Il procuratore generale della Corte d'Appello di Palermo analizza l'internazionalizzazione dei clan e la loro capacità di fare affari all'estero. E avverte: "Dobbiamo ripensare l’Antimafia, modernizzarla, renderla efficace in un sistema economico complesso"

La mafia non è più quella che punta la pistola alla testa. Oggi il boss s’infila giacca e cravatta e investe in pacchetti azionari, fondi d’investimento, smaterializza il capitale illecito. E rende molto più difficile scoprirlo e confiscarlo. Eccola, la nuova mafia, vista con gli occhi di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo, un magistrato che conosce a fondo i mutamenti di Cosa nostra e racconta l’urgenza di un cambio ?di rotta: «Dobbiamo ripensare l’Antimafia, modernizzarla, renderla efficace in un sistema economico complesso».

Il procuratore ha visto Cosa nostra aprirsi ?al mondo, imparare a giocare non solo sul campo siciliano, ma nell’Italia intera e in Europa. L’ha vista assumere le sembianze dell’imprenditore, del professionista, del consulente finanziario. «Il coinvolgimento ?di avvocati, commercialisti, bancari e altri colletti bianchi è un fenomeno consolidato, perché sono loro a offrire i servizi di cui la criminalità organizzata necessita. Succede nel Meridione, dove sono stati condannati parecchi professionisti, succede al Nord ?e all’estero. In Germania, ad esempio, le imprese mafiose attecchiscono grazie alla collaborazione di uomini d’affari tedeschi».
Clan e affari
Nord, quanto fa male la mafia alle imprese
21/2/2017

Sta dicendo che la Germania è la nuova frontiera della mafia?
«Sto dicendo che la mafia mercatista, ?quella che si nasconde nell’economia legale, ha fatto quello che le imprese normali avrebbero dovuto fare in tempi di crisi economica: si è internazionalizzata. E questo sta succedendo in tutta Europa, non solo in Germania».

Può farci qualche esempio?
«Abbiamo scoperto imprese tedesche ?del settore dell’elettronica gestite da clan. ?Ci sono numerose società mafiose che operano nella ristorazione, nell’immobiliare, nell’alta finanza, nell’high tech. ?Però, mentre in Italia abbiamo una mappatura abbastanza chiara del fenomeno, perché c’è una legge precisa che serve ?a farlo emergere, all’estero non esistono strumenti normativi altrettanto sofisticati: ?lì la mafia c’è, ma non si vede».

Quindi anche l’Europa, compresa la ricca ed efficiente Germania, ha lacune legali?
«In Germania, ad esempio, esistono gravi limiti in materia di intercettazioni. E regole probatorie che rendono difficili le indagini sul riciclaggio e la confisca. Se un magistrato tedesco trova un mafioso con una valigia piena di denaro, e questi dichiara di averlo vinto al gioco, è l’accusa a doverne dimostrare l’origine illecita. Mentre in Italia è il mafioso a dover giustificare quei quattrini».

L’Europa sta prendendo coscienza della gravità del problema?
«Per la verità sembra non esserci troppo interesse a colmare questo deficit culturale e giuridico sul contrasto ai patrimoni illegali: ho la sensazione che, nell’attuale fase di crisi economica, non ci sia molta voglia di fare l’analisi del sangue alla provenienza dei capitali che vengono dall’estero».

Qual è l’identikit del mafioso di oggi?
«Al Nord abbiamo a che fare con le terze ?e quarte generazioni dei clan insediatisi in quei territori negli anni ’60 e ’70. Molti si sono inseriti in un mondo di colletti bianchi che s’intendono di economia, finanza creativa, nuove tecnologie e hanno competenze sofisticate. Significa che ?la mafia si è altamente specializzata: ?per esempio, la ’ndrangheta ha un sistema di riciclaggio del denaro che prevede decine di passaggi, un metodo talmente raffinato da essere difficilmente ricostruibile. ?E sempre più spesso i proventi dell’economia illegale non finiscono nell’economia reale, ma nell’investimento speculativo, in pacchetti azionari, in fondi d’investimento, più difficili da sequestrare».

Abbiamo i mezzi per contrastare questa trasformazione?
«La strumentazione giuridica italiana, ?che è la più avanzata al mondo, è stata pensata per la tipologia di reati che ?si commettevano ai tempi della Prima Repubblica, quando la mafia usava metodi violenti e agiva in modo palese. Mentre oggi la Corte di Cassazione definisce “mafie silenti” quelle del Centro-Nord, perché usano sempre meno la violenza. ?Si radicano in un territorio e creano imprese che operano nell’economia locale. Tramite queste aziende conquistano quote consistenti di mercato e riducono i fatturati dei concorrenti. È loro interesse rendersi invisibili stabilendo non rapporti di aggressione, ma collusivi, imperniati su reciproci opportunismi economici. Così i rimedi legali cominciano a divenire obsoleti e inefficaci a combattere la mafia che ?si fa impresa e si fonda sulla corruzione. Esistono difficoltà, in particolare, ad applicare nei territori del Nord il reato di associazione mafiosa, che prevede una “esteriorizzazione della violenza che crea un clima diffuso di intimidazione”. Inoltre con la globalizzazione si è creato un nuovo scenario dove conta di più il capitale finanziario e meno l’economia reale. ?Ciò ha progressivamente eroso la linea ?di confine tra l’economia legale e quella illegale. Il capitalismo mafioso rischia ?così di divenire uno dei cuori di tenebra dell’economia. Del resto dal 2014 l’Unione europea ha imposto di computare traffici di droga e prostituzione nel Pil».

È possibile combattere queste mutazioni della mafia?
«All’interno dei pool antimafia e delle forze di polizia lavorano specialisti in grado ?di affrontare la situazione. Piuttosto il problema è culturale e generale: continuo a sentir parlare di mafia come se fosse quella di un tempo, mentre sfugge la nuova dimensione del fenomeno. Ad esempio, oggi la mafia investe sempre meno nell’edilizia, un mercato in crisi, mentre punta su settori innovativi, dove ?è richiesta la presenza di colletti bianchi altamente qualificati».

Com’è cominciato tutto questo?
«La lunga marcia delle mafie nei territori del Centro - Nord è cominciata cinquant’anni fa. Inizia come migrazione ?di persone dal Sud al Nord, che prima creano reti di relazioni e poi portano ?i capitali frutto del traffico di stupefacenti, estorsioni e altre attività predatorie a danno dei territori di origine. Con la fine della Prima Repubblica e l’avvio della globalizzazione, agli inizi degli anni Novanta c’è un cambio di passo. La fine dell’economia assistita nel Meridione, ?che era stata alimentata da una spesa pubblica priva di tetti massimi, ha ridotto le occasioni di arricchimento illecito delle mafie al Sud. Questo ha accelerato lo spostamento delle componenti mafiose più dinamiche nel Centro - Nord».

Quali servizi offre oggi la nuova mafia?
«Soprattutto nel Settentrione si parla ?di mafie mercatiste, che offrono beni ?e servizi illegali per i quali è esplosa ?una domanda di massa, sia da parte ?di normali cittadini che chiedono droghe, gioco d’azzardo, prostitute, prodotti contraffatti, sia da parte di imprenditori interessati ad abbattere i costi di produzione con lo smaltimento illegale ?dei rifiuti, la fornitura sottocosto di manodopera, il prestito di capitali. Oltre ?a proporsi come agenzie di servizi illegali per l’economia legale, le mafie investono ?in proprio, creando nuove imprese ?o inserendosi in aziende già radicate, ?con solida reputazione ed esperienza».