Pubblicità
Politica
luglio, 2017

Pd, va in scena la guerra dei comunicatori di Matteo Renzi: ecco chi sono e chi sta vincendo

L’immagine del segretario del partito è appannata e le recenti gaffe sui social network non hanno aiutato. Così attorno a lui proliferano gli uomini dell'immagine, in costante conflitto fra loro. Cronaca di una battaglia che sta scuotendo il partito

Aiuto. Il grande comunicatore non sa più comunicare. Pur circondato da una frotta di comunicatori - o forse proprio per questo - Matteo Renzi sembra aver perso il tocco. Inciampa in messaggi pseudo salviniani come la tragica card sugli immigrati “aiutiamoli a casa loro”,  bruciando in un pomeriggio anni di distinguo su cosa sia di sinistra; incorre in errori come quello di difendere il messaggio e poi farlo cancellare dal web (nel tempo dei social è l’ideale per farsi impallinare); con una specie di trionfo del sistema proporzionale applicato ai media, diffonde dodici diverse anticipazioni del suo libro (la dodicesima affidata a “Chi?”), ciascuna impacchettata sui gusti e le inclinazioni del quotidiano dal quale viene pubblicata (sul Giornale la separazione delle carriere, sulla Gazzetta dello sport Bebe Vio), il tutto in maniera talmente sfacciata da ingenerare in Transatlantico alla Camera lo sfottò: «Dimmi che anticipazione hai e ti dirò chi sei». E se l’università di Harvard chiama il suo responsabile del programma, l’economista Tommaso Nannicini, a tenere un corso, invece che come un successo del renzismo (per la serie: così bravi che ci vogliono anche all’estero), la cosa finisce per esser veicolata come l’ennesimo abbandono post sconfitta.

Insomma, piacessero o meno, i tempi delle slide (domandare a Filippo Sensi) e dei gufi (domandare direttamente all’ex premier) sono lontani. Adesso è come se l’esuberanza mediatica tipicamente renziana si fosse scollata dal contenuto politico, l’ironia dall’aggressività, l’informazione dallo slogan, la destra dalla sinistra, e ciascun pezzo ballasse da solo a un ritmo diverso, ed eccessivo.

Non è un caso che, parallelo a tutto ciò, attorno al segretario le guerrette di comunicazione imperino, tra sconfitti, meno sconfitti, nuovi arrivi, ritorni. Quel che è peggio, segno ulteriore di debolezza: l’avversione è persino evidente, gli sgambetti si sostanziano in post sui social, dove le strategie mediatiche del Pd vengono demolite dal Pd, secondo la più consolidata delle tradizioni pre-renziane. «Vabbè io alzo le braccia», è tra gli ultimi commenti social del consulente di Palazzo Chigi, Francesco Nicodemo. Non esattamente un applauso. «C’è chi spera che dietro l’errore di comunicazione ci sia io. Non è così, vi voglio bene», uno di quelli (con cuoricino sarcastico) della ex responsabile comunicazione Pd, Alessia Rotta; mentre la regista di Leopolde Simona Ercolani postava su Facebook foto di bambini nell’ospedale pediatrico di Bangui, Repubblica centrafricana («e ora parliamo di immigrazione»).
Alessia Rotta

Messaggi sui quali l’attenzione è maniacale, e like e condivisioni disegnano geografie. Ad aggravandum, appena fuori dal Pd, gli intellettuali organici come Fabrizio Rondolino si prendono una pausa dal mondo renziano: «Ho deciso di cambiar vita», «mi ha intossicato», «non mi diverte più», ha scritto su facebook l’ex lothar di D’Alema, uno che dai detrattori interni al Pd viene descritto come «il Marco Travaglio del renzismo» (non è un complimento). E, ancora, i tifosi di una volta come Claudio Velardi - altro ex lothar dalemiano che, pure, ha sorretto il cammino renziano - si dicono stufi: «Non ti reggo più», ha scritto su un post il patron di Reti; «Velardi è un commentatore sui social, uno che vive con le sue fatture, come ce ne sono tanti», è la replica che piove dall’interno del Pd (bel clima, no?).

