La prossima campagna elettorale si avvicina e a Villa Gernetto sono partite le selezioni. Obiettivo: scovare volti nuovi e far fuori i meno ricandidabili, latori di immagini logore e ingombranti. Così molti big tremano, da Brunetta a Gasparri

Come una palude disseminata di coccodrilli, la pagina internet di Forza Italia ti accoglie con finestrelle apparentemente innocue. “Auguri Presidente!”, strilla da un lato il banner di Spazio azzurro: in perfetta sintonia col mood del partito e assurdamente fermo ai giorni del compleanno di Berlusconi (29 settembre) quasi a celebrarne una specie di genetliaco eterno.

Anche nella creatura di Silvio, all’apparenza, tutto langue: le casse son vuote (e lui non può più rimpinguarle, per legge), la sede nazionale è al terzo trasloco. Gli incarichi interni sono più numerosi e formali di quanto non abbia senso elencare: oltre trenta responsabili di settore, altrettanti ad affiancarli. In compenso il coordinatore nazionale, cioè un capo, non c’è: a tirare le fila del partito ci pensa di fatto l’avvocato Niccolò Ghedini, giusto giusto da quando - la tempistica è curiosa - il suo cliente più illustre è stato condannato nel processo Mediaset.

Sono anni, infatti, che Berlusconi non riesce più a nominare qualcuno che gestisca tutto, dopo le ere dei triumviri, dei Verdini, degli Alfano. Ogni volta che ci ha provato, si è bloccato il meccanismo: perché gli si è ribellato mezzo partito, o per auto-accartocciamento dell’aspirante medesimo, spesso per eccesso d’ambizione (ultimo caso: quello di Stefano Parisi).
Mara Carfagna con Nunzia De Girolamo

A contrasto con tanto languore di superficie, però, dentro e intorno a Forza Italia si agitano movimenti rapidi, bruschi, persino violenti. Nel sommerso del mondo berlusconiano la vita ferve, le gomitate pure, e qualche segno comincia ad affiorare, come è tempo che sia visto che la prossima campagna elettorale è vicina, e ricomincia a circolare la domanda angosciosa: chi farà le liste? Mistero.

Berlusconi, pur avendo rallentato i suoi ritmi di vita dopo gli ultimi guai di salute, è in piena attività e sta lavorando alla partitura d’orchestra. Un po’ di rinnovamento, un po’ di cosiddetta società civile, un nuovo programma (dove immancabili ci sono le dentiere gratis), un pensiero al ramo protezione animali gestito come sempre dalla Brambilla, una carezza ai cosiddetti seniores, nonché il tentativo di ricostruire - con Antonio Martino, fra gli altri - quel pensatoio liberale che nel 1994 fu un pezzo non trascurabile della sua fortuna.

Tutto come una volta, sarebbe l’obiettivo. Certo, in scala ridotta, ma al Cavaliere non sembra importare: che si parli del 30 per cento o dell’attuale 12 pronosticato dai sondaggi, il punto è che la danza riparta e che lui possa ancora dare il la da un podio, o almeno da un podietto. Tra un casting per i volti nuovi e una semina di terrore sulla pletora dei parlamentari (che come al solito funziona benissimo).

L’ex premier del resto lo fa sussurrare a destra e a sinistra, provocando il panico. Soltanto un terzo degli attuali 93 deputati e senatori sarà ricandidato: una trentina di persone, pochissime. Già circolano elenchi (non scritti) dei meno ricandidabili.

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In testa ci sono i protagonisti delle stagioni passate, latori di immagini logore e ingombranti: il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, per esempio, inviso ad almeno metà dei deputati, giudicato ormai troppo protagonista, troppo agitato, troppo tutto (uno dei soprannomi che circolano su di lui è “15 comunicati”, a significare il numero che ne dirama, quotidianamente); personaggi come gli ex aennini Maurizio Gasparri (sette legislature, in Parlamento dal 1992) e Altero Matteoli (nove legislature, la prima nel 1983); o lunghi corsi come Daniela Santanché, giudicata invece adesso ormai troppo lontana dall’asset azzurro e pericolosamente vicina invece a quello leghista, troppo autonoma, un po’ come pure accade al governatore della Liguria Giovanni Toti, al quale appunto il Cavaliere invano ha ripetuto doversi occupare «di più del suo ruolo in regione».

Va meglio a chi ha trovato da tempo misteriosi assetti di mezz’ombra (Elio Vito, Simone Baldelli), non se la passano benissimo personalità di minor vigore come il capogruppo al Senato Paolo Romani, i ritornati indietro come Renato Schifani, gli ex ministri come Stefania Prestigiacomo (Berlusconi voleva candidarla in Sicilia alla guida della Regione, e viste le speranze di vittoria s’è così detto tutto).

