L'arrivo di Trump spiazza la propaganda, mentre la popolazione è sempre più insoddisfatta. L'accademico Solovei: "ci saranno proteste politiche". Dubbi sulla salute di Vladimir Putin e sulla sua candidatura nel 2018. Lo sfidante Navalni di nuovo alla sbarra (Foto di Davide Monteleone)

La presidenza Trump mette in difficoltà la narrativa anti-americana di Vladimir Putin, togliendo acqua al mulino della propaganda, e può accelerare una crisi politica di cui in Russia si moltiplicano i segnali. Il Cremlino, che finora ha potuto contare su un nemico esterno per distrarre la popolazione dai guai domestici, il prossimo nemico probabilmente ce l'ha in casa. E al momento della battaglia, Putin potrebbe non esser al posto di comando.

"La nuova sfida sarà interna", dice all'Espresso Valery Solovei, osservatore molto ascoltato dall'intellighenzia moscovita. "Incombe una crisi che ha tra le sue cause la caduta dell'efficacia propagandistica, e che potrebbe sfociare in proteste politiche". Docente al Mgimo, l'università del ministero degli Esteri che prepara i diplomatici russi, Solovei ha fonti privilegiate al vertice dello Stato. E' noto per anticipare puntualmente le nomine governative prima che vengano annunciate. Ritiene che nel prossimo futuro la élite al potere in Russia più che di politica internazionale dovrà occuparsi di una situazione domestica che rischia di travolgerla. Mentre l'incertezza sulla candidatura di Putin alle elezioni del 2018 "ha a che fare con la sua salute", riferisce il professore dei futuri ambasciatori.

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"Non capisco proprio più i telegiornali", dice Tatiana, impiegata di banca di 42 anni. Sullo schermo 80 pollici che riempie il salottino del suo appartamento a Novogireevo, periferia di Mosca, vanno in onda le news di Rossiya 1. Venticinque minuti di esteri. Il giornalista conduttore loda Trump e nota compiaciuto che nel discorso inaugurale non ha pronunciato la parola "democrazia", né menzionato la Nato e l'Europa. "Ma come, fino a ieri gli americani avevano la colpa dei tutto e ora son diventati buoni?", ironizza Tatiana. E si lamenta che "come al solito non si parla di ciò che davvero interessa alla gente".

Con i media come fanfara, tra "trump-burger" con tanto di ciuffo giallo (di formaggio), poster nelle vetrine e schermi giganti nei locali di ritrovo, in Russia l'inaugurazione del nuovo presidente Usa è stata festeggiata in un clima da fiera paesana. Ha prevalso l'ironia. "Trump-nash", ovvero "Trump è nostro", è il tormentone delle ultime settimane, ricalcato sullo slogan "Krim-nash" (Crimea nostra) di tre anni fa.

"I russi sono stanchi di non essere benvoluti", scrisse nel 2014 l'autore radicale Eduard Limonov. Forse è questo il sentimento che ha agito. Ma soprattutto si son voluti esorcizzare anni di propaganda sui nemici di Washington. Alla fine nessuno scommetterebbe che Trump vorrà così bene alla Russia come dice lui e come dice la televisione. Ai media governativi si credeva già poco. L'inversione di marcia sull'America li ha ulteriormente screditati. E ci si ride sopra.

Ci vorrebbe un nemico
"La gente era già stanca delle notizie sulla guerra in Siria, sulla crisi dell'immigrazione in Europa, o sulla pericolosità di Nato e Usa", spiega Solovei. "I dati sociologici rilevano che il punto di vista è cambiato. Ai russi interessa l'aumento della disoccupazione, il calo del potere d'acquisto, il decadimento del welfare. I media governativi di queste cose non parlano perché c'è ben poco da propagandare, in merito. Ma la narrativa sui nemici esterni non funziona più". L'accademico sottolinea come siano in continuo aumento le persone che si informano sui social network e non alla tivù. Secondo l'istituto indipendente di statistica Levada Center, il 60 percento dei russi utilizza i social. Non solo nelle grandi città (49 percento) ma anche - e questa è la novità - nei piccoli villaggi (29 percento).

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La propaganda anti-americana ha raggiunto l'apice con l'annessione della Crimea e poi con i successi militari in Medio Oriente. Ma è da oltre dieci anni che il Cremlino se ne serve: da quando le "rivoluzioni colorate" in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, benedette se non direttamente aiutate dall'America di George W. Bush, crearono nella cittadella medievale di Mosca un clima da fortezza assediata. Nel 2005, il timore che gli Usa potessero appoggiare una "rivoluzione colorata" in Russia divenne panico, nell'entourage del presidente. Ogni riferimento all'integrazione con l'Occidente, all'amicizia con l'Europa e alla condivisione dei suoi valori sparì. Il controllo sui media fu rafforzato; nuove leggi garantirono il controllo su candidati alle elezioni e parlamento; la repressione delle proteste venne facilitata per decreto. Putin il Magnifico divenne Putin il Terribile.

"Passionarnost"
La presenza di un nemico esterno è stata funzionale alla veste ideologica che il presidente, o meglio la cosiddetta élite che lo circonda, ha dato all'opportunismo politico russo: l'esaltazione di un' originalità euro-asiatica in un mondo dominato da costumi e modelli occidentali. Putin cita a questo proposito il concetto di "passionarnost", in pratica la capacità di soffrire, sacrificarsi e sopportare che si vorrebbe connaturata all'anima russa. Il termine fu inventato in un gulag dell'Urss da un criptico teorico dell'etnogenetica. L'idea è la stessa che permise agli zar e ai preti ortodossi di controllare il Paese per novecento anni.