E tra una #terrazzaPd che ricorda i tempi di Bersani e una rassegna #orenove dove le pagine di politica vengono lette e commentate (quando si dovrebbe volerle scrivere) c’è chi racconta, del resto, che di renziani davvero entusiasti «non ne è rimasto più neanche uno» e che, addirittura, i delusi si sfogano tra loro in “chat segrete”.

L’era seconda di Matteo Renzi ri-segretario del Pd dal maggio scorso, è fatta così. Un ritorno al futuro in cui diciamo domina il ritorno, condito di caos, sul fronte della comunicazione: il che, vista l’attenzione maniacale per l’ex premier proprio alla comunicazione, è un ottimo metro per misurare quanto sia complicato fare qualcosa, una volta esaurita l’era della Rottamazione e ancora insuperata quella della Sconfitta («il tuo orologio biologico è drammaticamente fermo al 4 dicembre», il monito di Velardi). Ripartenza? Ricostruzione? Riprotagonismo? Mah.

L’ultima mossa imprime alla storia un andamento circolare e rende in fondo l’idea: a circa sei mesi dalla nomina a portavoce dell’ex membro Vigilanza Rai Michele Anzaldi (avvolta tutt’ora nel mistero, giacché raccontano che «fino al giorno prima Renzi diceva di volere una persona calma e pacata, che gli facesse far pace coi giornalisti»), e non essendo alle viste un ritorno di Filippo Sensi da Palazzo Chigi, il segretario ha richiamato a sé Marco Agnoletti, il suo addetto stampa ai tempi del comune di Firenze, quando Renzi diventava Renzi.
Francesco Nicodemo

Colui che fu lasciato a Palazzo Vecchio, non senza una qualche amarezza, naturalmente ben celata: amico di personaggi come Mario Orfeo e Campo Dall’Orto (erano insieme a Cardiff a vedere la Juve nella finale di Champions), in buoni rapporti con Roma in genere, dove martedì scorso, come ogni anno, ha festeggiato il compleanno.

Proprio nelle ore in cui Renzi - con uno stratagemma che ha reso la cosa più elegante, quello di rispondere alle critiche dei Giovani democratici - ha annunciato attraverso Democratica (il quotidiano in Pdf nato sulle ceneri dolenti dell’Unità, e tuttavia guidato senza un piego da Andrea Romano) che il nuovo spin doctor del Pd è il renzi-civatiano della prima ora Matteo Richetti, suo portavoce per le primarie, già recuperato in autunno dopo un paio d’anni di Siberia. Insomma, una specie di apoteosi del pensiero magico: quello per cui se richiami le stesse persone che c’erano una volta, anche quell’epoca ritorna pari pari.

Del resto, da premier era proprio Renzi a invocare, a ogni sconfitta, il mitologico ritorno di “Renzi Uno”, come se si trattasse di una maschera dei Fantastici Quattro da estrarre dall’armadio. Ad ogni buon conto, appena arrivato, Matteo il precisino (Richetti) ha subito impresso il suo spin: annullando il previsto corso di formazione Facebook per i parlamentari, e dichiarando un obiettivo così ottimistico da rasentare l’utopia. Quello cioè di «far apprezzare a Renzi quanto può far rumore il silenzio». Sarebbe il primo a riuscirci.

Il suo arrivo, in ogni modo, ha suscitato una ola, l’unanime evviva («quindi durerà poco», è l’acida previsione di un migliorista). E, per un momento, pare aver messo d’accordo un insieme umano dove per settimane è imperato a fasi alterne il “nessuno comanda, tutti comandano”. Se ne è dichiarato contento persino colui che secondo la vulgata dovrebbe essere vittima del commissariamento: il social media strategist Alessio De Giorgi, già crocifisso per la gaffe su Matteo Renzi news (negò di esserne l’amministratore proprio mentre usava per sbaglio l’account di amministratore) e in genere per un certo tipo di comunicazione in stile grillino.

