Esclusivo
Football Leaks, l'inchiesta che ha svelato i bilanci truccati del Manchester City
Il club inglese rischia sanzioni o l’espulsione dalla Premier League. Tutto nasce da questa inchiesta che l’Espresso, con altre testate internazionali, pubblicò nel 2018
Aggiornamento 6 febbraio 2023. La Premier League ha deferito il Manchester City ad una commissione indipendente per presunte numerose violazioni dei regolamenti finanziari. Tra i possibili provvedimenti a carico del City: penalizzazioni in termini di punti, retrocessione ed espulsione dalla Premier League. Ecco l’inchiesta Football Leaks da cui sono emrse le irregolarità
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Dall’anonimato all’olimpo del calcio mondiale. Nel giro di dieci anni Paris Saint-Germain e Manchester City sono diventate due delle squadre più forti e popolari in circolazione. Hanno vinto più volte i rispettivi campionati nazionali, hanno iniziato a dare filo da torcere ai più blasonati club europei nella Champions League, il trofeo più ambito nel Vecchio Continente.
Il problema è che questi straordinari risultati sportivi sono stati raggiunti grazie a un’abbondante dose di doping finanziario, aggirando nella più totale impunità le regole di bilancio fissate per i club dall’Uefa, la Federazione europea del pallone.
Ecco, allora, le sponsorizzazioni gonfiate, iscritte a bilancio a un valore molto più alto di quello reale. Le società esterne usate per scaricare costi eccessivi. E una lunga serie di trucchi contabili che hanno permesso alle due società di investire somme colossali, fuori dalla portata delle altre grandi squadre continentali, per aggiudicarsi i migliori giocatori sulla piazza, da Neymar a Mbappé, da De Bruyne ad Agüero.
A raccontarlo sono i documenti di Football Leaks: contratti, email, presentazioni riservate ottenute dal settimanale tedesco Der Spiegel e analizzate da L’Espresso insieme alle testate internazionali che formano il consorzio di giornalismo investigativo European Investigative Collaboration (EIC). Migliaia di carte che dimostrano come Psg e City siano riuscite a dribblare le regole del fair play finanziario, ad evitare le sanzioni più dure previste dai regolamenti. Tutto questo con l’aiuto di due degli uomini più potenti del calcio mondiale, la coppia che ha governato la Uefa fino al 2016: il presidente Michel Platini e il suo segretario generale Gianni Infantino, oggi al vertice della Fifa.
Fair play con il buco
Il fair play finanziario è stato introdotto di fatto dalla Uefa nel 2013, poco dopo l’ingresso nel calcio europeo degli emiri del Qatar e di Abu Dhabi, diventati rispettivamente padroni del Psg e del City. La regola generale, sostenuta con orgoglio da Platini e Infantino, prevede che ogni squadra europea abbia un bilancio quasi in pareggio, senza perdite eccessive (al momento è concesso un rosso di 30 milioni di euro in tre anni). L’obiettivo è evitare che le società più ricche possano annientare le più povere solo grazie al potere dei soldi, al deficit.
Impedire cioè che i nuovi magnati del calcio - sceicchi arabi, oligarchi russi, finanzieri americani e industriali cinesi - pompino milioni di euro nelle casse della loro squadra nel tentativo di annientare la concorrenza dotata di mezzi finanziari molto inferiori. Proprio questo era l’obiettivo dei nuovi padroni del Paris Saint-Germain e del Manchester City. I manager dei due club hanno truccato i bilanci. La Uefa lo ha scoperto, ma alla fine ha preferito usare le maniere morbide invece che espellere le due squadre dalle coppe europee, come successo per molto meno a diversi club minori in questi anni, dalla Dinamo Mosca al Galatasaray, dal Malaga alla Stella Rossa di Belgrado. Non proprio quello che aveva promesso le Roi Michel. «Avrò il coraggio di punire i club famosi», aveva scandito Platini poco prima dell’introduzione delle nuove regole l’allora presidente della Uefa. «Imporremo le più dure sanzioni», gli aveva fatto eco il fido Infantino. Niente di più lontano dalla realtà, come vedremo.
