Chris Catrambone ha creato la onlus attiva nel salvataggi nel Mediterraneo e finita al centro delle polemiche. Ecco da dove arriva la sua fortuna e cosa emerge analizzando i bilanci della società

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Scritta bianca su sfondo blu. Difficile non notare l’insegna Moas esposta all’ingresso di un palazzotto nel centro storico di La Valletta, a Malta. Il quartier generale della Ong da giorni finita nel fuoco delle polemiche sul presunto business dei salvataggi in mare, si trova a poche decine di metri dal Parlamento del piccolo Stato mediterraneo.

Un po’ più avanti, facendosi largo nel fiume dei turisti mordi e fuggi, si arriva alla cattedrale di San Giovanni, costruita nel Cinquecento dai Cavalieri di Malta, per secoli l’unica autorità politica dell’isola. Accanto al marchio Moas, altre targhe rimandano alla galassia di attività di Chris Catrambone, il giovane uomo d’affari statunitense, 35 anni, che ama definirsi “humanitarian, entrepreneur and adventurer”. Insieme alla moglie, l’italiana Regina Egle Liotta, Catrambone ha creato Moas (una sigla che sta per Migrant Offshore Aid Station) nel 2014, poche settimane dopo la tragedia di Lampedusa, quando morirono oltre 300 migranti nel naufragio di un barcone.

Da giorni ormai Catrambone e signora sono impegnati a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. E a rendere ancora più confusa la vicenda, c’è la notizia appena rimbalzata a Malta di una rogatoria che sarebbe partita dalla procura di Catania, quella diretta dal pm Carmelo Zuccaro, pure finito al centro delle polemiche per alcune dichiarazioni alla stampa.

La mossa investigativa del magistrato punta a ottenere informazioni dalle autorità dell’isola su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo si collegherebbero con i salvataggi in mare delle Ong. Da due mesi però la richiesta italiana giace senza risposta in qualche ufficio di La Valletta. E dato che Moas è forse la più conosciuta e pubblicizzata tra le organizzazioni umanitarie con base a Malta, le polemiche su queste indagini hanno finito per sollevare un polverone mediatico che ha investito in pieno le società di Catrambone. Solo voci, al momento. Sospetti che non trovano il sostegno di alcuna prova concreta.
epa04729940 A handout picture made available on 02 May 2015 shows the 'Phoenix', a ship belonging to the Migrant Offshore Aid Station (MOAS), upon which a drone is landing near La Valetta, Malta, 25 August 2014. MOAS was founded by Regina Catrambone and her husband Christopher, from Italy and the USA respectively, as the first privately funded offshore refugee aid station. The couple have rescued around 3,000 refugees from drowning in the Mediterranean in the past year. MOAS emphasizes that the organization does not personally transport refugees, but instead tracks down their boats when they are in distress and provides first aid in consultation with the Italian and Maltese navies. EPA/PETER MERCIECA/MOAS.EU / HANDOUT MALTA OUT , MANDATORY CREDIT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

La storia personale dell’imprenditore italoamericano (radici calabresi come la moglie) racconta che l’attività umanitaria, cioè prestare soccorso in mare a chi fugge dalla guerra e dalla fame, si è affiancata ad altri business che gli avevano permesso di accumulare una fortuna milionaria nel giro di pochi anni. La holding del gruppo di Catrambone non è però segnalata all’ingresso del palazzo di La Valetta. Si chiama Tangiers international Llc e ha sede nella cittadina di Metaire, nello stato americano della Louisiana, da dove una decina di anni fa è partita l’avventura del fondatore di Moas. Il quale, prima di finire sui giornali nei panni del milionario che salva i migranti, si era fatto largo nel mercato internazionale delle assicurazioni.

Catrambone aveva scelto una nicchia molto particolare, quella dei servizi investigativi. In pratica veniva inviato a verificare sul campo i danni che le grandi compagnie erano chiamate a rimborsare sulla base di una polizza. Erano missioni a rischio, molto spesso. E infatti il patron di Moas dichiara di essersi trovato a lavorare in alcuni dei luoghi più pericolosi del mondo, tra cui Afghanistan e Iraq.

Il racconto
"Ho passato otto giorni sulle navi delle Ong: ecco come salvano le vite dei migranti"
11/5/2017
Con migliaia di lavoratori civili, i cosiddetti contractor, impegnati nelle più diverse mansioni al seguito dell’esercito americano, negli ultimi 15 anni si sono moltiplicati gli incidenti, i feriti e i morti e con questi anche gli oneri delle assicurazioni.

Gli affari del gruppo Tangiers sono decollati soprattutto grazie a un accordo commerciale con Aig, la grande compagnia che è stata salvata dal governo Usa dopo la bufera finanziaria del 2008. L’ultimo bilancio disponibile di Tangiers group, la holding maltese a cui fanno capo le società assicurative, risale al 2014 e segnala attività per 16 milioni di dollari (circa 14,6 milioni di euro) e profitti per 5,6 milioni di dollari (5 milioni di euro). Tutto denaro che ha preso la strada degli Stati Uniti sotto forma di dividendi.