Grandi applausi pure per il ritorno di Agnoletti (arriverà a settembre) che pure non è visto come segno di gran salute: «Se al terzo matrimonio ti sposi la compagna di liceo, c’è qualcosa che non funziona», sibilano, sempre nel Pd.

Il ritratto
La vita avventurosa di Alessio De Giorgi, l'uomo (dei flop) di Matteo Renzi sui social network
29/6/2017
Richiamare come quarto portavoce il primo - dopo l’era lunga di Sensi ora a Palazzo Chigi e l’era breve di quello che ai tempi di Rutelli era stato il suo capo, vale a dire Anzaldi - non pare in effetti un segno dell’andare “Avanti”, nuova parola chiave del renzismo e titolo del suo libro. Ma anche queste critiche arrivano dai renziani («Agnoletti? Serviva qualcuno che girasse in treno con lui» altra simpatica spiegazione pronunciata al Nazareno), scontenti a loro volta che il leader non sia capace di nuovi spettacoli pirotecnici come quando stava per franare come un ciclone sul Partito democratico.

C’è come il solito desiderio renziano di correre tanto ma studiando poco. Di coprire con l’intuito e la velocità delle idee (alcune neanche male), una carenza di passo di lungo periodo, anche nel comunicare. Se allora il gruppo appariva agile e coeso, e certe strategie social facevano presto a figurare boccate d’ossigeno (bastavano pochi tweet a dirsi al passo coi tempi), adesso un sistema nuovo fatica a trovare strada. E per di più la folla di chi è stato scalzato è nutrita, il che rende tutto più farraginoso.

Ad esempio. Negli ultimi tempi, è proprio Renzi a voler tentare - senza aver trovato il tono giusto, ammesso che ci sia - una via grillina ai social. Il che già non piace a tutti quelli (molti) che vogliono il Pd resti distinto da M5S, anche per modalità comunicative: e quindi detestano l’aggressività, anche solo il martellare con i “condividiamo!”. Ma poi è lui stesso a confidare di non poter né voler fare quello che la Casaleggio ha cinicamente fatto nella sua propaganda sui social.

A ciò, si aggiunge la complicazione che a gestire il passaggio ci sia stato sin qui appunto De Giorgi, che ha scalzato Francesco Nicodemo. Il quale, ex consigliere comunale a Napoli, felice inventore di hashtag azzeccati (#lavoltabuona) e altre linee comunicative fino all’anno scorso, ora figura tra i vice di Funiciello a Palazzo Chigi e ha pubblicato un libro (“Disinformazia”) in cui spiega fra l’altro che il segreto del successo alle europee 2014 fu la Community del Pd (sua creatura). A dire che la sconfitta del 4 dicembre non è colpa sua, come che invece sottintende Renzi ogni volta che dice di aver «perso sui social».

La tendenza alla defenestrazione è piuttosto spiccata e in certi giorni basta poco: nella notte dei tempi anche Giorgio Gori, futuro sindaco di Bergamo, ebbe il lavoro rovinato dal fatto di non aver avvertito Renzi di certi filmati che sarebbero comparsi in una puntata di Piazza Pulita; e il ruolo di spin di colpo finì.

Per superare il trauma ci vuole un grande equilibrio. Non tutti possono permettersi il lusso di dire, come fa Alessia Rotta: «Non mi vedrete creare gruppi alternativi sul web». O sono capaci di ritagliarsi un posto dove non si mette becco, come la produttrice Simona Ercolani, cuore operativo della (perdente) campagna referendaria che si muove adesso a latere, con il sito “In Cammino” e una sorta di patto di salvaguardia tale per cui ciascuno di lei dice: «è una figura collaterale».

Ammesso che pure questo sia un buon segno, dopo che in soli tre anni Renzi ha attratto e consumato sia il filone ex margherito sia quello ex dalemiano e ora pare volersi affidare al comparto ex rottamazione ma senza aver chiaro cosa eventualmente scassare e perché.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità