La Liguria è in trepidazione: vuole essere tra le prime regioni a seguire Veneto, Lombardia e Emilia. «Siamo pronti sia a celebrare un referendum, sia a trattare a livello parlamentare. C’è voglia di autonomia, di valorizzare le autonomie locali, di maggiori poteri a sindaci e regioni» afferma il governatore ligure Giovanni Toti. Che chiede una riforma ampia degli statuti regionali: «Il governo dovrebbe aprire un dibattito serio e vero con la Conferenza delle Regioni e tutti i governatori, e le forze parlamentari dovrebbero iniziare a scrivere una riforma costituzionale che parta proprio da quella richiesta di maggiore autonomia e maggiori poteri che arriva dai veneti e dai lombardi».
In Piemonte scaldano i motori. «Preso ci sarà un referendum anche qui» afferma il segretario regionale della Lega, Riccardo Molinari. «Abbiamo già una legge pronta, depositata dal Gruppo della Lega in Consiglio regionale, abbiamo costituito un Comitato apolitico che sta lavorando per informare i cittadini sui benefici dell'autonomia» continua Molinari «basta solo la volontà del presidente Chiamparino per partire. Chiediamo, quindi, al presidente di far approvare la nostra proposta di legge in modo da dare voce nel più breve tempo possibile ai cittadini piemontesi oppure di proporne una propria, che se andrà nella direzione di una consultazione popolare in tempi certi avrà il nostro appoggio».

In Campania, il governatore De Luca sembra più cauto. Non parla di referendum, ma si inserisce nella linea di chi chiede riforme. «Se la sfida è quella dell'efficienza, del rigore, della gestione corretta delle risorse, io sono davanti ai nostri amici lombardi e veneti» afferma De Luca. «Per quanto mi riguarda va bene anche un ragionamento sul riparto delle risorse, a condizione però che non si faccia il gioco delle tre carte» continua l’ex sindaco di Salerno «vi sono ambiti nei quali il Sud è fortemente penalizzato, a cominciare da quello della sanità». Porta l’esempio della regione Campania che «viene privata ogni anno di 250 milioni di euro che vengono sottratti ai servizi e ai nostri concittadini perchè considerata la regione più giovane Italia. Questo è un assurdo».
Sempre al Sud, un altro governatore Dem vuole aprire il dibattito su una maggiore autonomia. Ma non attraverso una chiamata alle urne dei cittadini. «Non ho i soldi per fare un referendum. Faremo una cosa più tranquilla, faremo un grande forum regionale nel quale tutti coloro che vorranno discutere di questa ipotesi della autonomia diranno la loro» ha affermato il presidente della Puglia Michele Emiliano. «Noi abbiamo una legge sulla partecipazione molto evoluta ma anche molto economica» continua «spenderemo poche decine di migliaia di euro».
Anche in Basilicata c’è bisogno «di un nuovo patto democratico, di una rinnovata democrazia lucana che parta dall'attuazione dello Statuto, approvato dopo anni di attesa, sino ad un contesto normativo che contempli la nuova legge elettorale, un nuovo assetto delle funzioni dei diversi livelli istituzionali accompagnato da risorse come il fondo unico per gli enti locali». Lo ha affermato il consigliere regionale Piero Lacorazza, per cui la vera sfida non è non è «invocare un'indipendenza o un'autonomia pasticciata poiché le piccole patrie non sono la risposta per ridurre i rischi e far crescere le opportunità della globalizzazione».
«Proporremo il referendum anche in Lazio» ha dichiarato il segretario della Lega Salvini. Ma il governatore Zingaretti frena: «Noi, come tutte le regioni, abbiamo bisogno dell'Italia: servono efficienza e coesione, più che l'autonomia. Lo stato federale deve essere l'Europa». E anche in Toscana il presidente della regione non si è fatto prendere dalla febbre autonomista. «Si alimentano divisioni tra gli italiani che danneggeranno la già fragile architettura istituzionale del Paese» ha dichiarato il governatore Enrico Rossi. «Per la destra del Nord conta solo l'autonomia, la rivendicazione della “piccola patria” regionale e l'illusione che si pagheranno meno tasse. Le vere questioni non valgono» continua Rossi «i tagli alla sanità e alla scuola, i salari e le pensioni basse, la precarietà del lavoro, la lotta agli sprechi e all'evasione fiscale, le diseguaglianze sociali. Solo una sinistra politica e sociale può fermare questa deriva».