"La paura si trasforma in terrore e ci paralizza, ma dobbiamo imparare ad ascoltarla e non possiamo fingere che la morte non esista". La scrittrice spiega come ha affrontato il tema degli attacchi suicidi
Quello che è successo a Manchester la sera del 22 maggio mi ha riportato alla notte del 14 luglio scorso, a Nizza, quando un camion si è lanciato sulla folla con l’intento di sterminare famiglie intere. Mio figlio era davanti alla televisione il giorno seguente. C’era confusione, era ora di pranzo. Lo pensavo a giocare in giardino con i cugini, invece mi era seduto accanto. Ha quattro anni e la passione per i camion. Attraverso il racconto del telegiornale, ha visto l’oggetto del suo desiderio trasformarsi in oggetto di morte. Non so cosa abbia compreso, era già attonito quando me ne sono accorta. Nei suoi occhi una paura adulta, molto più insidiosa di quella che possono suscitare l’uomo nero o il mostro delle fiabe. La mia stessa paura, del resto. Solo che io ho il dovere di camuffarla, di sorridergli rassicurante.
La maggior parte degli psicologi concorda sul fatto che prima dei cinque anni un bambino non è pronto ad affrontare certi argomenti. Ma mio figlio la notte si sveglia di soprassalto e mi parla di un mostro bianco, bianco come il camion di Nizza. Mi rivolge ossessivamente le stesse domande, sulla morte, sui cattivi, e non vuole che mi allontani per nessun motivo. Qualche volta i suoi occhi si caricano di angoscia e i miei, nell’osservarlo, di pura impotenza. Allora decido di affrontare tutto questo in una lettera, che poi è diventata un libro, e di condividere con le altri madri la mia ansia.
Cerco le parole giuste per raccontare a mio figlio l’orrore che ha visto nello schermo. Uso metafore, immagini, racconti. Cerco una chiave di accesso che mi permetta di entrare nel suo mondo, e di guardare il nostro attraverso i suoi occhi.
Chi sono questi cattivi? Questi terroristi disposti a farsi saltare in aria per annientarci? Gli dico che ogni persona possiede una scatola, una scatola magica dove infila i propri desideri, come lui fa quando per Natale mi chiede i giocattoli. Quella scatola ci dice chi siamo, ci fornisce un’identità. Bisognerebbe riempirla di cose che riguardano il presente, per il nostro bene e per quello degli altri. Alcune scatole, però, sono piene di odio e di frustrazione, di cose che non riguardano questo spazio e questo tempo, tanto che per quelle persone la vita non ha alcuna importanza. E noi, che sembriamo così inermi, possiamo difenderci solo continuando a riempire la nostra scatola di sogni e di progetti. Per contrapporre alla loro ideologia di odio e di morte, una logica di amore per la vita.
Mentre scrivo la mia lettera, tracciando un varco tra le paure, scopro il coraggio di affrontarle. Per non negarle, nemmeno ai suoi occhi. E per trovare risposte il più possibile sincere. Ricordo l’ansia che avevo da bambina quando origliavo i discorsi dei grandi, le loro spiegazioni chiaramente false e lontane da quel poco di vero che avevo intuito. Allora perdevo fiducia. Il loro inganno aumentava il mio spavento. Memore di quella lezione, ho deciso che con mio figlio voglio essere sincera. Riadatto la realtà attraverso immagini che possa comprendere, reinvento il mondo per lui, ma la verità è il mio punto di partenza.
Immagino che tra i fan di Ariana Grande, la star dei teenager che si è esibita nell’Arena di Manchester, non si parli d’altro che di questa tragica esplosione. Tra le famiglie riunite intorno ai tavoli da pranzo, fioccano domande cui è difficile rispondere. Le immagini dell’attentato invadono i telegiornali.
L’attualità è, ancora una volta, una continua narrazione dell’orrore. Ariana Grande è il camion di Nizza. Uno strumento di gioia che diventa appuntamento con la morte. Lei per prima annulla concerti, si chiude in se stessa, cerca di capire cosa è successo. E magari s’interroga sulla sua identità, su ciò che oggi agli occhi del mondo rappresenta. Sua madre quella sera era lì, nell’Arena, ad aiutare i fan della figlia a trovare in qualche modo una via di fuga. E come lei tante altre madri, colpevoli solo di aver messo al mondo figli, o meglio, figlie, nel mondo occidentale. Di averle accompagnate, così giovani, a un concerto. Perché, nel mirino di Salman Abedi, l’attentatore, non c’è solo l’innocenza di un luogo lontano da qualunque simbologia politica, ma anche un ritrovo di ragazzine, emancipate, fans di una giovane cantante che incarna un modello inaccettabile.
Per la madre di Ariana Grande, come per tutte le altre madri e i figli coinvolti, uscire da quell’Arena e dimenticare non sarà certo facile. E non lo è neanche per noi, che li sentiamo gridare dai telegiornali. So di madri che cancellano concerti, appuntamenti negli stadi per partite che ritenevano importanti. Il livello di allerta è critico e in Inghilterra sono rimaste chiuse molte scuole. L’immagine della bambina di otto anni, che nell’attentato ha perso la vita e che ha invaso le prime pagine dei quotidiani, ci fa pensare ai nostri figli, ci fa desiderare di tenerli chiusi in casa per proteggerli.
La paura si trasforma in terrore e ci paralizza, ma dobbiamo imparare ad ascoltarla. Dobbiamo imparare a gestirla. Perché le nostre paure sono anche una planimetria intorno alla quale i nostri figli stanno costruendo la loro personalità. E poi perché non ci appartengono. Facendoli nascere, li abbiamo consegnati al mondo, e ora, volenti o nolenti, abbiamo il compito di consegnare il mondo a loro. Qualunque esso sia.
I supereroi non esistono, e i ragazzini lo sanno. Non cercano in un genitore qualcuno che abbia i superpoteri, che tiri fuori una bacchetta magica e faccia sparire i terroristi dalla faccia della Terra. Cercano risposte sincere a domande difficili. Cercano qualcuno che sia padrone delle sue paure, delle sue fragilità, e che sia in grado di affrontarle. Ma soprattutto di rispondere. Abbiamo tutti l’impressione di camminare sul ciglio di un burrone. Possiamo decidere se ostinarci a guardare giù e farci assalire dalle vertigini, oppure di procedere il più possibile a schiena dritta. La differenza la farà il bagaglio che ci portiamo dietro ogni volta che usciremo di casa, fosse anche per ascoltare un altro concerto di Ariana Grande. La vera differenza la farà il contenuto della nostra scatola magica. Chi e cosa amiamo, da chi ci sentiamo riamati e sostenuti. Non c’è prudenza che possa davvero salvarci, se non la fiducia in tutto quello che siamo, in tutto quello che avremo deciso di metterci dentro.