Francesi impuniti
Partiamo dal Psg, la corazzata controllata dal regime del Qatar. Nel 2013 la Uefa inizia un’indagine sui conti della società. A condurla è il Club Financial Control Body, una specie di procura interna alla Uefa. Sotto osservazione finisce soprattutto il contratto di sponsorizzazione tra i parigini e Qta, la Qatar Tourism Authority. L’ente del turismo qatariota ha firmato un accordo di sponsorizzazione quinquennale che porterà nelle casse della società parigina 1,075 miliardi di euro, circa 200 milioni all’anno. Somma enorme se si pensa che squadre blasonate come Real Madrid, Bayern Monaco o Barcellona incassano al massimo 30 milioni all’anno per avere un logo sulla loro maglietta.
La Qatar Tourism Authority è disposta a mettere sul piatto quasi sette volte tanto. E senza nemmeno avere il proprio nome stampato sulle divise dei parigini. Ad ogni modo, per le regole del fair play finanziario ciò che conta è innanzitutto se la Qatar Tourism Authority è una “parte correlata”, cioè un’azienda controllata in qualche modo sempre dai proprietari del Psg. Gli investigatori della Uefa arrivano alla conclusione che è proprio così. In altre parole, gli emiri hanno siglato un contratto con se stessi per aggirare le norme e dotare la società parigina di nuovi mezzi finanziari. A questo punto la norma vorrebbe che quel contratto venga registrato nel bilancio al suo valore di mercato.
Nel loro rapporto, i detective dell’organo che governa il calcio europeo citano anche il parere di una società esterna, la Octagon. Secondo l’azienda americana specializzata in marketing calcistico, ai valori di mercato quel contratto vale in realtà circa 3 milioni di euro all’anno. «Le prove dimostrano che l’accordo tra Qta e Psg è finalizzato a eludere gli obiettivi» del fair play finanziario, è la conclusione contenuta nel report degli investigatori Uefa. I quali ricordano che, nel caso in cui non fosse possibile trovare un accordo con il club, il tribunale interno della Uefa dovrebbe imporre al Psg le misure previste in casi come questo: «inclusa la possibilità di esclusione dalle prossime competizioni Uefa», si legge.
È a questo punto che entrano in campo Infantino e Platini. La coppia al vertice della Uefa si dà un gran da fare per risolvere i problemi del Psg. Alla fine di febbraio del 2014 il club ottiene un incontro riservato nella sede dell’organizzazione, in Svizzera. Sulle rive del Lago di Ginevra, a Nyon, sbarca il presidente della società Nasser Al Khelaifi. Accompagnato dal suo braccio destro, Jean-Claude Blanc, l’emissario dell’emiro del Qatar trova ad aspettarlo Platini e Infantino. Nella riunione volano parole grosse, gli animi si scaldano. Alla fine Infantino e Platini propongono però al numero uno del Psg un accordo amichevole. Alle nostre richieste di commento, la Fifa ha risposto a nome di Infantino ricordando che «il Club Financial Control Body della Uefa è completamente responsabile delle proprie decisioni».
Platini, che al momento non ricopre più alcun incarico nell’organizzazione, non è voluto entrare nel merito delle nostre domande, glissando anche sul suo possibile conflitto d’interessi con il Qatar visto che il figlio, Laurent Platini, lavora da anni per una società degli sceicchi. L’ex fuoriclasse della Juventus si è limitato a sottolineare «l’indipendenza» degli organi Uefa preposti a far rispettare le regole del fair play finanziario. Di sicuro la decisione del pool di investigatori del Club Financial Control Body arriva poco dopo quell’incontro riservato a Nyon. Nessun deferimento del Paris Saint-Germain al tribunale interno ma un accordo, un “settlement agreement”. Un patto i cui dettagli più importanti erano rimasti finora segreti.
Le carte di Football Leaks raccontano che alla fine del 2014 la Uefa ha concesso al club dell’emiro al Thani di iscrivere a bilancio il contratto con la Qatar Tourism Authority per un valore di 100 milioni di euro all’anno. La metà rispetto all’originale, ma comunque infinitamente di più rispetto al valore di mercato attribuito dagli esperti consultati dall’autorità di controllo, che avevano fissato l’asticella a soli 3 milioni di euro all’anno.
