti diretti negli States, oggi ?è arrivata al terzo posto, con un volume pari a 2.900 miliardi di dollari. Una base solidissima, su cui sta tentando di far leva il colosso farmaceutico Bayer ?nella sua scalata alla Monsanto, ?la multinazionale celebre in tutto ?il mondo per le sue sementi.

In Germania, intanto, le ricadute sull’economia dell’ottima salute del comparto industriale si fanno sentire. ?Il controllo della spesa pubblica e la crescita del Pil, che quest’anno dovrebbe attestarsi attorno all’1,8-1,9 per cento, fanno viaggiare meglio che mai i conti dello Stato, che hanno raggiunto il pareggio già nel 2014 e alla fine del 2016 dovrebbero registrare un surplus di 27 miliardi di euro, stando alle previsioni dell’istituto di ricerca berlinese Diw. ?Dopo la sconfitta nel Meclemburgo, sull’utilizzo di questo tesoretto Schäuble ha dovuto fare le prime concessioni. Non si è spinto dove chiedevano Linnemann ?e le imprese ma ha promesso una riduzione delle imposte da 15 miliardi, che nelle sue intenzioni sarebbe da effettuare soltanto dopo le elezioni politiche del 2017.

Le reazioni sono state molto diverse. Una parte del suo partito si è subito attivata per anticiparle, in modo da contrastare l’avanzata di Frauke Petry e del suo partito populista. Gli alleati della Spd, invece, hanno colto l’occasione per muovere l’offensiva sul fronte che considerano cruciale per le elezioni politiche che si terranno fra un anno.

Se ci sono i soldi, è la tesi del partito guidato da Sigmar Gabriel, bisogna spingere al massimo su due obiettivi: concentrare le riduzioni fiscali sulle persone più povere e lanciare un ampio programma di grandi investimenti pubblici. «Presenteremo già prima delle elezioni del 2017 un programma di riduzioni fiscali che vada soprattutto ?a vantaggio dei redditi medi e bassi», conferma a “l’Espresso” Carsten Schneider, responsabile per la politica economica della Spd, secondo ?il quale occorre «puntare già in questa legislatura su nuovi investimenti, e in particolare sul rafforzamento delle infrastrutture nelle regioni e nei comuni».

Possono sembrare questioni di politica interna ma non è così. L’idea è questa. Più la Germania spende in casa propria, più attira un flusso di merci e servizi ?dai Paesi vicini. È quanto chiedono non soltanto i partner europei ma anche l’amministrazione americana di Barack Obama, preoccupata dallo scarso sostegno fornito dalla Germania alla ripresa globale. Non è però solo una questione politica, di rapporti con i Paesi dell’Eurozona, ma anche interna.

Marcel Fratzscher, direttore dell’istituto di ricerca Diw, invita a focalizzare un altro dato economico tedesco, le partite correnti, che ai flussi commerciali sommano anche i movimenti di capitale. Ebbene, stando ?ai calcoli del Diw, quest’anno il saldo positivo delle partite correnti della Germania con l’estero sfiorerà i 300 miliardi: «Cosa sono questi 300 miliardi di surplus se non investimenti delle nostre imprese realizzati all’estero e non qui in Germania? Questo dato evidenzia ancora una volta i forti squilibri dell’Azienda Germania, con imprese molto competitive e flessibili a livello globale, ma con investimenti così bassi in Germania da penalizzare per l’appunto le importazioni». Per l’economista, dunque, sarebbe interesse della Germania stessa trovare il modo ?di spendere di più, e di farlo «non ?in regali elettorali ma in investimenti a beneficio delle generazioni future».

Agli italiani che ammirano i quartieri più cool ?di Berlino o i servizi pubblici di Monaco e Francoforte può sembrare strano, eppure in Germania è radicata l’idea che l’austerità pesi parecchio sulla qualità della vita ?di molti cittadini. «La nostra realtà economica e politica si può riassumere così: abbiamo risparmiato al punto ?da rendere poveri questo Paese e le sue infrastrutture», sostiene Gerhard Schick, responsabile della politica economica dei Verdi, secondo il quale «non è sostenibile il modello di una nazione industriale che vive di rendita e di esportazioni». Ecco dove, nell’idea ?di Schick, le necessità elettorali ?della Merkel potrebbero incontrare ?la domanda di meno austerità ?che arriva dai Paesi più deboli: ?«La Germania deve realizzare una vera svolta economico-finanziaria, tornando ?a investire di più nel proprio futuro ?e in quello europeo», dice.

Sarà questo il punto su cui ?nei prossimi mesi si giocherà ?il confronto nelle capitali europee. Difficile immaginare che la svolta tedesca sulla spesa pubblica, profonda o light che sia, possa mai essere dichiarata in maniera esplicita da Berlino. Come nota lo stesso Schick, infatti, Schäuble ha subito messo le mani avanti, opponendosi tenacemente al Fondo europeo per la disoccupazione, che dovrebbe aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi. In questo atteggiamento ?c’è l’ovvio rifiuto di accollarsi i costi ?delle incapacità altrui.

Ma c’è anche un altro aspetto. Lo si coglie scorrendo l’elenco delle obbligazioni private che la Bce, con ?il Quantitative easing, ha acquistato ?in maggiori quantità. Tre delle prime cinque sono tedesche: le ferrovie Deutsche Bahn, Bmw e Daimler. ?Un altro vantaggio, per il Made ?in Germany, che rischierebbe di venire meno se le regole europee ?cambiassero in modo radicale.