Il nostro Paese non avanza sulla strada dell'integrazione. La presentazione del rapporto redatto da associazione 21 Luglio in occasione della Giornata mondiale del popolo rom. Dati, scenari e analisi di un'Italia che ancora isola e ghettizza, incurante dei moniti provenienti dall'Europa

"La discriminazione abitativa dei rom non è fondamentalmente cambiata nel periodo in esame". Lo certifica la Commissione europea contro razzismo e intolleranze. Altri dodici mesi di politiche sbagliate e diritti lesi. E' il belpaese che esclude e ghettizza, in barba alle reprimende internazionali. Una pessima fotografia scattata dal rapporto annuale redatto dall'associazione 21 Luglio, presentato oggi in Senato, in occasione della Giornata mondiale del popolo rom. I campi restano in piedi o addirittura nascono ex novo e le azioni volte a garantire la necessaria integrazione nel tessuto sociale rimangono promesse. Un immobilismo preoccupante che si ripete nel 2016, fatte salve rarissime eccezioni.

LA POLITICA DEI CAMPI - Non è noto il numero esatto di presenze sul territorio. Difficile quantificarle se non tramite stime, data l'impossibilità di stabilire senza equivoci chi è rom e chi non lo è. Ma nel dossier la cifra di partenza è certa: su una forbice compresa tra 120mila e 180mila persone, "28mila vivono in condizioni di povertà estrema". Sono la maggioranza dei rom che abitano i campi, realtà monoetniche, sorvegliate con circuiti di telecamere o con vigilanti all'ingresso, composte da distese di baracche fatiscenti, lontane da trasporto pubblico, scuole, ospedali, dove i bimbi (tanti se consideriamo che il 55 per cento della popolazione è minorenne) giocano intorno a bidoni stracolmi di spazzatura, tra scarafaggi e topi. In totale se ne contano 149 cosiddetti "istituzionali", gestiti direttamente dagli enti locali e distribuiti in 88 Comuni. A Roma il numero record. Mentre è Napoli a primeggiare per gli insediamenti "informali o impropriamente definiti abusivi".

LA STRATEGIA DISATTESA - E' la segregazione abitativa la più grossa falla di un sistema di accoglienza che, a partire dal mancato accesso a un alloggio adeguato, va a ledere a cascata altri diritti, dall'istruzione alla salute. Eppure l'Italia, su spinta degli enti internazionali di monitoraggio, si è dotata nel 2012 della Strategia d'Inclusione di Rom e Sinti, carta con un chiaro obiettivo da attuare entro il 2020: promuovere la parità di trattamento e l'inclusione economico-sociale della comunità. Un colpo di spugna al precedente approccio securitario e un passo avanti rispetto agli anni 2007-2011, quelli della cosiddetta "emergenza rom". Tra i punti cardine la chiusura e il superamento dei campi, bollati come discriminatori anche da una sentenza del Tribunale nazionale del 2015 in riferimento alla realtà romana del villaggio La Barbuta. Il risultato?
Napoli

Non solo gli insediamenti istituzionali non hanno chiuso. Nuove realtà di isolamento abitativo sono state realizzate da zero e altre rifinanziate se già esistenti. "Nel febbraio 2016 - si legge nel dossier - è stata ufficializzata l'intenzione di cofinanziare la costruzione di un nuovo insediamento per soli rom nel comune di Giugliano da parte del Ministero". Mentre scriviamo sta aprendo a Napoli un nuovo campo monoetnico destinato all’accoglienza di 27 famiglie di origine rom provenienti dallo sgombero di Gianturco. "Una soluzione - spiega il rapporto - nettamente al di sotto degli standard internazionali che ha richiesto la spesa di una cifra superiore al mezzo milione di euro". Nell'elenco delle città ree di aver replicato modelli di accoglienza poco virtuosi anche Milano, Carpi, Merano, Genova, Moncalieri, e al sud d'Italia Roma, Barletta, Catania, Cosenza. Quattro anni di segregazione "con interventi che hanno riguardato 4800 persone e 31 milioni 860mila euro di spesa pubblica".

