La mafia del Gargano. Lo schiavismo dei pomodori. Le estorsioni. Il traffico d’armi. Eppure, proprio lì, si accende una luce

Califoggia è il nome con cui quando ero ragazzino chiamavamo dalle mie parti Foggia e il foggiano. La Califoggia è tale perché davvero ha qualcosa che lega quel pezzo di terra - non più Campania ma non del tutto Puglia - alla California: tomato , i pomodori. La California è il maggior produttore al mondo di pomodori da industria, seguito dall’Italia. Il 40 per cento della produzione nazionale avviene nel foggiano. Un business da 3 miliardi di euro costruito sulle braccia di migliaia di persone invisibili. Invisibili i ghetti. Invisibili gli sguardi. Quando la cementificazione e le discariche abusive hanno distrutto l’agro campano, il pomodoro, la celebre “pummarola” campana, ha preso prima le braccia dei foggiani poi dei migranti. Invisibili come la mafia in provincia di Foggia, fino al recente quadruplice omicidio.

Non è l’assassinio ad aver acceso luce sulla mafia garganica: di omicidi ce ne sono stati 29 soltanto negli ultimi 2 anni. Più si ammazza più c’è silenzio. La luce si accende quando vengono uccise persone chiaramente innocenti. L’esecuzione di Aurelio e Luigi Luciani sta facendo parlare della mafia della Califoggia. C’è qualcosa di peggio: l’uccisione non sarebbe avvenuta perché erano testimoni (è facile poter intimidire due contadini in un territorio dove nemmeno esiste la Direzione Nazionale Antimafia). Sono stati ammazzati perché considerati complici, come parte della scorta del target Mario Romito. Al sud funziona così: non esistono ruoli estranei, esiste solo l’appartenere. La terra appartiene, le persone appartengono, la “roba” appartiene. La “roba” è carne e sangue che si eredita.

Se chiedessi al mio lettore a bruciapelo quali sono le due aree con più estorsioni, forse penserebbe a Reggio Calabria, Napoli o Trapani. Tutt’altro. Per anni Foggia è stata la provincia con più estorsioni d’Italia, solo recentemente superata da Pescara. «Enclavi di mafia che qualcuno nella capitale non vede o non vuole vedere», come disse l’ex procuratore Domenico Seccia, che si occupò di portare in giudizio più di 100 affiliati della mafia garganica nel 2011.

La Società foggiana è un’organizzazione potente che ha goduto di una provincia italiana al collasso economico, con un reddito pro capite inferiore di oltre il 40 per cento rispetto alla media nazionale, un tasso di disoccupazione quasi il doppio della già alta media italiana. Come a Napoli, così in Gargano sono le giovani leve a scalzare i vecchi criminali e a prendersi le estorsioni del ricco turismo costiero e dei milionari traffici di armi e stupefacenti con l’Albania. Kalashnikov e bulldozer, omicidi in pieno centro, ma anche incendi per controllare il territorio. E pochi giorni prima della mattanza di San Marco in Lamis, le forze dell’ordine avevano intercettato uno scafo veloce al largo di Vieste con 20 milioni di euro in stupefacenti. Poche settimane prima, un altro carico dello stesso valore.

Eppure, in questa invisibilità emergono luci cristalline, chiarissime. Alcuni tra i migliori lavori documentaristici degli ultimi anni li hanno realizzati due fratelli di quelle terre, Andrea e Marco Nasuto. Sono dispacci da luoghi abbandonati che raccontano quello che pochissimi hanno il coraggio di rappresentare. Una fuga giovanile senza precedenti, migranti che disfano e tessono nuova italianità nelle campagne dei caporali, terreni stuprati dall’illegalità, silenzi di periferia e desideri non per questo morti. Le voci delle loro opere “Made of Limestone” e “Kosmonauts” sono tutte periferiche e per questo protagoniste. Ed è questa la provocazione chiave dei due registi: questo luogo inesplorato, il Sud Italia, può raccontare il futuro. Lo fanno spesso utilizzando l’inglese come lingua, coscienti che la forza di un linguaggio sta nella sua capacità di diventare linguaggio di altri. Lo fanno non smettendo mai di provare a farci capire come il mondo può essere descritto fuggendo alla tentazione di creare solo sdegno. I due registi si impossessano del senso narrativo più profondo: illuminare la realtà non significa crearla bensì renderla umana e quindi mutevole.

Raccontare è l’antidoto alla rassegnazione. Moltiplicare occhi e voci come quelle dei fratelli Nasuto crea avamposti, insediamenti su cui si può costruire un’alternativa reale alle organizzazioni mafiose. Vorrei che la risposta alla strage di San Marco in Lamis non fosse solo saturare questa terra di forze dell’ordine ma anche di racconti. E rendere la narrativa di questi luoghi la narrativa di tutti.

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