Nuovi monumenti, musei, centri culturali.  Perfino concorsi  a premi dedicati  al dittatore. A Mosca e in provincia.  Perché nel paese di Putin il passato è più presente che mai. A 25 anni dal crollo dell’Urss e nel centenario della Rivoluzione bolscevica   

Foto di Davide Monteleone
Una piccola stanza buia di forma circolare. Sulle pareti, come un panopticon, le immagini in bianco e nero di una folla in lutto avvolgono il visitatore in un’onda continua. Dagli altoparlanti gracchiano i radiogiornali d’epoca: 5 marzo 1953, Mosca, funerali di Josif Stalin.

Oltre la soglia, un video a colori balena su un muro esterno: «Non dimenticherò mai quel giorno, ero pazza di gioia. Ma non potevo dirlo a nessuno», scandisce la voce di Alexandra Pavlovna Uspenskaya, classe 1923, una dei 20 milioni di deportati e condannati a lavori forzati nell’arcipelago di prigioni e campi di lavoro dell’Unione Sovietica.
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La sua è una delle nuove cento video testimonianze raccolte dal Museo del gulag a Mosca, aperto un anno fa e finanziato interamente dallo Stato. Quattro piani, 3.500 metri quadrati di esposizione multimediale e design hi-tech, costo 4 milioni e 700mila dollari, è il primo serio tentativo istituzionale di fare i conti col passato del Grande Terrore. Una memoria ancora controversa nella Russia di Putin, a 25 anni dal crollo dell’Urss e a 60 dalla destalinizzazione avviata da Krusciov: oggi più di metà dei russi guarda positivamente alla figura di Stalin.

A ottobre, un gruppo di giovani comunisti ha “impiccato” proprio davanti all’ingresso del museo un manichino con le sembianze dello scrittore premio Nobel Aleksandr Solzenicyn, con su scritto “traditore” e “primo nemico” della Russia, per aver «spudoratamente mentito» sulle purghe. Un episodio inquietante che va di pari passo col preoccupante rinascere del culto di Stalin nel paese negli ultimi due anni, sull’ondata patriottica seguita alla crisi ucraina. Nuovi busti, monumenti, musei e centri culturali dedicati al dittatore sovietico sono stati inaugurati un po’ ovunque specie in provincia, da Penza a Mari El, fino al piccolo villaggio di Horoshego presso Tver, dove il “piccolo padre” compì la sua prima e unica visita sul fronte occidentale, nell’agosto 1943.

Di solito l’iniziativa viene dal Partito Comunista di Gennady Zyuganov, che ha persino proclamato una “primavera staliniana”, o del nuovo, ancora più “vetero”, partito Comunisti di Russia, che ha usato il nome del dittatore per il proprio programma nella campagna alla Duma. Più che nostalgia è “Stalin-mania”, quasi una moda pop senza più freni: dai concorsi per il miglior “selfie con Stalin”, all’icona di Belgorod (ripudiata dalla Chiesa) dove il georgiano affianca la Vergine, ai talk show che ne “contestualizzano” la figura, dal neonato battezzato con il nome Stalin a Voronezh, alla nuova ministra dell’Istruzione Olga Vasilyeva, che in passato ha elogiato la “efficienza” dello stalinismo, per poi definire il dittatore “grande statista” ma con un grande demerito: le brutali repressioni politiche. Mentre a Magadan, capitale dell’“Arcipelago Gulag”, un monumento alle vittime è stato profanato da ignoti con una stella rossa e la scritta «Stalin è vivo».

Ma non tutti sono d’accordo. E adesso qualcuno prova a opporsi. A Surgut una statua in bronzo eretta in onore di Stalin da fan locali ha scatenato le proteste dei residenti: il Comune ha deciso di abbatterla, ma la battaglia continua. A fine novembre per la prima volta, dopo 15 anni di lavoro, la storica Ong russa per i diritti umani Memorial ha messo online un database con nomi, cognomi, patronimici e brevi dettagli personali di 40mila ex ufficiali dell’Nkvd (la polizia segreta di Stalin), responsabili di circa 700 mila esecuzioni di massa dal 1935 al 1939. Una sorta di “archivio della Stasi” in versione russa.

Tuttavia, a differenza della Germania, oltre agli elogi dei liberali e degli oppositori l’iniziativa ha scatenato le critiche di chi teme che scavare nel passato possa «screditare la Russia» in Occidente. Il Cremlino ha preferito non commentare l’iniziativa, parlando di «una questione molto sensibile sulla quale alcuni cittadini hanno punti di vista diametralmente opposti».

