Alle elezioni dell'8 giugno si scontrano 'tribù' di cittadini con visioni totalmente opposte, dalla Brexit all'immigrazione. Ed è un errore sottovalutare il disagio di una maggioranza che patisce l'apertura, la compezione, il multiculturalismo, anche al netto dello shock provocato dai recenti attentati. Parla l'intellettuale britannico

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La campagna elettorale inglese doveva interrompersi un giorno solo, in memoria di Joe Cox, la parlamentare laburista uccisa lo scorso anno da un estremista di destra. Ma un altro atto di sangue politico, molto più grave per il numero delle vittime, ha segnato la vigilia elettorale inglese. Per David Goodhart, influente intellettuale britannico e autore del recentissimo “The Road to Somewhere: The Populist Revolt and the Future of Politics” (la strada verso un certo posto, la rivolta popolare e il futuro della politica), le ultime stragi potrebbero rimescolare le carte del voto.

Qual è l’effetto immediato?
«Indubbiamente quello di rafforzare i conservatori di Theresa May, che erano in vantaggio ma in leggero calo nei sondaggi. E non soltanto per il fatto che il loro è il partito tradizionalmente più incline ad occuparsi di tematiche di terrorismo e sicurezza nazionale. Ma soprattutto perché Jeremy Corbyn è un leader debole ed è stato di recente coinvolto in una polemica per la sua simpatia verso l’Irish Republican Army (Ira) negli anni Ottanta. L’Ira è stata protagonista dell’ultima stagione di terrorismo sul suolo inglese, prima dell’avvento di quello islamista. E l’ambiguità tutt’oggi nel condannarli, unita alla riluttanza con cui in generale Corbyn accetta di chiamare il terrorismo con il suo nome, lo svantaggia significativamente nella corsa al voto degli indecisi negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale».

Nel suo libro lei parla di un malessere che tanta parte della società inglese starebbe vivendo nei confronti del multiculturalismo. Episodi come questo potrebbero acuirlo?
«A partire dai primi anni 2000, l’immigrazione è stata la preoccupazione principale degli inglesi ed è stata un elemento cruciale per la Brexit. Per anni oltre tre quarti dei cittadini hanno fatto sapere, attraverso i sondaggi, di essere contrari a un numero eccessivo di arrivi. Ma l’establishment considerava l’immigrazione alla stregua di un fenomeno naturale, che non è controllabile, oppure come un bene, come nel caso dei politici della sinistra liberale. Risale ormai a più di dieci anni fa l’avvertimento che avevo riservato agli amici progressisti: nel mio articolo “Too diverse?” scrivevo che non si può diluire l’omogeneità nazionale del paese senza che questo comporti un assottigliamento del welfare state. Sarebbe a dire che meno le persone si sentono affini ai propri concittadini, meno sono disposte a pagare servizi pubblici, a tollerare la redistribuzione della ricchezza. La volontà di condividere il rischio di ritrovarsi in condizioni di bisogno dipende dal grado d’identificazione coi concittadini: è un dilemma di fronte a cui la sinistra è rimasta cieca. Episodi come quello di Manchester rischiano di aumentare l’intolleranza nei confronti della minoranza musulmana, producendo una società ancora più frammentata ed acuendo la crisi del multiculturalismo».

Lei ha scritto che il Regno Unito è caratterizzato da “nuove tribù di valori” che si contraddistinguono anche per la propria posizione sulla Brexit...
«Nel mio libro divido la popolazione inglese in tre grandi gruppi, che chiamo gli Ovunque, i Solo Qui e le Genti di mezzo. Gli Ovunque sono un gruppo di persone istruite e abituate a muoversi, generalmente individualisti e benestanti, che grazie ad un’identità “portatile” e basata sul successo personale si adattano facilmente ai cambiamenti e alla globalizzazione. Queste persone, che secondo i miei studi, corrispondono a un quarto della popolazione e si sono svegliate nel giorno della Brexit con la sensazione di vivere in un paese straniero. Ma non fanno i conti con i Solo Qui, il secondo grande raggruppamento valoriale, che nella mia analisi del paese vale il 50 per cento degli inglesi. I Solo Qui sono persone più radicate nei luoghi di provenienza, che si muovono poco e hanno tendenze più comunitarie, le cui identità io definisco “ascritte”, cioè più statiche e meno adattabili. Patiscono l’apertura, la competizione, il multiculturalismo. Fino a trenta o quarant’anni fa la loro visione del mondo era egemone, poi nello spazio di due generazioni, complice anche la scolarizzazione universitaria di massa, è stata sradicata da quella degli Ovunque, che se li sono lasciati alle spalle un po’ troppo in fretta. È un conflitto fra tipi umani che va oltre il vecchio scarto fra destre e sinistre, fondato soprattutto su divari socio-economici, e si basa sulla rinnovata centralità di temi culturali e identitari. Ho visto la mia analisi confermata in recenti dati di Yougov, la fonte di sondaggi più influente e rispettata del paese, a proposito della Brexit. La metà della popolazione l’ha sostenuta nel referendum e adesso vuole un governo che la realizzi in fretta: sarebbero i Solo Qui. Circa un quarto è contro la Brexit senza se e senza ma: sono la mia tribù degli Ovunque. Infine un quarto risulta essersi opposto ma ritenere inevitabile l’uscita dopo il referendum: sono le Genti di Mezzo».

Il conflitto fra la tribù dei Solo Qui e quella degli Ovunque riguarda solo il Regno Unito?
«Niente affatto, è emerso per esempio negli Stati Uniti con l’elezione di Donald Trump. Il liberalismo del futuro deve ricominciare a guardare verso i Solo qui, riconoscere l’esistenza di società distinte ed ascoltare con più pazienza chi ha meno da gioire del cambiamento. Un ordine mondiale basato su tante nazioni diverse è preferibile a uno straripante non-luogo sovranazionale. Quando Nigel Farage disse di essere a disagio nel non sentire più una parola d’inglese nei mezzi pubblici a Londra i media degli Ovunque insorsero dandogli dello xenofobo. Ma in verità il 60-70 per cento della popolazione lo riteneva un sentimento più che normale, da non crocifiggere. Quando l’ho fatto notare ai miei amici di sinistra in un pub, uno se ne è andato con stizza lanciando il bicchiere sopra al bancone».