Film di denuncia, pochi blockbuster, molti autori e più registe: ecco la ricetta della kermesse per affrontare questo momento della politica internazionale. Intanto Amazon e Netflix avanzano
Il Festival di Cannes, nella 70ma edizione in programma tra il 17 e il 28 maggio, espone con fierezza il suo impegno politico. Tantissime le pellicole sul tema della crisi dei rifugiati e, più in generale, dell’immigrazione che saranno proiettate negli undici giorni dedicati all’evento. Attenzione anche al cambiamento climatico, denuncia dello sfruttamento degli animali, spazio al mondo operaio, ai poveri, ai derelitti e a tutte le categorie di freaks emarginati alle varie latitudini terrestri ed extraterrestri, come la strega bambina congolese del film di Rungano Nyoni I am not a Witch o l’alieno di Kyoshi Kurosawa in Before We Vanish.
L’esorcismo anti-Trump parte dalla competizione per contagiare tutte le sezioni collaterali con la propagazione indiscriminata di clandestini, migranti, zingari, nomadi, sospetti terroristi in tutte le forme della narrazione, dal documentario, al cartone animato e fino alla realtà virtuale.
Michael Haneke in Happy End, per esempio, descrive l’insensibilità di una famiglia borghese che vive ai confini di un campo profughi, mentre l’ungherese Kornél Mundruczó coniuga il motivo dell’immigrazione clandestina con il genere dei supereroi dotando il protagonista di Jupiter’s Moon di speciali poteri.
Il monaco buddista birmano di Le Venerable W., diretto da Babet Schroeder, fa luce sulle devastanti reazioni antislamiche in un paese la cui religione predica la pace. Se in A ciambra, opera seconda di Jonas Carpignano nella Quinzaine des Réalisateurs, si mostra uno spaccato della vita quotidiana di una comunità rom di Gioia Tauro, in Mobile Homes del franco-canadese Vladimir de Fontenay la vita nomade diventa l’unica possibilità di riscatto di una ragazza madre.
Sangue Y Arena è l’istallazione del Premio Oscar Alejandro González Iñárritu e del suo fedele direttore della fotografia Emmanuel Lubeski che, grazie alla Fondazione Prada, hanno realizzato un progetto in VR, primo in assoluto ad essere scelto per una proiezione ufficiale a Cannes, in cui gli spettatori rivivono l’esperienza tragica dei rifugiati clandestini. Vanessa Redgrave, al suo debutto dietro la camera da presa, è fuori concorso con il documentario Sea Sorrow, un’antologia di testimonianze sull’immigrazione e un monito sull’urgenza del rispetto dei diritti umani. Il turco amburghese Fatih Akin gareggia in competizione con una storia di vendetta che scaturisce da una strage terrorista.
A proposito di sicurezza per questo 2017 la città di Cannes ha dispiegato forze e costruito infrastrutture capaci di proteggere l’area attorno al palazzo del Festival per una spesa complessiva di circa dieci milioni di euro. «Dal momento che Donald Trump ci sorprende ogni giorno, - ha spiegato il Presidente Pierre Lescure durante la presentazione della line up il 13 aprile - spero che la Siria e la Corea del Nord non getteranno un’ombra sul festival».
Intersezioni quindi tra storia e politica sono i temi dei documentari di Claude Lanzmann, Amos Gitai ed Eugene Jarecki: in Napalm si parlerà della Corea del Nord, in West of the Jordan River si analizzeranno antiche questioni geografiche, in Promised Land si ripercorrerà, con un bizzarro esercizio retorico e l’aiuto di Elvis Presley, la storia socio-politica contemporanea americana. Loveless di Andrey Zvyagintsev sulla carta è una storia privata, ma per girarlo il regista non ha potuto beneficiare dei contributi del Ministero della Cultura, indispettito dal precedente Leviathan, dove veniva messo a nudo il potere malsano e ottuso delle istituzioni russe. Cosa accadrebbe in assenza di regole sociali lo dimostra, d’altra parte, lo svedese Ruben Ostlund con The Square, dove la performance di un artista degenera in un pericoloso stato di anarchia.
Se grandi autori, attualità e impegno etico hanno avuto la meglio sui dollarosi blockbuster americani, sul red carpet invece non mancheranno le star. Momento particolarmente fortunato per Nicole Kidman, che aveva aperto il festival con l’esplosivo Moulin Rouge! nel 2001 e poi nel 2012 col meno fortunato Grace di Monaco e che quest’anno, dopo il successo televisivo di Big Little Lies, tornerà protagonista assoluta in Croisette con quattro titoli in tre sezioni. Sarà accanto a Kristen Dunst ed Elle Fanning ne L’inganno di Sofia Coppola, atteso remake de La notte brava del soldato Jonathan, vestirà i panni di un’aliena nel film fuori concorso How to Talk to Girls at Parties di Mitchell John Cameron, comparirà al fianco di Colin Farrell nel thriller psicologico dell’anticonformista Yorgos Lanthimos e, infine, si vedrà nella seconda serie per la tv di Top of the Lake: China Girl, sempre firmata da Jane Campion.
