Il divario eccessivo è una bomba. A Bologna un incontro tra grandi studiosi in cerca di soluzioni. L'analisi di Pier Giorgio Arden

Trump? La Brexit? La crescita dei partiti radicali in Europa? «Tutti questi fenomeni politici derivano da un profondo mutamento nella struttura sociale dei Paesi avanzati, e questo è dovuto in buona parte all’aumento delle diseguaglianze». Parola di Pier Giorgio Ardeni, docente di Economia politica all’Università di Bologna e presidente dell’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, la fondazione che a questi temi dedicherà tre giorni di dibattiti ?fra il 2 e il 4 novembre a Bologna, con studiosi internazionali come il sociologo John Gorlthorpe, gli economisti Stephen Jenkins e Joseph Stiglitz.

Professor Ardeni, la forbice tra ricchi ?e poveri si allarga da anni in quasi tutto il mondo. L’Italia come sta?
«Fatta eccezione per il Regno Unito, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata in Italia negli ultimi 30-35 anni più che negli altri Paesi europei dell’Ocse. E non è stata la crisi mondiale, quella iniziata nel 2007, ?che ha causato l’aumento delle disuguaglianze in Italia, quella l’ha ?solo accentuato».

Perché l’Italia è messa così male?
«Negli ultimi anni siamo stati il Paese Ocse in cui salari e stipendi dei lavoratori con retribuzioni alte sono aumentati più che altrove, mentre quelli dei lavoratori con retribuzioni medie e basse sono diminuiti maggiormente. Ma non è solo economia. Sono cresciute anche le disuguaglianze in termini ?di istruzione: è sempre più netta la tendenza per cui il figlio del laureato sarà laureato e il figlio dell’operaio sarà diplomato. È diminuita la mobilità sociale e ci sono oggi disuguaglianze non dovute al merito o al reddito ?ma addirittura “ereditarie”.

Diceva che la crescita dei partiti ?anti-sistema, i cosiddetti populismi, è causata principalmente dall’aumento delle disuguaglianze. Perché?
Difficile tracciare una correlazione diretta, ma il venir meno dell’ascensore sociale fa aumentare la rabbia, e questo può portare a una minore fiducia nel sistema. Quello che un tempo avrebbe portato al conflitto sociale ?oggi si trasforma in rifiuto.

Le riforme del mercato del lavoro - meno garanzie, stipendi più bassi - quanto hanno contribuito all’aumento delle disuguaglianze?
«Molto, ma in un senso specifico. Le politiche pubbliche possono ridurre le disuguaglianze, ma quelle attuate negli ultimi anni hanno sfavorito i giovani, che infatti oggi sono più a rischio di povertà rispetto agli adulti e agli anziani».

Nell’ultima finanziaria il governo ?ha stanziato aiuti per i più poveri, aumentando ad esempio il budget ?per il cosiddetto reddito d’inclusione. La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha criticato la manovra. ?Lei cosa ne pensa?
Le finanziarie degli ultimi anni, così come l’ultima, non hanno intaccato ?nel profondo il problema delle disuguaglianze, non hanno agito sulla struttura dell’economia, cioè sulla mancanza di investimenti o sulla scarsa occupazione. Certo stanziare risorse per i più poveri, così come introdurre bonus fiscali, significa far aumentare per queste fasce il reddito disponibile, ma il problema vero è a monte. ?Bisogna intervenire sulla scuola ?e sull’occupazione».

Come?
«Mettendo soldi nell’università, nella ricerca: sono settori in cui il nostro Paese da anni investe meno rispetto alle altre nazioni sviluppate. E poi bisogna destinare risorse per mettere ?a posto le strade, riqualificare il patrimonio edilizio, creare o migliorare ?i poli industriali tecnologicamente avanzati, insomma creare occupazione qualificata e non.

Tutto giusto, ma ci sono i parametri ?di bilancio europei da rispettare.
«È vero, ma perché allora gli altri Paesi europei spendono così tanto ?in istruzione?»

«Forse perché hanno finanze pubbliche migliori delle nostre.
«No, non è l’Unione europea a impedirci di investire in istruzione o nell’industria, sono scelte politiche. E comunque, oltre ai soldi pubblici, ci sono quelli privati. Anche gli imprenditori hanno le loro responsabilità».

Quali?
«Negli anni della crisi gli investimenti produttivi privati sono calati, nel contempo quelli finanziari sono aumentati. L’imprenditore mette i soldi dove gli conviene, ma è lo Stato che deve indirizzare queste risorse dove è più utile per la società».