In una manciata di chilometri accade che ci si possa fare un’idea molto chiara della differenza che esiste tra buona e cattiva accoglienza. In Calabria, in un fazzoletto di terra, in un triangolo i cui tre vertici sono, idealmente, Riace, Gioiosa Jonica e San Ferdinando, si consumano tragedie (più spesso) e si seminano speranze (sempre meno).
Mentre il governo distrugge il sistema degli Sprar su tutto il territorio nazionale, talvolta criminalizzandolo, restano intatte le baraccopoli - nonostante le tante promesse di smantellarle a favore di non si sa quali reali alternative - formate da piccole case di fortuna costruite con plastica, esili assi di legno e cartone, più raramente con lamiere.
La baraccopoli di San Ferdinando, vicino a Reggio Calabria, ora è stracolma di immigrati: è la stagione degli agrumi. Nella Piana di Gioia Tauro sono oltre 4000 i braccianti che in condizioni di lavoro e di vita disumane sono lì per raccogliere arance e mandarini. La baraccopoli è stracolma di persone che durante l’inverno gelido provano a riscaldarsi accendendo bracieri. E i fuochi sono pericolosi perché tutto nella baraccopoli è infiammabile.
L’ultima vittima a San Ferdinando è un ragazzo giovanissimo, di appena diciott’anni, morto il 2 dicembre scorso mentre dormiva. Occhi grandi e carattere schivo, Suruwa Jaithe era il suo nome ed era di origini gambiane. Suruwa: in queste righe scriverò spesso il suo nome, perché chi muore così deve essere ricordato. Perché io che scrivo e voi che leggete siamo debitori nei riguardi di Suruwa, vittima di un destino assurdo e delle contraddizioni di un Paese che non riesce più a guardarsi allo specchio, tanto è diventato brutto, vecchio e soprattutto cattivo.
Suruwa era inserito in un progetto di seconda accoglienza nello Sprar di Gioiosa Ionica dove era arrivato a marzo 2018. Gli operatori di Gioiosa erano per Suruwa un punto di riferimento, forse l’unico, e ora lo sono per i suoi familiari (un fratello che si trova in Italia) che non riescono a darsi pace per questa assurda morte. Suruwa sarebbe rimasto a Gioiosa fino a marzo 2019 quando avrebbe iniziato un tirocinio formativo e probabilmente da lì sarebbe iniziata la sua vita autonoma in Italia. Avrebbe iniziato forse a guadagnare qualcosa con un permesso di soggiorno che sarebbe scaduto tra due anni. A San Ferdinando Suruwa non era andato perché cacciato da Gioiosa: non fuggiva da nulla, Suruwa. Era solo andato a trovare dei conoscenti e, forse, a fare progetti per il futuro: era un ragazzo di diciott’anni. La morte di Suruwa non ha generato indignazione nel Paese, solo molto dolore nelle persone che lo hanno accolto e lo hanno aiutato.
Ormai tutto questo ha finito per essere la normalità, al massimo il prezzo che le nostre coscienze sono disposte a pagare. Per ottenere cosa nessuno davvero lo sa. Sono anni, ormai, che si parla di immigrazione solo per stimolare la peggiore risposta emotiva da parte delle persone. Sono anni che per le incapacità delle classi dirigenti si incolpa il “buonismo” di chi sa che peggiorando le condizioni di vita di alcuni, non migliorano quelle di altri. Ma ogni ragionamento sembra vano: siamo in una fase tristissima in cui la speranza sta davvero morendo e lasciando pericolosamente il posto alla rassegnazione. E io sono ancora qui a domandarmi; e se invece che smantellare il sistema dell’accoglienza il governo lo avesse implementato? Se per ipotesi - ormai molto remota - questo governo riuscisse a considerare esseri umani le persone che arrivano in Italia? Se questo accadesse, forse anche chi ha votato i suoi rappresentanti si sentirebbe esortato a fare lo stesso.
E invece quello a cui assistiamo ogni giorno è un disastro di proporzioni epocali. Ministri che setacciano il web alla ricerca di notizie di reati veri o presunti (per loro non fa differenza) che coinvolgano immigrati. Trasformano quelle notizie in post che servono ad aizzare il web contro gli stranieri. Altri che invocano una stampa depoliticizzata, priva di opinioni e che hanno, con un lavoro costante di anni, convinto i loro elettori che le idee degli altri siano oscure macchinazioni di vecchi tecnocrati che vogliono che i poveri rimangano poveri e i ricchi diventino sempre più ricchi. Intanto Suruwa è morto giovanissimo, è morto in uno strano e triste Paese. Un Paese che a questa morte non ha dedicato nemmeno un minuto, nemmeno un pensiero, nemmeno un ragionamento, nemmeno una lacrima.
Camorra10.11.2011
Quel processo, la mia speranza