Per la verità, la decisione della Uefa ha creato qualche dissidio all’interno dell’organizzazione. Poco prima dell’accordo lo scozzese Brian Quinn si è infatti dimesso dal ruolo di capo degli investigatori. Secondo alcune fonti che hanno seguito da vicino la vicenda, Quinn - che è rimasto comunque fino alla metà del 2015 uno dei membri dell’autorità investigativa - all’epoca disse ai colleghi di non aver voluto firmare quell’accordo perché lo riteneva «troppo indulgente» verso il Psg vista l’entità della violazione. Poco male. Al posto di Quinn è stato nominato l’italiano Umberto Lago. Un commercialista vicentino, professore di Economia all’università di Bologna, che pochi anni dopo aver lasciato la Uefa finirà dall’altra parte della barricata: consulente nel Milan sui temi del fair play finanziario. Ma questa è un’altra storia. Ciò che conta in questa vicenda è che con Lago al vertice degli investigatori, l’accordo con il Psg viene siglato.
Il City la fa franca
Il docente italiano non ha usato il guanto di velluto solo con il Psg. C’era sempre lui a capo dei detective della Uefa quando si è trattato di decidere sul caso del Manchester City. Come la squadra francese, anche i Citizens erano accusati di aver imbellettato il bilancio societario. Un maquillage contabile che, secondo gli ispettori della Uefa, era stato ottenuto grazie ad alcuni sponsor di Abu Dhabi di fatto controllati sempre dalla famiglia reale: Aabar, uno dei fondi sovrani locali, ed Etisalat tra i più grandi gruppi telefonici del Medio Oriente. Pubblicamente la Uefa in quei mesi faceva la voce grossa. «La nostra organizzazione», dichiarò Infantino, «non ha paura di fare ciò che necessario per proteggere il gioco, per mantenere sana la competizione». Il coraggio di Gianni venne subito messo alla prova, visto ben presto gli investigatori della Uefa scoprirono le magagne finanziarie del club dell’emiro. Negli anni precedenti il City aveva infatti inserito nel bilancio diverse sponsorizzazioni a un prezzo tre volte maggiore rispetto a quello di mercato. Contratti firmati senza che ci fosse nemmeno una negoziazione preventiva, a dimostrazione del fatto che quelli non erano sponsor indipendenti ma semplici rami dell’impero finanziario della famiglia reale di Abu Dhabi.
I report interni alla Uefa parlano chiaro. Il contratto con Aabar, registrato per 17 milioni di euro all’anno, ne valeva al massimo 4. Quello con Etilsalat secondo gli esperti aveva un valore di mercato di 4 o 5 milioni, mentre il club incassava 18,5 milioni di euro a stagione. Se il City avesse dichiarato il reale valore di quei ricavi, le perdite sarebbero schizzate a 233 milioni di euro. Insomma bye bye Champions League, che significa arrivederci ai tanti milioni garantiti grazie alla vendita dei diritti televisivi. Ma le strade che portano al fairplay finanziario sono infinite.
E l’8 maggio del 2014, a Londra, la squadra degli sceicchi di Abu Dhabi imbocca quella giusta. Infantino incontra l’amministratore delegato del City, Ferran Soriano, in quello che il manager descrive in una email come «secret meeting». Soriano non ha voluto commentare il contenuto di quella conversazione, mentre il City si è rifiutato di rispondere a domande basate su materiale «che - ci ha scritto - si presume sia stato rubato nel chiaro tentativo di danneggiare la reputazione del Club». Una settimana dopo quell’incontro segreto a Londra, l’accordo confidenziale viene firmato. Il club inglese non ottiene tutto quello che vuole, cioè il completo proscioglimento dalle accuse, ma rispetto alle cifre contenute nel report degli investigatori non può proprio lamentarsi. La Uefa gli concede infatti di registrare, per tre anni, gli stessi contratti incriminati, a un valore di 26 milioni superiore a quello di mercato. E come al Psg impone una multa: 60 milioni di euro, di cui 20 milioni da pagare subito e gli altri 40 da versare in caso di mancato rispetto delle regole durante l’anno successivo.
Com’è finita? A settembre del 2015 la Uefa ha annunciato di aver cancellato la multa al Paris Saint-Germain e al Manchester City. «Entrambi i club», ha scritto l’organizzazione gestita dall’attuale presidente della Fifa, «hanno dimostrato di aver rispettato tutti gli obiettivi del pareggio di bilancio». Avanti tutta con la Champions, allora. Con buona pace di chi, per molto meno, si è dovuto accontentare di guardare lo spettacolo della Coppa dalle grandi orecchie solo in televisione.