Il celebre scrittore è scomparso a 85 anni. In questa intervista spiegava la sua soluzione per il conflitto in Medio Oriente, con una provocazione. «La via dei due Stati non è più praticabile: nessuno caccerà i coloni dalla Cisgiordania. L'unica strada è l'uguaglianza davanti alla legge. E la cittadinanza con tutti i vantaggi»

Lo troviamo a casa sua, con i nipotini: stanno preparando la cerimonia per ricordare la moglie Rivka, chiamata da lui e dagli amici Ika, scomparsa un anno fa. Abraham Yehoshua, ogni volta che si parla di lei piange. Donna saggia, ironica, bella, psicoanalista di successo: hanno vissuto insieme per più di cinquant’anni. Racconta che sta lavorando a un nuovo romanzo dove si narra dell’essere nonni e dell’incertezza della memoria; si dice contento per la qualità dello spettacolo tratto dal libro “Il responsabile delle risorse umane” in scena al Teatro Cameri di Tel Aviv. Con un pizzico di orgoglio e molto amore per l’Italia (Paese che adora) dice che a novembre riceverà il premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei; occasione per tornare a Roma, magari coi figli e nipoti.

Ma poi, esaurite le questioni personali, preso atto delle soddisfazioni professionali, con il grande scrittore che l’anno scorso ha compiuto gli 80 anni, un intellettuale in prima linea nel dibattito pubblico su Israele e sull’ebraismo, si apre una conversazione sul futuro, appunto dello Stato degli ebrei. Yehoshua è sempre stato netto al riguardo: è solo in Israele che gli ebrei possono vivere una vita normale; perché la normalità contempla un’adesione a una lingua e a un territorio; la Diaspora invece produce nevrosi e smarrimento. Logico quindi che per 50 anni, tanto dura l’occupazione dei Territori, auspicasse la separazione dai palestinesi: due Stati per due popoli, ciascuno secondo le regole di casa propria. Ora ha cambiato idea e sta pensando a un’abitazione in comune. Ma prima di arrivarci partiamo dalla cronaca, da Benjamin Netanyahu, il premier nei guai giudiziari: coinvolto in casi di corruzione su cui indaga la polizia. In questi giorni, Bibi, è questo il nomignolo del leader, in giro per gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania, ha ripetuto che mai le colonie verranno smantellate.

Yehoshua
La gente è d’accordo con lui. Perfino la sinistra non prende più in considerazione lo smantellamento degli insediamenti. Non so se Netanyahu sia amato. Ma so che la gente lo vede come un leader forte che ha portato Israele a successi nell’ambito dell’economia e che dà l’impressione di muoversi bene nel campo internazionale. Israele ha ottimi rapporti con l’India, con la Cina, Trump è amico. E per quanto riguarda la corruzione: voi italiani avete una certa esperienza con Berlusconi. Ogni volta che venivo da voi sentivo dire: ecco i magistrati stanno per inchiodarlo alle sue responsabilità; dovrà dimettersi, ritirarsi dalla politica. Ma poi non si dimetteva ed è sempre in politica. Sarei quindi cauto rispetto a Netanyahu. Aggiungo: non esiste oggi una proposta politica alternativa alla sua. Lo so, sta per citarmi il mantra caro alla sinistra: due Stati per due popoli. E magari mi vuol parlare delle pressioni internazionali. E allora: oggi tutti sono d’accordo nel perpetuare lo status quo. A nessuno interessa trovare una soluzione al conflitto. E non interessa neanche ai palestinesi.

Goldkorn
Viaggiando nei Territori, visitando le città della Cisgiordania (i campi profughi sono un’altra cosa) si ha l’impressione di una certa e strana normalità. C’è un boom edilizio, ci sono startup palestinesi, la vita è tranquilla. Le persone nei caffè dicono che dopo aver sacrificato due generazioni a due intifade, ora si debba pensare a come costruire il Paese; e che è meglio mandare i giovani nelle scuole e nelle Università che a combattere. La capacità imprenditoriale sembra una nuova forma di patriottismo. Per chi è nato in Polonia è immediata l’associazione con la borghesia nascente che nella seconda metà dell’Ottocento, dopo due insurrezioni fallimentari contro la Russia, decise di costruire fabbriche, aprire teatri dell’Opera, investire nelle Università. Il patriottismo del gesto pacifico e quotidiano e che in genere si rivela vincente.

