La propaganda di Abu Bakr al-Baghdadi invoca da tempo attentati contro il Regno Unito. Quello di Westminster è uno dei tanti pianificati o ispirati contro quello che è un obiettivo centrale nell'agenda del terrore del Califfo

Attacco a Londra, la città nel mirino dell'Isis

«L'attentatore  di fronte al parlamento britannico era un soldato dello Stato islamico, che ha condotto l'operazione in risposta agli appelli a colpire cittadini delle nazioni della coalizione». A meno di 24 ore dall'attacco che mercoledì 22 a Londra ha provocato la morte di quattro persone – il poliziotto Keith Palmer, Aysha Frade, Kurt Cochran e l'attentatore – e il ferimento di molte altre, lo Stato islamico ha rivendicato l'operazione attraverso il principale canale di propaganda, l'agenzia stampa Amaq.

Il comunicato diffuso da Amaq non fornisce indicazioni sull'identità dell'attentatore, né altre informazioni sul profilo dell'uomo, ucciso dalla polizia. In una dichiarazione resa al Parlamento, il primo ministro britannico Theresa May ha specificato che si tratta di un cittadino britannico, già conosciuto dai servizi di sicurezza. «Quel che posso confermare è che si tratta di un uomo nato in Gran Bretagna e che alcuni anni fa è stato seguito dall'MI5 in merito a preoccupazioni sull'estremismo violento», «una figura secondaria» che «non faceva parte del quadro attuale dell'intelligence». Una precisazione che conferma i dati più aggiornati sul terrorismo di matrice islamista nel Regno Unito, secondo i quali il 72% degli attacchi terroristici tra il 1998 e il 2015 è stato compiuto da cittadini britannici.

Adottando una formula ormai rituale, e riferendosi a non meglio precisate «fonti», gli addetti alla propaganda del Califfo hanno fornito una duplice indicazione. Da una parte c'è il consueto tentativo di accreditare Amaq come una vera e propria agenzia giornalistica, dotata di propri canali di verifica delle notizie. Dall'altra la dicitura potrebbe segnalare che l'attentato sia stato soltanto ispirato dalle attività e dagli appelli dello Stato islamico, non direttamente organizzato o commissionato dalla casa-madre. Ma tra le due ipotesi – una semplice ispirazione o una regia diretta – ci sono altre possibilità, come quella di un attentato facilitato “da remoto”, attraverso i social network.

La distinzione è importante, come sanno bene gli investigatori e i ricercatori. Alcuni di loro hanno provato a tirare le somme sulle azioni terroristiche condotte in Europa negli ultimi anni e legate al progetto neocaliffale di Abu Bakr al-Baghdadi. Secondo i dati presentati di recente sulla rivista Perspectives on Terrorism, dei 38 attentati pianificati dal 2014 sul suolo europeo e riconducibili allo Stato islamico, 6 sono stati soltanto ispirati dall'Is, riguardano cioè individui che hanno “accolto” gli appelli del gruppo o hanno agito dopo averne letto i materiali di propaganda; in 19 casi gli attentatori hanno ricevuto istruzioni e suggerimenti da parte di individui direttamente legati all'Is, de visu o grazie alla libertà offerta da Internet, che consente ai jihadisti non solo di diffondere propaganda, reclutare e finanziarsi, ma anche di pianificare operazioni terroristiche. In altri 12 casi si è trattato di operazioni orchestrate, finanziate e volute dalla casa-madre nelle roccaforti di Raqqa, in Siria. Nella maggior parte dei casi, 31 su 38, c'è stato dunque un coinvolgimento, anche se da remoto, di esponenti del gruppo di al-Baghdadi. È una tendenza sempre più diffusa, favorita dai contatti stabiliti tra i cosiddetti homegrown terrorists e i foreign fighters, i cittadini europei – almeno mille quelli di nazionalità inglese, metà dei quali ancora sul terreno – che si sono recati in Siria e Iraq per combattere, mantenendo contatti con i connazionali in patria.

Questi numeri dimostrano una cosa: dietro ogni presunto “lupo solitario” si nasconde spesso una rete sociale, costituita da individui che sollecitano, indirizzano, proteggono, facilitano, collaborano, finanziano. Sebbene la polizia inglese abbia già arrestato 7 persone che potrebbero essere coinvolte nell'attacco di ieri, per ora è impossibile stabilire quanto fosse estesa la rete dell'attentatore di Westminster, che per la polizia si chiamava Khalid Masood. Più facile invece è ricostruire le reti che negli scorsi anni hanno favorito la pianificazione di attentati nel Regno Unito.

Lo ha fatto per esempio Raffaello Pantucci, direttore dell'International Security Studies presso il Royal United Services Institute e autore di We Love Death As You Love Life: Britain's Suburban Terrorists, un libro centrale per comprendere la diffusione del salafismo-jihadista nel Regno Unito. In un paper pubblicato il 17 marzo 2017, Pantucci nota come il Regno Unito sia da molti anni al centro della propaganda dello Stato islamico. A ridosso degli attentati a Parigi di novembre 2015, per esempio, una serie di video dell'Is indicavano chiaramente Londra come obiettivo prioritario.