Moas risulta invece gestita da un’altra società maltese, la ReSyH, che al momento ha un consiglio di amministrazione di tre membri: Catrambone, la moglie e Alexander Gainullin. Risalgono a maggio del 2016 le dimissioni di Martin Xuereb, l’ex capo delle Forze Armate di Malta, a lungo impegnato nel contrasto all’immigrazione clandestina. Nel 2014, lasciata la divisa, Xuereb è stato arruolato tra i collaboratori dell’imprenditore statunitense fino alle dimissioni dell’anno scorso.
Regina Catrambone, fondatrice dell'Ong Moas, oggi a Catania, a margine dello sbarco di 394 migranti e del cadavere del ragazzo trovato morto su un gommone ucciso da un colpo di arma da fuoco. Quanto alle ultime polemiche ha precisato che "noi odiamo i trafficanti di persone" e di "non avere avuto mai contatti" con la Libia e di avere invece "sempre parlato con la guardia costiera italiana". Catania, 6 maggio 2017. ANSA/ DOMENICO TROVATO

Dai bilanci di ReSyH emerge che questa società si fa pagare da Moas per i propri servizi amministrativi, compresi gli stipendi di Catrambone e consorte. Non sono grandi cifre. Gli amministratori si dividono 100 mila dollari. Quindi Moas raccoglie donazioni (5,7 milioni di dollari nel 2015) e per pagare i propri costi di gestione versa una somma alla società ReSyH di Catrambone (578 mila dollari nel 2015). Nel bilancio della Ong maltese, alla voce “charter fee” compare una somma di 1,8 milioni di dollari versata nel 2015 al gruppo Tangiers. Con ogni probabilità, quindi, la società dei due coniugi benefattori si è fatta rimborsare il noleggio delle imbarcazioni usate per salvare i migranti.

Catrambone ha spostato fin dal 2008 il suo quartier generale a Malta, che si trova in una posizione ideale dal punto di vista geografico per una società come Tangiers attiva soprattutto tra Africa e Medio Oriente. Da La Valletta partono anche le missioni umanitarie targate Moas, forte di due navi. Una situazione piuttosto singolare se si pensa che il governo dell’isola viene da più parti accusato di non collaborare nelle operazioni di salvataggio e di sbarrare ai migranti l’accesso all’isola. In realtà, le cifre ufficiali sembrano descrivere una situazione diversa. Nel 2016, secondo i dati di Eurostat, a Malta hanno fatto richiesta di asilo 1.745 migranti. Un’infinità in meno rispetto all’Italia, dove a chiedere ospitalità sono state oltre 121 mila persone. Questione di proporzioni. La piccola isola mediterranea ha infatti una popolazione 120 volte inferiore a quella italiana, paragonabile a quella di città come Genova e Palermo con i loro 500 mila residenti circa.

Per capire se davvero Malta è poco accogliente nei confronti dei migranti bisogna quindi guardare un altro dato: quello che fotografa il rapporto fra gli abitanti e il numero dei rifugiati, cioè le persone a cui viene data ospitalità per motivi umanitari. Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del tema, Malta è molto più generosa della vicina Italia. Lo dicono i dati, gli ultimi aggiornati a metà 2015. Ogni mille abitanti, nell’isola ci sono oltre 14 rifugiati. Da noi il rapporto è invece di 1,5 rifugiati per 1.000 abitanti.

Non solo. Ci sono storie che vanno oltre le statistiche. Come quella di Osegie G., 21 anni, nigeriano dello stato di Edo. Jeans neri strappati all’altezza delle ginocchia, occhiali da vista, maglietta bianca sotto un piumino giallo canarino, Osegie martedì 25 aprile era sul volo della Air Malta proveniente da Milano e diretto a La Valletta. «Sono in Italia da due anni ma trovare un impiego decente è molto difficile», ci ha raccontato, «così adesso provo a cercarlo a Malta, dove alcuni miei amici hanno già avuto successo». Il paradosso è che è stata l’Italia a concedere a Osegie l’ambitissimo passaporto blu, quello riservato ai rifugiati. E adesso lui, grazie alla libera circolazione delle persone resa possibile dalla Convenzione di Schengen, sta cercando un’occupazione a Malta.

Puntando su un mix di burocrazia snella e tasse bassissime, a volte addirittura nulle, l’ex colonia britannica sta infatti vivendo una fase di straordinario boom economico. Lo indicano chiaramente le decine di palazzi in costruzione, i tanti lavoratori africani indaffarati nei cantieri edili, gli annunci di lavoro piazzati sulle vetrine di bar e ristoranti. Ma lo certificano anche i dati ufficiali. Negli ultimi 15 anni il prodotto interno lordo è cresciuto a una media del 3 per cento all’anno, mentre la disoccupazione è praticamente inesistente: a marzo è scesa al 4.1 per cento. Livelli inimmaginabili per l’Italia, dove il tasso dei senza lavoro nello stesso mese è risalito all’11,7 per cento.

Aggiornamento del 19 maggio 2017
La precisazione del Moas e la nostra risposta