Due anni fa, la stessa associazione Memorial è stata classificata come “agente straniero” in base alla legge russa sulle Ong che ricevono finanziamenti dall’estero, termine che ricorda i “nemici del popolo”.
Quando non ci pensa lo Stato, alcuni ricostruiscono il passato per conto proprio: ha fatto il giro del mondo la storia, degna di un film di Hollywood, di Denis Karagodin, giovane 34enne di Tomsk in Siberia, pronipote di un giustiziato nel 1938, che ha rintracciato da solo i nomi degli assassini del proprio bisnonno, li ha pubblicati, e ha ricevuto poi una commovente lettera dalla nipote di uno dei carnefici, Yulia, che gli ha chiesto perdono: «Da diverse notti non posso dormire.  Ora conosco una pagina vergognosa nella storia della mia famiglia, sono completamente dalla vostra parte. Ma niente cambierà nella nostra società finché non sveliamo la verità».

Un segno di speranza per molti, ma ora Denis vuole portare le sue scoperte in tribunale, mentre i patrioti lo accusano di minacciare l’unità nazionale. «A cosa serve, solo a vendicarsi?», hanno scritto alcuni su internet: «Anche se Stalin fosse riconosciuto come criminale, ciò aumenterà forse i nostri stipendi e pensioni?».

Sintomo di una schizofrenia nel rapporto col passato, che spacca in due la società russa sull’eredità dello stalinismo. Ufficialmente i dirigenti russi non approvano mai l’operato del dittatore, ma il loro atteggiamento resta ambiguo sul suo ruolo nella storia patria. Come fa anche la Chiesa ortodossa, che pure subì le purghe.

Il presidente Putin, ex agente del Kgb, ha condannato le repressioni e il culto della personalità, invitando a «una riconciliazione nazionale sul passato comune». Ma nel 2014, parlando della Seconda guerra mondiale, dichiarò: «Possiamo criticare tutto ciò che ci pare di lui (Stalin), ma chi può dire con certezza che un diverso approccio ci avrebbe permesso di vincere?». Il nodo è proprio nella vittoria sovietica sul nazismo del 1945, oggi pilastro fondante dell’ideologia del Cremlino e inscindibile da Stalin. Chi osa criticarla o adombrare i successi sovietici ricordando anche le pagine nere, viene automaticamente bollato come antipatriota.

«Da anni i comunisti spingono per riabilitare Stalin, non è una novità. La differenza è che oggi il fenomeno viene appoggiato anche dai media. Ed è in linea con il sentimento anti-occidentale coltivato dal potere», ci dice Nikita Petrov, storico di Memorial.

Ma lo Stalin rappresentato in pubblico «è un mito, che ha poco in comune col leader ridimensionato da Krusciov nel 1956. È il Generalissimo conquistatore della guerra mondiale, l’eroe dell’industrializzazione, non lo Stalin delle purghe. Sempre meno russi ricordano la sua sete di sangue, i suoi ordini mostruosi». Un simbolo di ordine che ottiene consensi specie in tempi di crisi economica. Uno “Stalin senza marxismo”: non a caso le quotazioni del “rivoluzionario” Lenin sono in ribasso, alle soglie del centenario della rivoluzione d’Ottobre. Il problema di fondo per Petrov «è che il popolo russo ha sempre sostenuto il potere e l’idea imperiale. Il bisogno di idoli così odiosi è sintomo di una malattia molto grave della nostra società».

Dopo l’incidente del manichino, il direttore del Museo del gulag, Roman Romanov, ha invitato il governo a fare di più per far conoscere le repressioni agli studenti delle scuole: «È stato un trauma per tutto il Paese, per tutto il popolo, e il negazionismo è un tipico meccanismo di difesa. Ai russi serve una terapia collettiva», riflette.

Incontriamo Vika, liceale di 17 anni, in visita alla mostra con la sua classe. Guarda i cinegiornali dei processi anti-trotskisti: «Stalin? Per me non è una figura univoca. Il suo culto ancora oggi è associato a una sorta di misticismo, ebbe anche lati positivi. Ad esempio, la Conferenza di pace di Yalta». Ascoltandola, le sorelle Tatiana e Olga Ermakova si rattristano: «Nostro padre fu condannato nel 1941 con suo fratello a dieci anni per propaganda antisovietica, articolo 58.10. Traditi da amici. Avevano vent’anni. Non ci disse nulla fino alla sua morte, per non rovinarci la vita. Dimenticare era l’unico modo per sopravvivere in quel sistema». E oggi, i nostalgici? «Orribile. È stato il popolo russo a vincere la guerra col proprio immenso sacrificio, non Stalin. Mentre le repressioni furono condotte sotto la sua diretta responsabilità, impossibile giustificarlo. Ma ognuno ha diritto alla propria opinione, è la democrazia».

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