Yehoshua
Il fatto è che i palestinesi ripetutamente hanno rifiutato le varie offerte dei vari premier israeliani; da Rabin a Barak a Olmert. La loro leadership non è mai stata in grado di prendere decisioni difficili. E così oggi gli stessi palestinesi sono consci del fatto che, nel quadro di una ipotetica spartizione della Palestina storica (Israele più Cisgiordania) il massimo che possono ottenere è un territorio frammentato, discontinuo. Ho detto che sono consci, ma talvolta ho invece l’impressione che la leadership palestinese speri in un miracolo, un qualcosa di prepolitico che risolva i problemi. Ma poi, al di là delle mie critiche e della sua narrazione della quotidianità (e vorrei ricordarle che ci sono interi strati della popolazione che soffrono) va detto che la realtà dell’occupazione militare è disgustosa e perversa. E non se ne vede la fine. Il numero dei coloni è in crescita e loro sono sempre più arroganti. Ogni tanto mi viene la voglia di dire ai palestinesi: ma vi rendete conto che più dura l’occupazione e più terra vi viene confiscata, rubata? Mi permetta di aggiungere un altro elemento: i palestinesi cittadini israeliani. Sono quasi due milioni, potrebbero avere 25 deputati sui 120 in Parlamento e cambiare fin dalle fondamenta la stessa struttura della nostra politica. Invece ci sono solo 13 deputati palestinesi che litigano tra di loro. Prendiamo il caso dell’Irlanda ai primi del Novecento: i deputati irlandesi al parlamento di Londra hanno saputo lavorare dentro le istituzioni inglesi per favorire la nascita di una repubblica nel Sud della loro isola. I palestinesi nostri non ne sono capaci e mi dispiace

Goldkorn
Lei sta raccontando due storie. La prima: una certa incapacità dei palestinesi di costruire una leadership che non esprima solo la voglia di riscatto di una nazione, ma che sia in grado di assumersi l’onere di prendere decisioni impopolari. In fondo, Ben Gurion, il fondatore dello Stato d’Israele acconsentendo alla spartizione del Paese nel 1947 rinunciò (e ne fu rimproverato da moltissimi) a un immaginario antico della Terra d’Israele nella sua pienezza, cui si riferiva il movimento sionista, e che era sempre presente nella spiritualità degli ebrei. Lo fece perché gli interessava più lo Stato e la sua legittimità che non appunto l’immaginario. La seconda storia è quella dei coloni che lei da sempre considera avversari, gente pericolosa avvantaggiata però dall’incapacità dei leader palestinesi di uscire dalla situazione delle vittime per assumersi responsabilità vere.

Yehoshua
Al netto delle sue analisi: oggi una soluzione di due Stati non è più possibile. Dobbiamo cambiare il paradigma se non vogliamo diventare una società e uno Stato di apartheid. Mi spiego: nel 2005 siamo fuggiti da Gaza. I palestinesi ci hanno sconfitti. Il nostro esercito aveva perso. E cosa è successo? Ci hanno sparato addosso i razzi. Il precedente di Gaza ha fatto sì che molti israeliani hanno paura di un possibile ritiro dalla Cisgiordania. E questo, ripeto, mentre continua l’espansione degli insediamenti. Ecco, non è più possibile sradicare i coloni. Non c’è oggi un’autorità in grado di costringerli a lasciare le terre che hanno rubato. Ora come ora la situazione (prendendo in considerazione Israele più la Cisgiordania) è complessa. Potrei descriverla così: gli arabi israeliani hanno quasi tutti i diritti; quelli di Gerusalemme Est, qualche diritto, quelli dell’Autorità nazionale palestinese (che controlla il 40 per cento della Cisgiordania) un pezzettino di sovranità. Resta la realtà dell’occupazione militare. Ci sono palestinesi privi di qualunque diritto. Ed è una situazione insopportabile per qualunque persona voglia definirsi un democratico.

Goldkorn
Nella storia del sionismo ci sono stati gruppi e organizzazioni che auspicavano uno Stato binazionale...

Yehoshua
Non mi riferisco a questa storia né alle paure e utopie degli anni Quaranta. Io parlo di oggi. E oggi, da democratico, da persona razionale e illuminista, voglio l’uguaglianza dei palestinesi di fronte alla Legge. Israele deve offrire ai palestinesi della Cisgiordania la cittadinanza; con tutti i vantaggi: dal servizio sanitario al sistema pensionistico. Ma, ripeto: la cosa più importante è l’assoluta uguaglianza davanti alla Legge. Non sono un ingenuo. È probabile che molti non vorranno prendere la cittadinanza israeliana. Molti diranno: accettarla significa approvare l’annessione della Cisgiordania a Israele. Ed è ovvio che io non posso imporre loro la cittadinanza. Ma l’importante è il gesto, l’intenzione: per me voi siete cittadini con pari dignità e uguali. Ed è importante dire un’altra cosa: se per miracolo, un giorno dovesse nascere uno Stato palestinese loro saranno liberi di rinunciare alla cittadinanza israeliana. Quello che io propongo non deve essere percepito come un gesto espansionista. Si tratta di cose delicate e dobbiamo procedere con tatto e rispetto della sensibilità di chi ha vissuto per 50 anni sotto l’occupazione. Aggiungo: non sono un costituzionalista, ma le idee su come fare ci sono. Per esempio, fondare una repubblica presidenziale con due rami di parlamento, l’uno che esprimesse le esigenze di ciascun gruppo nazionale e l’altro come rappresentanza di tutti i cittadini; oppure una serie di Cantoni, o anche una confederazione. Lasciamo lavorare gli esperti e fermiamoci alla constatazione che se un pachistano musulmano può essere sindaco di Londra...

Goldkorn
Sarebbe quindi disposto ad avere un capo dello Stato palestinese?

