«Caro Augusto, il giorno 28 aprile 1974 mi hanno chiamato nell'ufficio del Colonnello Comandante Duranti e vi ho trovato cinque tra sottufficiali e ufficiali di P.S. di Perugia e Pesaro che hanno voluto sapere tutto quello che ho fatto dal giorno 19 al 23. Io dapprima mi sono rifiutato di rispondere ma di fronte al sospetto che hanno su di me, ho accettato». A scrivere ad Augusto Cauchi, militante di Ordine Nero indiziato di strage (poi archiviato) è l'amico e camerata Massimo Batani. La lettera, su un foglio a quadretti di un quaderno, emerge da un faldone polveroso del processo bis sull'Italicus. Fra volantini con svastiche, lettere minatorie, rivendicazioni di attentati, una copia del 'Mein kampf' sequestrata in una perquisizione, trascrizioni di intercettazioni e verbali di interrogatorio.
Entrare nella stanzetta accanto alla cancelleria della Corte d'Assise di Bologna è un salto indietro nel tempo agli anni bui dell'eversione stragista e fascista. Fra scanner, fotocopiatrici, un paio di pc e stinti fogli ciclostilati, una decina di volontari dell'Auser stanno digitalizzando i 377 faldoni del processo per la strage dell'Italicus, cioè la bomba sul treno Roma-Monaco (4 agosto 1974, 12 morti e 48 feriti). “Il processo dei depistaggi”, come fu ribattezzato, in cui emerse con tale chiarezza l'opera di deviazione operata dai servizi segreti sia su quell'attentato sia sulla strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980, 85 morti e oltre 200 feriti).
Da un anno i pensionati lavorano a tutto spiano. Hanno creato una catena: chi fa l'indice, chi ordina le carte, chi scannerizza. Bisogna finire entro sei mesi, quando i cd con tutti gli atti saranno consegnati alla celebrazione del 2 agosto.
Un pezzo di memoria collettiva che sarà disponibile a chiunque ne faccia richiesta. I pdf andranno infatti a finire nella database della “Rete degli archivi per non dimenticare”, dove sono già disponibili tutte le carte su Piazza Fontana, Piazza della Loggia, la bomba alla Questura di Milano e il processo per l'omicidio di Walter Tobagi. Documenti pubblici, rilasciati a chiunque ne faccia richiesta per motivi di ricerca o di studio. Vai in uno degli archivi della rete e con una memoria da 50 giga ti porti a casa tutto. Con l'aggiunta, preziosissima, che il sistema di riconoscimento delle parole consente le ricerche incrociate. E di scorgere, dietro personaggi e sigle che si ripetono, il filo nero dietro le stragi che insanguinarono l'Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta.
«Dire che la strategia stragista sia un mistero è sbagliato e fuorviante dal punto di vista storiografico», dice Leonardo Grassi, giudice istruttore del processo Italicus bis, protagonista dell'operazione 'memoria' nel capoluogo emiliano e fino al mese scorso presidente della Corte d'Appello di Bologna fino al mese scorso (ora è presidente di tribunale a Montepulciano). «È stata fatta chiarezza sui protagonisti e il senso di quella strategia, ovvero compiere delle provocazioni che determinassero la risposta di uno Stato forte. È vero, è stata fatta giustizia solo limitatamente ad alcuni spezzoni, mentre l'individuazione delle responsabilità personali è stata spesso un fallimento. Ma abbiamo raccolto tanti elementi di verità».
Per digitalizzare un faldone, che può contenere da 800 a 1400 pagine, occorrono in media tre ore. Se si è fortunati e sono uniformi fra loro, in una mattinata si possono scannerizzare fino a 2 mila fogli. Ma accade di rado. Spesso infatti ci sono ritagli di giornali da fotocopiare e rimpicciolire, perizie o incidenti probatori tenuti insieme da punti di spillatrice arrugginite da separare. Minuzie, che però portano via tempo. Soprattutto se si considera che, finito il mezzo milione di pagine dell'Italicus bis a Bologna c'è ancora da fare la stazione. E poi, in virtù di un accordo con l'Archivio di Stato, altri 600 faldoni sui processi per terrorismo celebrati in città e attualmente conservati nei sotterranei umidi e malsani di Palazzo Baciocchi, la vecchia sede del Palazzo di giustizia: l'omicidio del giudice Amato, un procedimento contro Ordine nero e otto processi alle Brigate Rosse, compreso quello per l'assassinio di Marco Biagi (19 marzo 2002).
Il vantaggio dell'operazione è duplice: si mette il materiale a disposizione di chi è interessato, si evitano i rischi di deterioramento degli incartamenti e si libera spazio nelle cancellerie. Per non parlare del risparmio economico e di tempo.
Lo dimostra il caso dei processi per la strage di piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974, 8 morti e più di cento feriti), circa mille faldoni per un totale di 930 mila pagine. Per la scannerizzazione sono bastate dieci settimane. Lavorando otto ore al giorno, ci sarebbero voluti sei mesi solo per fare una copia cartacea, che sarebbe costata 35 mila euro. Una copia digitale invece può essere rilasciata in meno di due ore.
E proprio Brescia, con l'ultimo strascico giudiziario protrattosi fino agli anni scorsi, ha fatto da apripista. I magistrati hanno consegnato gli atti non più coperti da segreto alla Casa della memoria, il centro di documentazione che porta avanti la scansione dei vecchi documenti. Da lì è nata l'idea di digitalizzare tutte le carte. Un'operazione costata 50 mila euro, finanziata da Regione, Comune e Provincia. «Quattro anni fa, quando siamo arrivati al dibattimento, avevamo tutto scannerizzato e la discussione è avvenuta citando i riferimenti digitali perché era più comodo per tutte le parti riferirsi a quello» racconta il responsabile dell'archivio Pippo Jannacci. «La dimostrazione che, importanza della memoria a parte, con questo metodo si possono fare anche i grandi processi senza il solito balletto delle carte che crea intoppi e impedimenti».
La digitalizzazione dei processi per piazza Fontana e della bomba alla Questura di Milano l'hanno fatta i detenuti del carcere di Cremona per conto della cooperativa Cremona labor, che nell'istituto circondariale ha allestito un laboratorio per la scansione delle carte. Con i furgoni della penitenziaria a fare la spola per trasferire i faldoni da Milano. Dopo Brescia, Milano e ora Bologna. Ma le cose ormai si sono messe in movimento.
Si è aperto un 'fronte' anche a Padova, dove l'impulso a lavorare sui processi per terrorismo tenuti in città è venuto da Silvia Giralucci, la figlia del militante missino Graziano Giralucci, la prima vittima delle Brigate rosse. Vicino Viterbo, a Oriolo Romano, si sta muovendo invece l'archivio Flamigni, che raccoglie la documentazione acquisita dall'ex senatore Sergio Flamigni sul caso Moro, la P2 e l'Antimafia durante la sua attività parlamentare.