Lo scrittore, celebre per i suoi romanzi storici di successo tra i quali il recente “Teutoburgo”, commenta le recenti scoperte archeologiche sul Palatino. E spiega: "I romani perseguivano l'annientamento del nemico. Ma non possiamo giudicarli con i criteri del XXI secolo"

«Interessantissimo: se sarà confermato che quelli trovati sul Palatino sono i resti di un teschio manipolato per essere esposto come trofeo si tratta davvero di un reperto unico». Ne è convinto Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, che ai miti e alle storie dell’antichità greca e romana ha dedicato saggi (“Mare greco”, “La tomba di Alessandro”, “Le meraviglie del mondo antico”) e romanzi di successo mondiale: da “L’armata perduta” al ciclo di “Alexandros”, fino al recente “Teutoburgo” (tutti editi da Mondadori). «Non mi risulta nulla di simile nell’archeologia romana. ?E poi in epoca così antica, il quinto secolo avanti Cristo...».

Ma allora anche i romani erano “cacciatori di teste”?
«Finora sapevamo di teschi di nemici usati come trofei da parte di altri popoli - celti, britanni, germani. Teste mummificate di nemici uccisi appese ?alla porta di casa come trofei. O teschi ?di ufficiali romani inchiodati attraverso gli occhi ai tronchi degli alberi, nella foresta di Teutoburgo. Durante quella battaglia, che ho studiato nei dettagli per il mio ultimo romanzo, c’è un catalogo infinito di orrori. Cose simili erano successe anche in Italia ma sempre con matrice celtica: verso la fine del terzo secolo avanti Cristo, dopo la battaglia della Selva Litana ?(vicino a Castelfranco Emilia), il teschio del comandante romano Postumio fu trasformato in un calice per libagioni per la divinità celtica della guerra. Un’usanza che arriva fino ai Longobardi: è il teschio di Cunimondo, re dei Gepidi, ucciso da Alboino, di cui Carducci scrive: “e poi porgendole con un sorriso il nudo teschio del padre ucciso / … orsù Rosmunda, forte esser devi, Rosmunda, bevi”. Del resto anche il mitico Santo Graal sarebbe stato una “grolla” fatta con un teschio, e  poi trasformata dalla Chiesa nella coppa usata da Giuseppe d’Arimatea per raccogliere il sangue di Gesù crocefisso».

Questi usi erano sempre un segno ?di disprezzo? Mai un omaggio, come avviene per le reliquie dei santi?
«Erano un omaggio agli dei che avevano concesso la vittoria e ai caduti in battaglia. Come, per esempio, il Guerriero di Capestrano: la statua rappresenta un guerriero caduto in battaglia, è appoggiata a due sostegni e ha una maschera sul viso. Potrebbe essere il morto tenuto in piedi da due lance conficcate sotto le ascelle durante l’ostensione del suo corpo. Anche qui però non siamo in ambito romano, ma piceno. I romani appendevano davanti a casa le maschere di antenati per averne protezione, ma di teschi non ne ho mai sentito parlare».

Finora abbiamo parlato di morti in battaglia. E i sacrifici umani?
«I romani li facevano ma solo in casi estremi e di assoluta emergenza come accadde quando Annibale era alle porte. In quella occasione sacrificarono nel Foro tre prigionieri: un celta, un greco e un punico. Il celta per esorcizzare quei galli che nel 390 avanti Cristo, con Brenno, avevano espugnato Roma. Il greco perché i greci avevano distrutto Troia, che di Roma era considerata la madre. Il punico invece per scongiurare il rischio che Annibale potesse conquistare Roma. I sacrifici umani furono puniti più tardi, da Claudio, e i romani perseguitarono i druidi che li praticavano. In precedenza, Ponzio Pilato aveva rifiutato di mettere a morte Cristo per motivi religiosi (la bestemmia) finché non fu trovata contro di lui un’accusa sulla base della “Lex de maiestate”: quella di essersi proclamato re dei giudei».

E l’uso orrendo fatto delle teste dei nemici, come accadde a Cicerone?
«La sua testa fu esposta da Marco Antonio ai rostri del Foro, e Fulvia, la moglie di Antonio, gli trafiggeva la lingua. Ma bisogna ricordare che con le Filippiche Cicerone aveva offeso in modo orribile suo marito, aveva scritto che andava nella Suburra per offrirsi a un uomo dopo l’altro, che scappava da casa per andare a letto con un lottatore...».

Si capisce allora che la moglie fosse così arrabbiata con Cicerone!
«Sì, ma comunque è un gesto singolo, non la ripresa di una tradizione. I romani sono anche quelli della pietas, del “parce sepulto”: infierire su un cadavere era considerato un’infamia. Questo ed altri simili sono episodi di crudeltà legati alla barbarie del periodo della guerra civile. Li possiamo paragonare allo scempio del cadavere di Mussolini a Piazzale Loreto. Come mi diceva spesso Giorgio Celli, “Dobbiamo riconoscere il rettile che è ?in noi, il cervelletto, che serba abitudini atroci, di ferocia ancestrale”. I greci hanno inventato i mostri per poi inventare l’eroe che li uccide: il mostro che è dentro di noi viene espulso perché l’eroe lo uccida e ci liberi da lui».

Ma l’immagine di civiltà dei romani ?è meritata o è dovuta alla versione propagandistica degli autori? Gli storici francesi raccontano la conquista della Gallia in modo ben diverso dal diario di Giulio Cesare…
«Nell’antichità chi aveva la forza la usava. I romani in guerra perseguivano l’annientamento del nemico, ma a chi si arrendeva risparmiavano spesso la vita (“parcere subiectis”). E come storici erano anche capaci di raccontare la verità. Plinio scrive che Cesare ha provocato un milione di morti in Gallia: ha coniato lui l’espressione “crimine contro l’umanità”, e lo ha fatto riferendosi a Cesare. Ma non possiamo giudicare uomini di ventun secoli fa con i nostri criteri di persone che hanno letto Marx, i Vangeli, San Francesco, Dante. La storia deve prendere atto di quello che vede: ?e non c’è dubbio che Roma, malgrado ?i duelli dei gladiatori e la morte come spettacolo, era più civile rispetto alle altre popolazioni dell’epoca. Oggi è usuale mettere i vincitori tra i cattivi e gli sconfitti tra i buoni, ma non è sempre così. Gli etruschi, per esempio: negli affreschi vediamo un popolo che ballava e faceva l’amore, ma erano ferocissimi. Dopo la battaglia di Aleria massacrarono a sassate uno per uno tutti i prigionieri focesi!».

Oggi l’archeologia è di moda anche perché media, libri e film sottolineano proprio questi aspetti horror. Lo vede come un pericolo?
«L’archeologia non si meraviglia di niente, non ha paura di niente: se inizi a scavare ti può capitare di disseppellire “bombe” inesplose. Pensi ai rotoli del Mar Morto: per decenni si è pensato che ci fosse scritto chissà che, cose clamorose che avrebbero potuto minare le basi del cristianesimo. E invece erano solo molto difficili da decifrare...».