Comunque, asciugato il ricordo del centrodestra di governo che fu, sepolto il famoso cerchio magico (al solo nominare Deborah Bergamini o Alessia Ardesi si vien guardati storti), un po’ meno assidua la sempre fidanzata Francesca Pascale, l’ascissa e l’ordinata della vicinanza a Berlusconi in effetti sono ormai chiarissime: famiglia, azienda, rapporto personale. Sopravviverà chi sta nel cuore del Cavaliere, oppure nei suoi affari.

Passata la gestione unificata di Maria Rosaria Rossi, le casse del partito ora sono in mano ad Alfredo Messina, vicepresidente vicario di Mediolanum; il resto è tornato in mano a fedelissimi come Licia Ronzulli, Sestino Giacomoni e Valentino Valentini. Per quanto riguarda la politica, Berlusconi è convinto più di sempre che il futuro sia donna.

Su alcuni volti femminei punta più che su altri: Mara Carfagna anzitutto, che sempre resta papabile in un ruolo più importante (insieme con un altro non tramontabile nella stima di Berlusconi come Paolo Del Debbio); e poi Nunzia De Girolamo, Annamaria Bernini, l’ex ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini ma pure il senatore Lucio Malan e Andrea Mandelli, il responsabile dei rapporti con le professioni. Fuori dalla politica, si provano a corteggiare mondi imprenditoriali: è guardato con interesse, ad esempio, Francesco Ferri, quarantenne, vicepresidente dei giovani Confindustriali e direttore dell’autodromo di Monza.

Dentro la politica, Berlusconi ha avviato nei mesi scorsi, attenta e sottrotraccia, la messa sotto osservazione di un centinaio di amministratori locali, selezionati attraverso alcuni incontri a Villa Gernetto, detti “casting” dai detrattori, l’ultimo dedicato al come stare in televisione, suo pallino fisso. Seminari della durata di un giorno, dominati dalla figura e dalle parole dell’ex premier (parla anche per quattro ore di fila, il resto è contorno) e dove, tra una lezione in stile universitario, una distribuzione di slide, un giro per la villa e un pranzo, ne è venuta fuori alla fine una rosa di venti persone.

La primissima fila è destinata appunto ad andare in tv, e in prospettiva alle liste per la Camera, gli altri saranno magari candidati a governatore, o capilista nelle elezioni locali. Un gran lavoro di scouting, insomma, fatto per un verso da Andrea Ruggieri, responsabile del comparto televisivo, avvocato, nipote di Bruno Vespa, e per l’altro verso da Marcello Fiori, oggi responsabile enti locali, ieri dei Club di Forza Silvio, l’altro ieri collaboratore di Guido Bertolaso alla Protezione civile, vent’anni fa capo di gabinetto di Rutelli al comune di Roma.

Del fior fiore dei selezionati comunque, fanno parte tra gli altri Elena Donazzan, assessora al Lavoro in Veneto con Zaia, i milanesi Pietro Tatarella e Marco Bestetti, il sindaco di Cividale del Friuli Stefano Balloch che si è fatto notare per la valanga di voti presi, così come pure la vicesindaca di Padova Eleonora Mosco e il capogruppo in Puglia Andrea Caroppo, l’ex collaboratrice di Brunetta Paola Tommasi che ha partecipato alla campagna elettorale di Donald Trump, il sindaco di Pietrasanta Massimo Mallegni e quello di Perugia Andrea Romizi, che ha strappato la roccaforte alla sinistra nel 2014. Una selezione che, raccontano, è stata difficile soprattutto prima di cominciare: quando cioè si è trattato di superare le resistenze interne e i tentativi di affossamento dal parte di un sistema partito del tutto arroccato in un potere in discesa. Un esempio? Nella maggior parte dei casi, le giovani promesse non sono state segnalate dai capi della regione di provenienza, ma dai vertici di altre regioni.

Nessuno, in pratica, si è voluto mettere tra i piedi qualcuno che venisse dal suo stesso territorio, per timore di esserne schiacciato. È il noto adagio, raccontano sospirando, per cui «il vecchio sostiene il vecchio, e il nuovo fa paura». È per questo, par di capire, che finora Berlusconi li ha tenuti sotto traccia: per non farli sbranare. Bisognerà poi vedere, una volta usciti allo scoperto, quanto dureranno in un mondo nel quale il si salvi chi può è già risuonato.

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