Ma di sacrifici, nemici e propaganda oggi i russi oggi sembrano averne abbastanza. Il 45 percento di loro è insoddisfatto della situazione generale del paese, secondo un sondaggio del Fom, un istituto di ricerca sociologica che lavora per il governo. Oltre la metà degli intervistati si lamenta per le condizioni del settore sanitario; la metà per l'andamento dell' economia; tra il 39 e il 40 percento sottolinea le carenze della protezione sociale e della scuola. Non si fanno più progetti: solo il 6 percento del campione ha risposto che sta pianificando il futuro familiare e lavorativo su un periodo di dieci anni. Il 48 percento non guarda oltre l'orizzonte di un anno. Il 24 percento vive alla giornata. Il 57 percento conta solo sulle proprie forze per migliorare la sua situazione finanziaria. Dal governo, non ci si aspetta granché.

Segnali di crisi
Una "costellazione di fatti" indica l'imminenza di una crisi politica che "potrebbe iniziare quest'anno e continuare fino al tutto il 2019", prevede Solovei. Nella sua analisi, la perdita di efficacia degli slogan anti-Usa, la diminuzione dei salari e la mancanza di prospettive determinano una presa di coscienza in gran parte della popolazione. Crescono - dice l'accademico - l'aggressività e l'irritazione per la corruzione dilagante, la sclerosi della macchina burocraticra e la "repressione selettiva", che lascia discreta libertà all'opposizione quando non dà troppo fastidio, e dietro la facciata utilizza il pugno di ferro quando è a rischio il controllo.

Altri segnali di crisi, secondo Solovei, sono l'infedeltà dei poteri locali e le lotte interne. E' vero che alla corte di Putin è in corso una guerra per accaparrarsi le risorse rimaste dopo due anni di recessione. Campo di battaglia, le privatizzazioni petrolifere. Immaginatevi "una rissa tra bulldog sotto un tappeto", come diceva Winston Churchill delle guerre intestine nel Cremlino sovietico. Un ministro, Alexei Ulyukaev, ci ha già rimesso il posto. E' stato arrestato con una accusa singolare: aver preso una mazzetta per dare il via libera a una decisione che di fatto era già esecutiva.

"Il potere in Russia è in realtà molto debole", sentenzia Solovei. La crisi interna alla élite che lo detiene renderebbe dirompenti gli effetti di proteste di massa: "tutto inizierà con manifestazioni nei centri industriali", dice il professore, "La protesta potrebbe poi riguardare le città, la gente inizierà ha reagire d'istinto. I social network avranno un ruolo fondamentale".

Ma perché Putin non dice se si ricandida?
Tra le concause della crisi politica, Solovei fa riferimento a una non meglio identificata malattia di Putin, che non ha ancora detto se si ricandiderà nel 2018. "Un' incertezza che ha a che fare con la salute", sostiene il nostro accademico. "Ho avuto conferme anche recenti". Nei prossimi mesi si capirà meglio di che si tratta. Unica cosa certa, la Clinica Centrale (Tskb), ospedale per soli vip tra le betulle di Kuntsevo, a due passi dalla residenza moscovita di Vladimir Putin, sarà dotata di un nuovo edificio esclusivamente destinato alle necessità mediche del presidente e di tre altre personalità (primo ministro, ministro della difesa e capo di stato maggiore delle forze armate). La Reuters ha visto la documentazione.

Se Putin non si ripresentasse, il candidato del Cremlino sarebbe quasi certamente il primo ministro Dmitri Medvedev. che dal 2008 al 2012 ha già fatto la staffetta presidenziale. "Putin si fida al cento per cento di lui", spiega Solovei. Intanto, chi ha già detto di volersi presentare è Alexei Navalny, avvocato anti-corruzione e carismatico leader d'opposizione. Nelle elezioni del settembre 2013 per la poltrona di sindaco di Mosca, prese il 27 percento dei voti (lamentando brogli).

Secondo quanto riferito da consulenti che hanno partecipato alle riunioni del governo sulla strategia per le presidenziali, in un primo momento il Cremlino era favorevole alla candidatura di Navalny: avrebbe reso "più democratica" e interessante la competizione. La probabilità che vincesse contro Putin o Medvedev era considerata nulla. Ora però si pensa diversamente. "Hanno paura di lui, e fanno bene", secondo Solovei. "Se Navalni costruisce un piattaforma di comunicazione efficace, e può certamente farlo, oggi lo votano in tutta la Russia, non solo a Mosca. A maggior ragione fra un anno". Conclusione: "non permetteranno che si candidi". In Russia, i candidati li approva il governo.

Yandex, equivalente locale di Google, ha proibito a Navalni di raccogliere fondi per la campagna elettorale utilizzando il suo motore di ricerca. Sul pretendente candidato pende un processo per appropriazione indebita, considerato "politico" e "ingiusto" da diverse organizzazioni per la tutela dei diritti umani. In questi giorni ci saranno le prime udienze. In Russia, la magistratura non è esattamente indipendente. Da come andrà il processo si capirà se davvero gli uomini del Cremlino hanno paura di Navalni, e di perdere il potere.

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