Le minacce sono continuate a lungo, passando per tutti i canali di propaganda, tanto che, ricorda Pantucci, proprio all'inizio di marzo Mark Rowley, responsabile per il controterrorismo della polizia londinese, ha dichiarato: «Nei mesi recenti abbiamo assistito all'ampliamento di questa tendenza – molti più complotti per attaccare lo stile di vita occidentale, da quelli centrati sulla polizia e sull'esercito come simboli dello Stato a qualcosa di più ampio». Mentre Richard Walton, già a capo del Comando di controterrorismo della polizia di Londra, lo scorso gennaio esprimeva la crescente preoccupazione sulle «ambizioni esterne di Daesh di proiettare il terrore oltremare». In poche parole, le autorità si chiedevano non se, ma quando sarebbe avvenuto un attentato come quello di Londra.

Raffaello Pantucci ha scartabellato i documenti relativi ai processi per terrorismo o reati simili affrontati di recente nelle Corti di giustizia inglesi, ed è arrivato alla conclusione che, almeno finora, «nei processi non sono state presentate prove lampanti su piani contro il Regno Unito diretti dalla leadership dello Stato islamico». Tutti i casi seguiti dalla giustizia britannica suggeriscono invece che il pericolo «rimane dominato dal terrorismo di singoli-attori, in alcuni capi ispirati dallo Stato islamico».

Tra i casi analizzati è indicativo quello di Brushtom Ziamani, un diciottenne londinese conosciuto con il nome di Mujajid Karim. Allontanato dai genitori al momento della conversione all'Islam, Ziamani si sarebbe avvicinato alla rete di al Muhajiroun, un gruppo di islamisti radicali con esplicite simpatie per lo Stato islamico. In una lettera rivolta ai genitori e trovata dalla polizia, Ziamani dichiarava che, poiché non gli era possibile raggiungere il fronte di battaglia in Siria e Iraq, avrebbe fatto «la guerra contro il governo britannico su questo suolo», invocando la nascita dell'Isib, lo Stato islamico di Irlanda e Bretagna. Ammiratore di Michael Adebolajo e Michael Adebowale, responsabili dell'omicidio del soldato britannico Lee Rigby nel maggio 2013, il diciottenne è finito nelle maglie del controverso programma di deradicalizzazione “Prevent”. Senza successo: il 19 agosto del 2014 si è presentato a casa della ex fidanzata con un coltello, un martello e una bandiera dello Stato islamico, annunciandole che insieme ad altri stava «pianificando un attacco terroristico»: «uccidere soldati». Ai poliziotti avrebbe poi confessato che era sul punto «di uccidere un soldato britannico in una caserma».

Quando Brushtom Ziamani si è presentato a casa della ex fidanzata, erano passate poche settimane dall'annuncio con cui, dal pulpito della moschea al-Nuri di Mosul, Abu Bakr al-Baghdadi si era proclamato Califfo. Una dichiarazione che ha raccolto consensi e adesioni anche in Europa, anche a Londra. E alla quale ha fatto seguito, nel settembre 2014, la celebre dichiarazione dell'allora portavoce dello Stato islamico, Abu Muhammad al-Adnani, che invocava attacchi indiscriminati in Occidente. «Potete uccidere un miscredente americano o europeo – specialmente il perfido e schifoso francese – o un australiano, o un canadese, o qualunque altro miscredente che sia tra i Paesi che hanno dichiarato guerra, inclusi i cittadini dei Paesi che sono entrati in una coalizione contro lo Stato islamico, potete ucciderlo, affidandovi ad Allah, e ucciderlo in qualunque modo. Non chiedete consigli e non cercate il giudizio di nessuno. Uccidete il miscredente che sia civile o militare, perché loro si comportano allo stesso modo».

Così al-Adnani il 22 settembre 2014 in un discorso che ha fatto fatto crescere la determinazione di altri presunti attentatori, britannici e non solo. Al-Adnani sarebbe poi tornato a sollecitare i simpatizzanti del gruppo a compiere attentati con «ogni mezzo possibile», coltelli, martelli, automobili. E nel marzo 2015 avrebbe puntato l'obiettivo proprio su l'Europa e su Londra: «Sappiate che vogliamo Parigi – con il permesso di Allah – prima di Roma e prima della Spagna, e che poi annienteremo le vostre vite e distruggeremo la Casa Bianca, il Big Ben e la Torre Eiffel». L'attentatore di Westminster, Khalid Masood ha colpito proprio lì, a due passi dal Big Ben indicato da al-Adnani come obiettivo prioritario della campagna contro la coalizione che combatte lo Stato islamico.

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