Uno dei grandi ritorni di questa stagione è Dustin Hoffman, protagonista della sofisticata drammedia The Meyerowitz Stories, con Adam Sandler, Ben Stiller ed Emma Thompson, dell’outsider Noah Baumbach (Francis Ha). Todd Haynes a distanza di due anni da Carol sceglie ancora Julianne Moore per l’adattamento del romanzo di Brian Selznik, Wonderstruck. Si ripete il sodalizio creativo anche tra Bong Joon-Ho e Tilda Swinton, che dopo Snowpiercer torna ad essere diretta dal regista coreano nell’improbabile storia di sfruttamento Okja. Il titolo sembra iscriversi in una certa tendenza del direttore artistico Thierry Fremaux ad inserire un film che sfugge alle definizioni di genere: Holy Motors di Leos Carax nel 2012, Wild Tales di Damián Szifron nel 2014, Toni Erdmann di Maren Ade l’anno scorso ne sono solo alcuni esempi.
Disturbi della personalità, ospedali psichiatrici e strizzacervelli sono un’altra costante dell’edizione: ne L’amant double di Francois Ozon una paziente (Marine Vacth) s’innamora del suo analista (Jérémie Renier) per diventare una vittima delle sue perversioni, al contrario in The Killing of Sacred Deer è il giovane paziente a prendersi gioco del suo medico. In They di Anahita Ghazvinizadeh un bambino che soffre di multipersonalità guarisce grazie a un’intuizione avuta per caso, mentre nel documentario 12 Jours Raymond Depardon rivela i segreti degli istituti di igiene mentale e il sistema legislativo che ne regola il funzionamento.
Molti i film di viaggio e scoperta: su tutti spicca l’esperimento dell’anticonformista del cinema francese Agnès Varda, protagonista assieme al fotografo Jr dell’insolito road movie Visages, Villages. Una colf senza casa attraversa l’Argentina alla ricerca di se stessa in The Desert Bride di Cecilia Atan e Valeria Pivato, in Out di Kristof Gyorgy un operaio ucraino cambia città e lavoro per ritrovare le sue reali aspirazioni e in Directions di Stephan Komandarev s’intrecciano i racconti di vita di sei tassisti che trascorrono l’esistenza sulla loro auto. Gli italiani, entrati nel loop della periferia mafiosa di provincia, quest’anno sono esiliati nelle sezioni minori. Sergio Castellitto con Fortunata, l’aspirante parrucchiera interpretata da Jasmine Trinca, approda in Un Certain Regard. Nella Quinzaine finiscono Leonardo di Costanzo con L’intrusa e Roberto De Paolis con Cuori puri. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, dopo il successo riscosso in Croisette nel 2013, apriranno la settimana della critica con Sicilian Ghost Story.
Numerose le chicche nascoste tra i titoli più ridondanti, dal film di vendetta Blade of The Immortal del regista cult Takashi Miike, al film sperimentale di Abbas Kiarostami 24 Frames. Nella Quinzaine invece vanno segnalati almeno due film indipendenti, reduci di un notevole successo di critica e pubblico al Sundance: il primo è Bushwick di Cary Murnion e Jonathan Milott, dove in un ex quartiere industriale di Brooklyn diventato meta di artisti e hipster avviene una guerra civile immaginaria, l’altro Patti Cake di Jeremy Jasper, in cui una grassoccia ragazza della periferia americana cerca di sfondare come rapper grazie ad un reality. Nothingwood, al limite tra documentario lirico e finzione, racconta 30 anni di guerra in Afghanistan attraverso il punto di vista di una compagnia itinerante di cinematografari di serie Z. Curioso anche l’elettro-musical su Giovanna D’arco diretto da Bruno Dumont.
Questa edizione della kermesse segna un netto aumento di regie femminili per un totale di dodici presenze e la consacrazione delle produzioni dei colossi dello streaming Netflix e Amazon che, per anni snobbate da Cannes, sono finite direttamente in competizione. Questi i casi di The Meyerovitz Stories, Okja e Wonderstuck. Gli appassionati di televisione si consoleranno infine con l’anteprima dei nuovi episodi di Twin Peaks diretti da David Lynch.
Per il resto, la parola passa ai giurati: a presiedere la giuria, composta dagli attori Jessica Chastain, Will Smith, Agnès Jaoui e Fan Bingbing, dai registi Park Chan-Wook e Paolo Sorrentino e dal compositore Gabriel Yared, sarà Pedro Almodóvar.