Donald Trump ha annunciato tagli drastici alla scienza per finanziare la difesa. Usando come scusa la necessità di investimenti privati. Ma si tratta di un errore pericoloso a cui tutta la società deve dire no
3 marzo 1863: nel mezzo della guerra di secessione americana, il presidente Lincoln firma l’atto che fonda l’American Academy of Science, affidandogli il compito di studiare le questioni legate al progresso scientifico. Oggi, a 150 anni dalla sua creazione, l’Accademia conta su più di duemila scienziati di tutto il mondo, che studiano i cambiamenti climatici, l’energia, la ricerca biomedica e si occupano di divulgare informazioni corrette ai cittadini e consigliare la classe dirigente.
Un approccio pragmatico, basato su dati e non ideologie, tipicamente americano, un modo di credere nel progresso e nella scienza, un’impostazione culturale che si è consolidata nel tempo. Ed è proprio questa impostazione che l’attuale presidente Donald Trump ha messo in discussione annunciando tagli drastici alla ricerca nella legge di bilancio che arriverà nelle prossime settimane al Congresso. Nella proposta del presidente, tutti i settori della ricerca pubblica sono falcidiati. In particolare l’Nih, il National Institute of Health che si occupa della ricerca in medicina, potrebbe perdere circa sei miliardi di dollari, pari al venti per cento del budget storico. Una tragedia annunciata per ricercatori, università, laboratori. L’Nih conta su 30 miliardi di dollari l’anno ma l’80 per cento del budget è destinato a borse di studio e finanziamenti a centri di ricerca che lavorano su progetti selezionati con il metodo del giudizio tra pari.
Se i tagli saranno confermati, molti scienziati perderanno il lavoro, ricerche pluriennali saranno interrotte, i laboratori subiranno ridimensionamenti drammatici. Secondo Trump spetta ai privati finanziare le ricerche. Un ragionamento che si è affacciato diverse volte sullo scenario americano: Ronald Reagan aveva tentato di ridurre i fondi per la ricerca e si era anch’egli scontrato con il Congresso. Un’impostazione che non tiene conto che a volte servono decenni per arrivare alle scoperte che cambiano la storia della medicina e dell’umanità. Ricerche fondamentali ma non per questo remunerative per cui difficilmente i privati si avventurano in percorsi così incerti.
Pensiamo al lungo lavoro sul genoma umano che ha cambiato la storia dell’uomo ed è stato finanziato proprio dall’Nih con fondi pubblici. Lo stesso è accaduto per gli studi condotti sul virus dell’Hiv, o quelli sulle cellule staminali. La reazione non si è fatta attendere e il 22 aprile ricercatori e professori sono scesi in strada a Washington e in molte altre città del mondo compresa Roma, per la Marcia per la scienza, una manifestazione che ha ottenuto l’endorsement delle due principali riviste scientifiche del mondo, Science e Nature.
È facile prevedere che la proposta di Trump non sarà approvata dal Congresso Usa, anche perché i fondi per la ricerca hanno sempre ottenuto voto positivo da entrambi gli schieramenti politici americani. Si arriverà forse a un compromesso ma sarà comunque una scelta al ribasso per un paese che detiene la leadership mondiale nella ricerca biomedica. Un’inversione di rotta pericolosa perché significa in qualche misura arrendersi, smettere di credere nel progresso scientifico come mezzo per migliorare le condizioni di vita di tutti. Ovvero perdere una visione sul futuro, l’unico tempo di cui si dovrebbe occupare uno statista.