Pensavano di sacrificarsi per salvare il paese. Sicuri di enormi consensi. Così non è stato: da Passera a Ingroia, le meteore della politica italiana

Le meteore della politica - l’altra faccia di chi eternamente galleggia - hanno in comune una specie di tragico eroismo mancato: pensavano di fare il sacrificio, di slanciarsi verso un mondo pronto ?ad accoglierli a braccia aperte; hanno scoperto - di solito con lo schianto su percentuali da zero virgola - che invece non li aspettava nessuna folla. Che disdetta, che scorno.

Corrado Passera ci ha messo anni ad accettarlo. Non gli è bastato nemmeno ritrovarsi, un pomeriggio, davanti a Montecitorio: lui, il banchiere bocconiano, il ministro di Monti, si era denudato della giacca, stava in sola t-shirt, la bocca imbavagliata da un enorme cerotto, ?una specie di Cinquanta sfumature ?di Italicum, giusto per finire sui giornali. È stata peraltro l’unica volta in cui ci è riuscito, dopo aver doppiato il primato imbarazzante di battezzare la sua Italia Unica durante la prima partita dell’Italia ai Mondiali e di inaugurarla nel bel mezzo dell’elezione di Mattarella al Colle. Eppure diceva: «Noi abbiamo l’ambizione di costruire il più grande partito italiano».
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Due anni dopo, l’ultimo suo atto politico prima di chiuderlo, è stato quello - una premonizione? - di appoggiare Stefano Parisi, il candidato perdente al comune di Milano. Un altro fulmine di guerra, stavolta del più noto genere “Perseidi per Berlusconi”. Dopo aver perso contro Sala, Parisi sembrava aver trovato la sua vera dimensione come delfino del caro Silvio: la cosa, come al solito, è durata il tempo di arrivare alla prima convention, poi basta.

Il che però ha lasciato nell’ex ad di Fastweb uno strascico di rancore che non ci si sarebbe aspettati. Perché poi, certo, non tutti hanno il savoir faire ?di Alfio Marchini: era salutato come ?il futuro dei moderati, poi a Roma è arrivato quarto sia nel 2013 che nel 2016, il futuro gli si è messo dietro le spalle e amen. Almeno ha preso il 10 per cento. L’ex pm d’assalto Antonio Ingroia nel 2013 tornò dal Guatemala, per guidare Rivoluzione civile e non superare il 2,25 per cento.

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