GLI SGOMBERI FORZATI - "Ghetti" istituzionali tenuti in piedi nonostante i moniti e baracche abusive smantellate dalla sera alla mattina con procedure che raramente rispettano le prescrizioni del diritto internazionale. Gli "sgomberi forzati" sono l'altra faccia della discriminazione, sia nel modus operandi che nelle conseguenze negative che producono.

Bocciati dalle Nazioni Unite come "un'evidente violazione dei diritti umani", comprendono tutte le "rimozioni permanenti o temporanee di persone famiglie o comunità contro la loro volontà dagli alloggi e/o dai terreni che occupano, senza che vengano fornite e che vi sia accesso a forme appropriate di tutela legale o di altre salvaguardie". Dalla baracca alla strada con preavvisi minimi e troppo spesso senza alternative adeguate. E con la divisione dei nuclei familiari come condizione spesso obbligatoria. Mamme e bambini da una parte, papà dall'altra. Secondo il monitoraggio di 21 Luglio il 2016 conta 250 episodi: 100 al nord, 90 al centro e 60 al sud. Solo nella Capitale del Paese per gli sgomberi di un anno sono usciti dalle casse comunali un milione e 260mila euro.

BUONE PRATICHE - Un pessimo panorama che lascia spazi residui ai buoni esempi. A inizio 2016 la Regione Emilia Romagna ha adottato la "Strategia regionale per l’inclusione di rom e sinti", recependo e declinando a livello locale l’orientamento contenuto in quella nazionale. Un documento programmatico che approfondisce in maniera dettagliata le quattro aree di intervento (abitazione, impiego, educazione, salute), "soffrendo però dell’assenza di obiettivi quantificabili, di indicatori di risultato e della mancata individuazione delle risorse con cui attuarla". Ancora un anno fa la Regione Veneto ha concluso l’iter di abrogazione di un decreto regionale del 1989 nata per tutelare il nomadismo e i "campi sosta" considerati erroneamente dei tratti propriamente culturali. La legge non esiste più, ma è rimasto il vuoto normativo.

HATE SPEECH – Qualche nota positiva invece nell'analisi dei "discorsi d'odio". Dati e ricerche dell’Osservatorio nazionale 21 luglio sulla presenza di episodi di antiziganismo nel dibattito pubblico raccontano ancora di un’Italia dove stereotipi e pregiudizi sono duri a morire: 175 quelli rilevati durante l'anno. "Ma è incoraggiante - spiegano i ricercatori - che il dato del 2016 sia in netto calo rispetto a quello del 2015 che ne contava ben 265". Tra gli esponenti politici la Lega Nord tiene stretto il primato, intestandosi il 28,6 per cento degli episodi monitorati.

Insomma, un bilancio generale ben sotto le aspettative. Chi si batte per la tutela dei diritti rom immaginava qualcosa di più dalle nuove amministrazioni elette, rimaste ferme ai programmi elettorali. "Non abbiamo evidenziato elementi di discontinuità rispetto al passato - commenta il presidente dell'associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla - gli esiti dei monitoraggi svolti da autorevoli organismi internazionali nel 2016 consentono di affermare che, nel panorama europeo, l’Italia continua a confermarsi, per un cittadino di etnia rom che viva in condizione di povertà e fragilità sociale, il peggior Paese in cui decidere di abitare. Il suo destino, infatti, non potrà essere che quello di finire in una baraccopoli o, peggio ancora, in quegli spazi di discriminazione istituzionale che le autorità capitoline hanno sfacciatamente il coraggio di chiamare 'villaggi della solidarietà'".

Altra speranza per il prossimo futuro arriva dai fondi "ex emergenza", inutilizzati negli anni passati, congelati e sbloccati a novembre con un decreto legge del Governo centrale. Se convogliati nella giusta direzione potrebbero servire almeno ad avviare il cambio di rotta auspicato. Le autorità locali possono già fare richiesta di accesso. Ma servono chiare volontà politiche.