Yehoshua
Non voglio essere ipocrita: un capo dello Stato arabo palestinese non è all’ordine del giorno. Per ora mi basterebbero ministri del governo. E del resto oggi in Israele ci sono palestinesi giudici (compresa la Corte suprema), magistrati, ambasciatori e via elencando. E credo di aver un alleato, o se vogliamo un simpatizzante del mio progetto. È Reuven Rivlin, l’attuale capo dello Stato. È un amico, un uomo che ha sempre voluto un Grande Israele, visto che viene dalla destra. Ma è una destra liberale che ha sempre auspicato i diritti di cittadinanza ai palestinesi, a tutti i palestinesi. Non entro nelle sue vicende ideologiche. Ma dal punto di vista dei comportamenti politici e personali, lui, prima da presidente del parlamento e ora da capo dello Stato si è sempre battuto per l’assoluto rispetto dei diritti civili dei palestinesi, senza se e senza ma. Ora, il capo dello Stato da noi non ha prerogative direttamente politiche, ma ha un potere etico. E lui lo usa, e bene.

Goldkorn
Rivlin e lei, siete quasi coetanei, siete la quinta generazione di ebrei nati a Gerusalemme. Nelle vostre rispettive famiglie avete la memoria di una vita non senza conflitti e violenze, ma comunque di una convivenza in condizioni di parità con gli arabi. Quindi non ne avete paura. Ecco, c’è un paradosso insito nell’impresa sionista. Il sionismo ha vinto: esiste lo Stato d’Israele, uno Stato forte che ha prodotto una cultura e una letteratura formidabili; dove la scienza è all’avanguardia; l’esercito è potente; l’economia fiorisce, eppure a parlare con gli israeliani della prima o seconda generazione si ha l’impressione che vivano come gli ebrei nella Diaspora. Hanno paura. Il proverbiale ebreo diasporico di successo ha sempre timore di venir cacciato dal salotto buono; trattato da abusivo, riportato allo status di paria. Così, spesso gli israeliani temono che un domani qualcuno li caccerà dalla loro terra...

Yehoshua
Le nostre paure sono fondate. C’è una gran parte del mondo arabo che non riconosce la nostra legittimità. E del resto, guardi come si stanno disfacendo la Siria e l’Iraq. E l'Iran è sempre in mano ai religiosi. Il fatto che abbiamo scienziati e scrittori, musicisti e medici non significa che possiamo dormire sonni tranquilli. Ciò detto, abbiamo un debito nei confronti dei palestinesi. Loro sono figli di questa terra, di questa patria. Qui nel 1917, ai tempi della Dichiarazione Balfour (che ha promesso una Patria in Palestina agli ebrei) c’erano 50 mila ebrei e mezzo milione di arabi. E ai palestinesi è stato detto: vedete, qui ora arriveranno 16 milioni di ebrei da tutto il mondo; fate spazio per favore. Non sono arrivati i 16 milioni e 6 milioni sono morti nella Shoah. Ma il principio è rimasto lo stesso: a un popolo è stato detto di sloggiare per far spazio a un altro popolo. È una situazione che non ha precedenti e a cui non assomiglia nessun altro conflitto al mondo.

Goldkorn
Dovete quindi chiedere scusa?

Yehoshua
L’unico rimedio concreto, non retorico è l’uguaglianza: essere tutti cittadini.

Goldkorn
I palestinesi potranno comprare una casa in una città ebraica d’Israele così come oggi un ebreo può vivere a Hebron?

Yehoshua
Intanto l’ebreo a Hebron vive non perché ha comprato casa, ma perché lo protegge l’esercito. Chiamasi occupazione militare. Ciò detto, certo, chiunque, nel quadro di una struttura che sto raccontando potrà vivere dove gli pare e piace. Ma, ancora una volta; non voglio essere ipocrita. Non ci sarà nessun diritto al ritorno dei profughi, perché quelle case che loro hanno lasciato non ci sono più e perché comunque non sarebbe una soluzione giusta né realistica. Così, come penso, che tutto quello di cui stiamo parlando per ora non può riguardare Gaza. Ma dovremo affrontare la miseria dei profughi all’interno della Cisgiordania; quei campi vanno smantellati, la gente sistemata in condizioni di dignità. Vorrei concludere così: ho paura per la crescita dei sentimenti di odio da ambedue le parti e mi spaventa l’aumento del razzismo tra gli israeliani. Da bambino ho vissuto l’assedio di Gerusalemme da parte della Legione araba. Sono stato per due mesi in un rifugio e ogni giorno morivano decine dei nostri soldati. Ma non odiavamo gli arabi. Oggi invece la gente li odia per due motivi: perché loro sono deboli e perché noi ci sentiamo in colpa. Si odiano i deboli e le vittime, è un meccanismo universale. Lei prima ha citato l’esempio polacco; ecco i polacchi hanno odiato gli ebrei più nel 1945 che non nel 1939. Ovviamente non si può paragonare la Shoah a quello che succede da noi, ma la dinamica dell’odio e della colpa è analoga. E per tornare a noi: l’alternativa è solo questa, apartheid o democrazia, padroni e sottomessi, oppure cittadini pari diritti. Il resto sono chiacchiere.