I 5 Stelle rimangono in cima alle preferenze degli elettori, a testa a testa con il Pd. Come è possibile che un partito di antiche e gloriose tradizioni, al governo in periferia e al centro e con un leader trascinante - anche se a volte trascina nella polvere - sia incalzato e talora sopravanzato da una armata Brancaleone senza organizzazione, con un personale politico “casuale” (cioè emerso senza criteri di selezione ) e guidata da un istrione amante dei paradossi e dei calembour come Beppe Grillo??Bisogna partire da lontano per trovare qualche ragione plausibile dello stato attuale. Perché le rivoluzioni, come insegnava il grande Alexis de Tocqueville, maturano nel tempo.
La gestazione della crisi del sistema politico italiano esplosa nel 2013 inizia più di vent’anni fa. Già allora era emersa una domanda di cambiamento radicale: lo evidenziarono bene il successo popolare di Mani Pulite e l’affondamento dei partiti storici, diretta conseguenza di quel moto di ripulsa. Solo che quella domanda è stata disattesa, se non pervertita. La destra forza-leghista, dominante in tutto questo ventennio nonostante la sua abilità mistificatoria (la post-verità non è di oggi: Edmondo Berselli già allora parlava di “fattoidi”) ha invece acuito ogni problema, da quello economico a quello morale. ?Gli unici momenti in cui la barca venne raddrizzata, producendo avanzo primario e riduzione del debito, tanto per citare due aspetti cruciali, furono quelli dei governi di centro-sinistra, e in particolare quelli diretti da Romano Prodi. Ma non servirono a mutare il clima di opinione. E infatti, il movimento pentastellato addebita a tutti la causa dello sfascio. Mette in cima alla lista lo “psiconano” (epiteto con cui il leader dei 5Stelle maramaldeggia Berlusconi), ma accusa anche la sinistra di non essersi opposta adeguatamente, tanto da arrivare a considerarla corresponsabile. Non c’è nessuno da salvare nei decenni passati. Solo una catarsi può produrre un cambio salutare (salvifico, direbbe ora il neo-francescano Grillo). Mentre Renzi voleva una rottamazione all’interno del suo partito, Grillo la vuole per tutto il sistema.
Questa pulsione rivoluzionaria raccoglie un fermento che cova da anni nell’opinione pubblica e non si è mai attenuato. Anzi. Basti ricordare che alla vigilia delle elezioni del 2013 la maggioranza degli italiani riteneva che l’Italia avesse bisogno di una rivoluzione e non di riforme (dati Swg, ottobre 2012): e questa ipotesi era sostenuta in misura simile sia da elettori di destra sia di sinistra. Nulla di più ovvio, quindi, che al M5S arrivino consensi trasversali, motivati da un comune rifiuto dell’esistente.
La
vis destruens incarnata dai 5Stelle ha tuttora una grande capacità di attrazione. Del resto cosa possono opporre gli avversari, in particolare i democratici di sinistra? La Buona scuola, rigettata da tutti e disconosciuta ormai anche dal Pd? Il Jobs act che con 16 miliardi ha?prodotto un pugno di posti di lavoro? Una riforma costituzionale cestinata dal voto popolare? Certo, il governo Renzi ha fatto anche cose buone, dalle unioni civili ad alcune misure mirate di welfare, ma la cifra complessiva è tale da non arrestare distacco e sfiducia.
Fatto sta che c’è ancora una società che ribolle per aspettative di rinnovamento deluse e tradite per tanti anni, fin da Tangentopoli, e che ha ritirato la delega a tutti, trovando nei 5 Stelle l’ultimo veicolo di rappresentanza. Questo sentimento coinvolge trasversalmente componenti diverse della società, sia ai piani medi perché gli investimenti in istruzione non danno nulla (la disoccupazione e sottoccupazione intellettuale), che ai piani più bassi perché mancano prospettive nell’immediato (la discesa nella povertà) ?e nel futuro prossimo (l’ascensore sociale bloccato). A questa platea composita, espressione di periferie estreme o di zone semicentrali, non rimane che la rivolta, in assenza di alternative credibili. È questa ?la vera sfida per la sinistra. Finora persa.