Il romanzo è troppo lungo, con dialoghi interminabili e snervanti. Ma lo scrittore ha talento, sa cos'è il sense of humour e crede davvero nella letteratura. Il risultato, un testo accattivante che si presta a diventare un film
Non posso e non voglio liquidare l’ultimo romanzo di Jonathan Safran Foer (1977) intitolato “Eccomi” (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini, pp. 666, euro 22), scrivendo che è troppo lungo, che ha interminabili e snervanti dialoghi, che la famiglia Bloch al centro della storia (padre e madre sempre contraddittori e problematici, mentre i tre figli bambini sono invariabilmente geniali) è come minimo irritante.
E non posso e non voglio limitarmi a osservare che l’autore è troppo smanioso di piacere, che fa troppi giochi d’artificio, mette troppo zucchero o troppo sale. Insomma, non posso e non voglio farmi vincere da una certa stizza e decretare, sic et simpliciter, che Jonathan Safran Foer, al suo terzo romanzo dopo “Ogni cosa è illuminata” (2002) e “Molto forte, incredibilmente vicino” (2005), ha scritto un testo così accattivante da risultare stucchevole, così furbo da offrirsi, prima ancora che a essere letto, a essere hollywoodato (se permettete l’orrido neologismo).
Ma non posso e non voglio. E il perché consiste nel fatto che lo scrittore americano ha talento, è brillante, sa che cosa è il sense of humour, e crede davvero nella letteratura. E questo lenisce il fastidio e muove a un certo rispetto. Perché Safran Foer (forse non a caso ribattezzato Savoir Faire da Jonathan Franzen) possiede a tratti la grazia e l’inventività del vero scrittore, ne possiede l’intelligenza, la vulnerabilità, direi persino l’incertezza (che in fondo è la sua dote migliore).
Certo, ci sono difetti, nel libro, che hanno quasi dell’incredibile. Per esempio, la storia della giovane famiglia Bloch, ebrei mediamente privilegiati in quel di Washington, capaci di ferirsi a morte l’un l’altro per motivi che definire inessenziali è poco - bene, questa famiglia viene messa per un momento a tacere nelle sue lagne e tormenti da un evento catastrofico: uno spaventoso terremoto in Israele, a cui fa seguito una guerra violentissima in tutto il Medio Oriente. Il che accade più o meno a pagina 300, quando ormai il lettore langue dietro alle beghe dei Bloch. Ora voi credete che un tale accadimento un po’ fantascientifico e un po’ fantapolitico produca segni marcati sulla trama? No. Safran Foer continua a imbastire i suoi giochi di prestidigitazione come ipnotizzato da se stesso.